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“Ogni cosa al suo posto”[1].
Nel cinquecentenario di Raffaello Sanzio[2] da Urbino.
Illustrazione originale di Stefano Frassetto[3].
Dice il Vasari[4] che Giovanni de’ Santi, padre di Raffaello, felice per la nascita del figlio non volle mandarlo a balia, “ma che la madre propria lo alattassi continovamente” ed intanto, “con tutti que’ buoni et ottimi costumi che fu possibile” il bambino venne subito avviato ed ammaestrato alla pittura nella bottega paterna di Urbino : non appena in età, il padre volle presentarlo alla bottega di Pietro Perugino a Perugia che lo accettò in apprendistato e dove già Raffaello si fece notare per come studiava la maniera di Pietro, imitandolo al punto che non era facile distinguere il lavoro dell’allievo da quello del maestro.
Grazie ai suoi modi fini che ben pochi fra gli artisti suoi predecessori manifestavano, Raffaello ottenne presto commesse altolocate, prima a Siena - dove però già lavoravano Leonardo Da Vinci e Michelangelo - poi a Firenze dove cominciò lui stesso a dar lezioni di prospettiva, nella quale eccelleva e che lo appassionava specialmente, dacchè forse l’urbanistica e l’architettura costituivano la vera novità per l’artista rinascimentale, non più solo decoratore o poeta ma filosofo e teorico a tutti gli effetti[5].
Conobbe ed apprezzò Albrecht Dürer[6] da cui si fece eseguire alcune incisioni su proprio disegno.
Poco si parla del talento speciale e della sensualità amorosa di Raffaello, che il Vasari coglie nel suo ritrarre fisionomie : cosicchè, ad esempio “La Velata” (1516) e “La Fornarina” (1519ca), che pure si ispirano ad “Amor sacro e Amor profano” (1515) del contemporaneo Tiziano Vecellio, non sono però - come quello - ritratti didascalici, e noiosamente pedagogici.
Tornò a Perugia, fu ad Urbino ospite del Duca di Montefeltro, poi di nuovo a Firenze dove lo chiamavano nuove commesse ed infine a Roma nel 1508, dove papa Giulio II - che aveva ordinato l’abbattimento della basilica vaticana risalente all’imperatore Costantino a causa delle contaminazioni del barbaro Medio Evo – commissionava a Raffaello una serie di affreschi grandiosi per la nuova Biblioteca e Tribunale ecclesiastico nella ‘Stanza della Segnatura’ dei Palazzi Apostolici, dove la teologia risultasse apice ed equilibrio delle umane filosofie.
Raffaello, intanto, che - a differenza di Michelangelo - aveva messo sù una produttiva bottega con valenti collaboratori, arrivò a soddisfare le aspettative del committente, senza rinunciare ad uno sguardo velatamente ironico su ciò che rappresentava : quella enciclopedica opera figurativa alla quale pare sia stato accompagnato passo passo da colti funzionari papali.
E così, la sua “Scuola di Atene” apre allo spettatore un disordine composito con al centro il dibattito infinito fra Platone, reale protagonista dell’affresco che indica il Cielo delle ‘idee’, e l’allievo Aristotele che offre invece la sua “Etica” alla elaborazione umana. Attorno a loro si muovono una quantità di personaggi riconoscibilissimi e ritratti nelle realistiche sembianze di colleghi artisti, contemporanei di Raffaello : Socrate maestro di Platone, Pitagora con la perfezione del numero, il berbero Averroè, Euclide, Eraclito, Zoroastro, Diogene per citarne alcuni.
Nessuno di loro si rivolge allo spettatore, ciascuno è preso dalla propria ‘buona’ teoria che argomenta, e sostiene - quando può - con fedeli discepoli. E benchè i cieli atemporali che illuminano la scena non diano indicazioni sull’ora, la data indica il 31 ottobre 1503, giorno della elezione di Giuliano della Rovere al soglio pontificio col nome di Giulio II.
E’ qui finalmente rappresentata la grandiosità ed armonia dell’Architettura, che sa accogliere ed ugualmente sorreggere e presentare, al pubblico ed alla Storia, il moto ed i tratti di filosofi e studiosi.
Un Ordine dunque precede, accetta il disordine degli uomini e, pur rendendolo manifesto e sgradevole, è capace di elevarlo ed offrirgli spazio ed ascolto ?
Raffaello pare condividere il pensiero del committente ma all’unico personaggio femminile dell'affresco – Ipazia, ragionevolmente, la matematica alessandrina che qui però veste un abito bianco-velato e rassomiglia incredibilmente a Raffaello stesso, pure ritratto al lato opposto e simmetrico – affida quello sguardo preciso che cerca lo spettatore e chiede giudizio, riscontro, risposta, rendendosi così legame di imputazione indispensabile per un beneficio ed una ricchezza.
Marina Bilotta Membretti, Cernusco sul Naviglio 12 settembre 2020
<Rifer. illustraz.: 0_5486992_125008.jpg>
[1] “Ogni cosa al suo posto” è il titolo del saggio di Oliver Sacks, pubblicato postumo, in cui il neurologo segnala l’aspetto patologico di malinconia e compulsione, per le quali è condizione indispensabile che ‘ogni cosa sia al suo posto’, anche al costo di manomettere la realtà alla propria fissazione. D’altra parte Sacks indica nel ‘mettere ordine’ la qualità dei pazienti che arrivano a guarire, rendendosi capaci di ‘fare ordine’ a partire dal disordine mentale presente in ogni patologia.
[2] Ricorre nel 2020 il cinquecentenario della morte di Raffaello Sanzio che Giorgio Vasari ricorda in “Le Vite de’ più eccellenti architetti, pittori, et scultori italiani, da Cimabue insino a’ tempi nostri” ‘Nell’edizione per i tipi di Lorenzo Torrentino, Firenze 1550’ (Einaudi ‘ET Classici’ 2015, Vol.II p.611 e p.639).“Nacque Rafaello in Urbino città notissima l’anno MCCCCLXXXIII (1483 - ndr), in Venerdì Santo a ore tre di notte… Poi confesso e contrito finì il corso della sua vita il giorno medesimo ch’e’ nacque, che fu il Venerdì Santo d’anni XXXVII (37anni, quindi era il 1520 – ndr)…”
[3] Stefano Frassetto è nato a Torino nel 1968. Dopo la laurea in Architettura al Politecnico di Torino, ha iniziato come vignettista e disegnatore per alcuni giornali locali. A metà anni novanta ha cominciato a pubblicare anche in Francia, prima col mensile ‘Le Réverbère’ e in seguito col quotidiano ‘Libération’ : passato a sviluppare l’attività di fumettista col personaggio di Ippo per ‘Il Giornalino’ e poi la striscia ‘35MQ’ per il quotidiano svizzero ‘20 Minuti’, con l’anno 2000 fa il suo esordio su ‘La Stampa’ come ritrattista per le pagine culturali e per l’inserto ‘Tuttolibri’, poi per il settimanale culturale ‘Origami’. Oggi è anche ritrattista e illustratore presso il quotidiano svizzero ‘Le Temps’.
[4] “Le Vite de’ più eccellenti architetti, pittori, et scultori italiani, da Cimabue insino a’ tempi nostri”, Giorgio Vasari ‘Nell’edizione per i tipi di Lorenzo Torrentino, Firenze 1550’ - Einaudi ‘ET Classici’ 2015, Vol.II pag.611
[5] Leon Battista Alberti aveva pubblicato il “De pictura” (1435) ed il “De re aedificatoria” (1485), primi trattati teorici che riguardavano pittura, scultura ed architettura.
[6] “Le Vite de’ più eccellenti architetti, pittori, et scultori italiani, da Cimabue insino a’ tempi nostri”, Giorgio Vasari ‘Nell’edizione per i tipi di Lorenzo Torrentino, Firenze 1550’ - Einaudi ‘ET Classici’ 2015, Vol.II pag.629

“Nostra Signora della Salute”
‘Sant’Ambrogio della Costa’, I sec. d.C. - Zoagli (Ge)
Marina Bilotta Membretti, Cernusco sul Naviglio 15 agosto 2020
<Riferim. illustraz. : 0_5484329_125008.jpg>

Born in the USed frame[1].
Costantino Nivòla, fra Salvatore Fancello e Le Corbusier.
Nella foto, un raffinato inserto ricamato a punto ‘chiacchierino’ su una tovaglia in bisso di lino, che fa parte di una dote nuziale.
“…La psicoanalisi è un camminare a quattro gambe – partnership, ossia senza confusione di soggetti né di gambe – che, se si conclude bene rimarrà come dotazione (‘dote’) anche per la vita successiva” // Cit. da : “Un uomo che ha domani”, ‘Opera Omnia di Giacomo B. Contri’ 2015, Sezione ‘Saggi, testi pro-manuscripto’, pag. 12.
Nato ad Orani, in provincia di Nuoro nel 1911, quinto di dieci fratelli e con il padre muratore, Costantino Nivola si fece presto notare per il suo spiccato talento nel disegno : pur lavorando da manovale col padre ed i fratelli, nel 1926 fu chiamato come apprendista dal pittore Mario Delitala a Sassari, dove poi ricevette incarichi anche da nuovi committenti e fino al 1931 quando, con una modesta borsa di studio ricevuta dal Consiglio dell’Economia Corporativa di Nuoro potè trasferirsi a Monza per frequentare l’”Istituto Superiore per le Industrie Artistiche”.
All’I.S.I.A. di Monza Nivola conobbe Salvatore Fancello e Giovanni Pintori, entrambi più giovani di lui e provenienti dalla Sardegna : con loro organizzerà nel 1934 una mostra di pittura a Nuoro, che tuttavia non venne accolta calorosamente. Nello stesso anno fu anche sospeso dall’Istituto per aver rifiutato di fare il saluto romano, evitando però l’espulsione grazie a Gianni Ticca, generoso imprenditore sassarese che gli aveva commissionato le prime opere giovanili : tornato a frequentare l’I.S.I.A., incontrò la giovane di origine ebrea Ruth Guggenheim, che frequentava lo stesso Istituto e che di lì a qualche anno sarebbe diventata sua moglie.
Nella compagnia di giovani sardi, a cui si unirono Ruth e Renata Guggenheim ed altri amici, Costantino emergeva per la sua intraprendenza e capacità comunicativa, coinvolgendo soprattutto Salvatore Fancello[2], rimasto da poco orfano di padre e madre e visibilmente gravato della responsabilità anche economica verso le sorelle e i fratelli rimasti a Dorgali : già talentuoso, minore di cinque anni rispetto a Nivola, Salvatore frequentò con passione all’I.S.I.A. di Monza il Corso per ceramisti. Costantino lo riteneva dotato di uno straordinario talento nella pittura, che negli anni lo avrebbe fatto realmente apprezzare come artista e non più come decoratore.
Ultimo di dodici figli, Salvatore Fancello manifestò infatti precocissime doti nel disegno, tanto che gli insegnanti si adoperarono per fargli continuare gli studi, anziché andare a lavorare com’era consuetudine nelle famiglie povere : “Si nota che l’alunno Fancello (…) ha spiccata tendenza per il disegno e le arti applicate, ed è meritevole di tutto l’aiuto…”[3]
Potè così lavorare come apprendista con altri coetanei selezionati nel “Laboratorio di Ciriaco Piras”, di cui restano alcune rare fotografie dell’epoca : il laboratorio di ceramiche era famoso in tutta la Sardegna perché esportava manufatti grazie a ordinativi continui, e da questa esperienza Salvatore Fancello trasse preziosi collegamenti che gli fruttarono, già nei primi anni a Monza, incarichi dedicati.
Nasceva infatti intorno al 1934 il marchio “Creazione Fancello” con i ‘suoi’ oggetti decorati, segnalati sulla rivista milanese “Domus” che era diretta dall’architetto e designer Giò Ponti : suo ammiratore e fedele sostenitore era anche Giulio Carlo Argan, già allora docente e famoso critico d’arte.
Per la realizzazione dei piatti e vasi commissionati, Salvatore mandava strette specifiche tecniche al laboratorio del cognato Simeone Lai a Dorgali : “Sulla faccia e sulle mani puoi lasciare il colore della terracotta che è bello. Stai attento coi colori e non fare delle cose caramellose. I colori devono essere puliti (poche mescolanze). Come vedi ti ho fatto degli schizzi, così mi sembra abbastanza per darti una idea del colore. In fondo tu che sei lì e vedi tutti i giorni i costumi, li sai più di me…”[4]
L’I.S.I.A. di Monza, nato come emanazione della ‘Società Umanitaria’ di Milano nel 1922 ma chiuso per difficoltà finanziarie nel 1943, fu una celebre istituzione socialista per l’assistenza ai lavoratori e consorziata coi comuni di Monza e di Milano per la gestione di una scuola d’avanguardia nella formazione professionale dei futuri ‘maestri d’arte’ : aveva sede nell’ala meridionale della ‘Villa Reale’ che il demanio statale aveva ricevuto da ‘Casa Savoia’.
Negli anni della sua frequentazione, Salvatore Fancello passò rapidamente da giovane taciturno e solitario ad interlocutore attento e colto verso gli stessi insegnanti, i quali apprezzavano ed incoraggiavano la sua arte ispirata all’onirico ed a una rivisitazione fantastica di personaggi ieratici, animali, piante, paesaggi fino alla sua ottima partecipazione alla ‘VI Triennale’ al ‘Palazzo dell’Arte’ di Milano – dove dal 1936 si era trasferito con gli amici Nivola e Pintori – presentando un’ampia parete graffita a soggetto ironicamente coloniale ed un mosaico di piastrelle litoceramiche firmato insieme a Costantino Nivola. Gli anni immediatamente successivi furono densi di riconoscimenti dalla critica e con prestigiose commissioni : Fancello lavorò a Padova, ad Albisola (SV), infine ricevette l’incarico dall’architetto Giuseppe Pagano – che, da antifascista morirà nel Lager nazista di Mauthausen sei anni più tardi - per un pannello celebrativo di circa dodici metri quadrati per la Sala mensa dell’Università “Luigi Bocconi” di Milano, che sarebbe stato installato nel 1941 con finanziamento dell’artista stesso : sul pannello Salvatore Fancello aveva ideato e realizzato una grande figura femminile bianca con lussuoso fondo in azzurro cupo. Ma, nel frattempo richiamato alle armi e nonostante in molti si adoperassero per evitargli il fronte albanese, e fra questi Costantino Nivola, Salvatore Fancello morirà in Albania nel marzo dello stesso anno, a poco meno di venticinque anni.
Già nel 1938 Costantino aveva scelto con la giovane moglie Ruth di trasferirsi negli Stati Uniti, dopo aver saputo che l’amico e pittore sardo Carmelo Floris era stato arrestato per antifascismo, e che lo stesso Nivola era ricercato. Salvatore Fancello, che iniziava allora una corrispondenza con la sorella di Ruth, Renata Guggenheim, non rispondeva all’invito di raggiungere l’amico, né insistette per ottenere l’esonero dal servizio militare. Il suo regalo di matrimonio per Costantino resta quel lunghissimo (668 cm x 29,4) “Disegno ininterrotto” a china ed acquerellato, su quella famosa carta telescrivente di cui Fancello era sempre fornito, un ‘continuum’ di giorni che preludono alle nozze in cui, alla nostalgia per una infanzia troppo breve si collegano apprensioni e forse tacite raccomandazioni sulla eredità di una Cultura, quella sarda, ormai così lontana : l’opera restò presso Giovanni Pintori che potè recapitarla agli sposi solo a guerra finita[5].
A Milano Costantino, collaborando già nel 1937 all’allestimento del ‘Padiglione Italiano’ alla “Esposizione Internazionale” di Parigi, aveva incontrato artisti spagnoli coi quali maturò sentimenti antifascisti ed anche a Parigi, dove sostò brevemente con Ruth prima di proseguire per gli Stati Uniti, offrì contributi al giornale del movimento ‘Giustizia e Libertà’ : giunto poi a New York trovò incarico come ‘art director’ per la rivista ‘Interiors’, e potè conoscere architetti e specialisti anche europei del design come Gropius, Breuer, ma anche De Kooning, Léger, Pollock coi quali strinse rapporti di amicizia; aderì alla ‘Mazzini Society’, associazione antifascista frequentata anche da Franco Modigliani e Toscanini e conobbe il giovane architetto Peter Blake. Fra il 1944 ed il 1946 nacquero i figli Pietro e Claire, ed ebbe la sua prima esposizione al “MoMa”[6] di New York.
Tuttavia la frequentazione delle teorie junghiane[7], approdate con popolarità negli Stati Uniti non lo soddisfaceva, in special modo quell’ imprudente ‘inconscio collettivo’ che Jung non potè che agganciare ad archetipi immanenti, la ‘Grande Madre’ soprattutto.
Per Costantino infatti la novità era Ruth, ‘donna partner’ e non ‘la’ musa, ispiratrice ma minacciosa nella sua idealità, uno degli astratti archetipi che riuscivano a commuovere solo alcuni, ingenui Modernisti[8].
Ed è davvero incisivo il percorso individuale e artistico di Costantino Nivola che lo porta a descrivere negli anni il distacco costruttivo da una donna-madre che nel 1958 egli raffigura ancora riconoscibile, gravata e resistente sotto il peso di un massiccio vaso tradizionale (“Tomba della madre”), per poi successivamente ed in più versioni sfumare nella pietra bianca delle ‘Civiltà cicladiche’ : un esempio è “Madre” (1981), simile ad una nuvola-totem da cui fuoriesce una breve canna e addirittura rassomigliante al precedente “Idolo” (1952) dove la pietra è svuotata al centro.
Nel 1946 Costantino incontrò Le Corbusier, con cui per quattro anni e generosamente divise lo Studio - come già era stato con Fancello e Pintori a Milano nello Studio di Corso Garibaldi : questa volta, però, nonostante le intemperanze caratteriali del geniale architetto.
Ma è grazie alla frequentazione di Le Corbusier che Nivola passò decisamente alla scultura ed a quell’ “arte informale”[9] che privilegiava la materia ed un modo speciale di trattarla. Nivola iniziò infatti una tecnica inedita che chiamerà ‘sand casting’, inventata giocando coi figli sulla spiaggia di Springs, a East Hampton e realizzerà un primo pannello in gesso per lo showroom “Olivetti” di New York che gli avrebbe tributato successo internazionale. E intanto fu nominato direttore del ‘Design Workshop’ all’Università di Harvard.
E’ presso la famiglia del giovane amico che l’architetto nomade di fama mondiale spesso si fermava ospite, e con sincero gradimento : lo vediamo infatti nelle foto d’epoca[10], incredibilmente e forse per la prima volta pacificato.
La frustrazione di Le Corbusier era stata aspra infatti nel suo secondo soggiorno a New York del 1946, da quella sua partecipazione al team internazionale di architetti a cui era stata commissionata la progettazione dell’edificio per le Nazioni Unite non fu affatto gratificato, e nonostante le sue precedenti validissime referenze : perciò nel tempo libero riprese a dedicarsi al disegno che considerava suo vero talento orientativo ed alla pittura, a cui si affacciava dopo aver incontrato il lavoro e l’apprezzamento da un già famoso Picasso[11].
Descritto, da chi lo osservava nelle lunghe sessioni di lavoro presso il Quartier Generale della Commissione a New York come un viaggiatore solitario e taciturno, in altre fotografie meno ufficiali restano invece le sue costruzioni insieme a Costantino ed ai bambini sulla spiaggia di Long Island, oppure i pic-nic sull’erba nel giardino di casa Nivola con Ruth e la piccola Claire in braccio.
Le lunghissime conversazioni fra Costantino e Le Corbusier, uomini così diversi ma entrambi intelligenti precursori diventarono un apprendimento reciproco che tracciò nella vita di ognuno dei due, profondi, proficui ed innovativi orientamenti : per l’architetto era impossibile sviluppare idee senza avere una audience, ma le domande e le osservazioni di Nivola furono incisive e durature per la sua stessa arte.
Negli anni fra il 1946 ed il 1953 della loro amicizia e compagnia, ‘Le Corbu’ – come amava soprannominarsi - pubblicò l’articolo “L’espace indicible” ed il volume “Poème de l’angle droit”[12] in cui affermava il primato del disegno e della pittura rispetto all’architettura in una continuità ideale che fu il vero ‘leit motiv’ di tutto il suo complesso, intelligente lavoro.
Per Nivola, le pitture murali realizzate da Le Corbusier nella sua casa di Long Island (‘Long Island mural’, 1950) furono un riferimento artistico indispensabile ed un segno certo d’amicizia da parte del più anziano architetto : perché finalmente ‘era’ la pittura capace di distruggere ‘il muro’ delle fissazioni insuperabili, riportando lo spazio ‘ineffabile’, o ‘indicibile’ del reale che poteva orientare la vita. Per Le Corbusier fu un vero ‘inizio’, e nonostante la sua età avanzata : per la prima volta il suo lavoro si faceva discorsivo, sottovoce e convincente anziché urlante, maestoso, generalizzato come nei primi frenetici, esplosivi decenni della sua attività.
Ed è di questi anni (1950-1955) la ‘sua’ deliziosa chiesa ‘Notre-Dame du Haut’ a Ronchamp, meta del pellegrinaggio di fedeli nella campagna francese.
Ma ancor più spicca il graziosissimo “Le Cabanon” (1950 – 1952), a Roquebrune-Cap Martin, definito da Le Corbusier “il mio castello di tre metri per quattro…”, incastonato nella Cote d’Azur disseminata di ville altezzose : di soltanto quindici anni prima era la maestosa Villa “Le Corbusier-Gallis”, progettata per sé e per l’adorata Yvonne che tuttavia non vi si trovava a proprio agio ed in cui le famose finestre ‘a nastro’ e le ‘porte basculanti’ della innovativa ‘machine à habiter’[13] tentavano di dissolvere una ancor ruvida distanza fra uomo e Natura.
La lezione appresa da Le Corbusier - sebbene allora, solo stancamente aggrappato ad un ‘continuum’ de-imputativo del ‘reale’ sulla realtà - portò Costantino Nivola a declinare la novità della sua arte laddove essa poteva essere apprezzata : così nel 1957 eseguiva la prestigiosa decorazione per il ‘Mutual Hartford Insurance Company’ di Hartford, nel Connecticut; nel 1965 realizzava a Nuoro la sistemazione della piazza dedicata al poeta Sebastiano Satta; nel 1967 realizzava sculture per la ‘Public School 320’ di Brooklyn, per la ’White Plains Plaza’, per il ‘Children’s Psychiatric Hospital’ nel Bronx a New York e per numerose altre città americane.
E nel 1978 cominciava l’insegnamento all’Università di Berkeley in California, dove tenne anche una personale.
La parabola della sua vita può essere considerato un Caso di competenza nella cura del proprio pensiero, dove il giudizio individuale di ‘danno cessante’ inaugura la caduta della propria dis-economia psicopatologica[14] che allontana l’arroganza del narcisismo e la ‘melencholia’.
Ma il potere di individuare il proprio partner di beneficio, lasciando cadere l’Ideale archetipo, resta un traguardo raro e soltanto umano, cioè logico ed economico insieme.
Marina Bilotta Membretti, ‘Lunedì dell’Angelo’ 13 aprile 2020.
P.S. Si ringraziano, per i materiali offerti :
- ‘Fondazione Nivola’, istituita ad Orani nel 1990 per iniziativa congiunta della Regione Sardegna, del Comune di Orani e della famiglia dell’artista, con lo scopo di promuovere la conoscenza delle opere di Costantino Nivola e di altre opere contemporanee.
- Biblioteca Civica di Biassono (MB), per l’opera di Salvatore Fancello.
[1] “Born In The USA” (1984), è un celebre brano rock del cantautore statunitense Bruce Springsteen.
[2] “Alla periferia del Paradiso. Il ‘Disegno ininterrotto’ da Salvatore Fancello a Costantino Nivola”, di Roberto Cassanelli – Jaca Book Wide 2003. Ringrazio la Biblioteca comunale di Biassono (MB) per la disponibilità di questo prezioso volume.
[3] Cit. da : “Fancello 1942”, di M. Labò: si tratta del certificato della Scuola di Avviamento professionale di Dorgali.
[4] Cit.: “Alla periferia del Paradiso. Il ‘Disegno ininterrotto’ da Salvatore Fancello a Costantino Nivola”, di Roberto Cassanelli – Jaca Book Wide 2003/ Lettera al cognato Simeone Lai, 1935.
[5] Nel 1988, alla morte di Costantino, Ruth Nivola regalò ‘Disegno ininterrotto’ al Comune di Dorgali , dove ora si può ammirare nella ‘Civica Sala Fancello’.
[6] ‘MoMa’, abbreviazione nota per ‘The Museum of Modern Art’ con sede a New York (U.S.A.).
[7] Carl Gusta Jung si allontanò dal lavoro di Sigmund Freud, dopo il viaggio del 1909 negli Stati Uniti compiuto con Freud stesso ed i Colleghi psicoanalisti Abraham Brill, Ernest Jones, Sàndor Ferenczi su invito della ‘Clark University’ per un ciclo di conferenze.
[8] Non facile da definire, il ‘Modernismo’ emerse, come corrente e movimento culturale, tra la fine del XIX e l’inizio del XX secolo, insieme al processo di urbanizzazione che rendeva obsoleti molti canoni della società borghese di inizio XIX secolo : si proponeva anche come rivoluzionario verso il primo capitalismo ed, in un certo senso, semplificatore delle sue istanze. Dovette confrontarsi con le devastazioni delle due Guerre mondiali.
[9] Per ‘arte informale’ si intende quella corrente, specialmente artistico-pittorica, critica verso il Modernismo puro ed il figurativismo, che nasce negli anni ’40 dall’espressionismo astratto americano dopo aver attraversato le distruzioni delle due Guerre Mondiali : la pittura si sottrae al rigore matematico e geometrico dell’astrattismo e si rivolge alla capacità espressiva di ciascun autore – ‘arte informale’ appunto – verso la materia che sceglie, lasciando quindi libertà alla capacità individuale di scegliere e trattare i materiali in opera.
[10] Vedi le foto originali in ”Le Corbusier. Lessons in Modernism”, Catalogo della Mostra svoltasi ad Orani (NU) Dic 2018 – Mar 2019 e curata da Giuliana Altea, Antonella Camarda, Richard Ingersoll, Marida Talamona.
[11] Pablo Picasso visitò nel 1949 a Marsiglia la ‘Unitè d’Habitation’, condominio di edilizia popolare progettato da Le Corbusier con le caratteristiche di quello speciale ‘Modernismo’ in Architettura, a cui diede il nome di ‘machine à habiter’.
[12] “L’espace indicible”, 1946 in “L’architecture d’aujourd’hui”, numero speciale Novembre – Dicembre, in ”Le Corbusier. Lessons in Modernism”, Catalogo della Mostra svoltasi ad Orani (NU) Dic 2018 – Mar 2019 e curata da Giuliana Altea, Antonella Camarda, Richard Ingersoll, Marida Talamona.
[13] ‘Machine à habiter’ : Le Corbusier comincia a parlarne in “Vers une architecture” (1923) ed intende una casa che sia comoda, ben progettata anche se piccola o popolare, proprio come una macchina che viene costruita intorno al corpo umano quando si muove rapidamente; sarà funzionale e con cinque caratteri costruttivi : pilastrini leggeri per appoggiarsi al suolo, un tetto-giardino con funzionalità anche condominiali, pianta e facciata libere, finestre a nastro (cioè continue, per permettere la visuale dall’interno all’esterno).
[14] In “Un uomo che ha domani”/ ‘Opera Omnia di Giacomo B.Contri’ 2015 – Sezione ‘Saggi, testi pro-manuscripto’, l’autore e psicoanalista Giacomo B. Contri riprende le figure della diseconomia psicopatologica, ‘danno emergente’ e ‘lucro cessante’ a cui aggiunge una terza figura, ‘lucro non emergente’ (pag.19)

Un progetto favorevole : la ‘molla’ di Leonardo.
Total black per il secondo abito di “Leonardo prigioniero del volo”[1], in mostra a Milano.Riferim.:0_5438305_125008.jpg
“Ho scelto la molla, perché è una tra le più grandi invenzioni di Leonardo e venne utilizzata da generazioni di scienziati della meccanica.
Vorrei rappresentare il giro ed il percorso a spirale su un lungo abito aderente al corpo della donna.
Il giro della spirale sale dai piedi verso il bacino.
Il meccanismo della molla viene riportato anche nelle maniche, mentre un semplice dettaglio a spirale sale dalla scollatura del petto verso il collo. Quest’ultimo è creato con materiale di bigiotteria.
Ho voluto creare un delicato gioco di design attraverso un tessuto semitrasparente colore scuro, per questo ho scelto il nero : per attenermi all’eleganza dell’abito da sera.”
Il raffinato abito è stato realizzato da “Catena in movimento”, iniziativa imprenditoriale sorta grazie ad alcuni giovani detenuti della Casa di Reclusione di Milano Bollate con l’obiettivo di una “giustizia riparativa” prevista dal nostro Ordinamento giuridico, e che ha permesso anche l’avvio di un Laboratorio sartoriale gestito all’interno del carcere. La dottoressa Simona Gallo, funzionario giuridico pedagogico del Ministero di Grazia e Giustizia e referente verso le Istituzioni, ha saputo raccogliere l’idea del Progetto nata in carcere, fino a rendersi curatrice della Mostra.
Suo compito istituzionale è infatti raccogliere i dati anamnestici e famigliari fino a quelli processuali di ogni giovane detenuto che le venga affidato, accompagnandolo ragionevolmente anche nel favorirne autonomia e responsabilità, a partire dal suo ingresso in Casa di Reclusione fino al termine della detenzione : una figura professionale davvero poco conosciuta dalla società ma che ricopre una posizione delicatissima ed indispensabile.
Il Laboratorio sartoriale di ‘Catena in movimento’ aveva già realizzato manufatti, allestendo il primo Mercatino di Primavera 2019 aperto al pubblico, con un risultato sorprendentemente soddisfacente : per il Progetto “Leonardo prigioniero del volo” ha potuto avvalersi della collaborazione formativa di “Il Teatro della Moda”, Scuola di alta formazione sartoriale che ha anche offerto alcune borse di studio ai detenuti meritevoli, permettendo così loro di proseguire una cospicua formazione professionale.
La opportunità che Leonardo Da Vinci si fosse trovato nella difficoltà di realizzare un ‘carro semovente’[2] , o meglio ‘un carro da guerra’ come gli era stato chiesto di progettare – ciò che ha ispirato anche l'abito “Carro armato”, riprodotto nel precedente post di oggi – lo ha mosso ad accorgersi che persino un automa meccanico, per arrivare a muoversi deve ricevere una spinta, una energia cioè proveniente da altro che non sia l’oggetto immobile stesso.
Egli ideò, progettò e realizzò così la ‘molla’, ‘forma’ capace di immagazzinare energia potenziale utilizzabile successivamente nel produrre lavoro, cioè differenziale e quindi moto in una varietà ampissima di orientamenti.
In “Psicologia delle masse e analisi dell’Io” Sigmund Freud riprende il meccanismo della molla per distinguere ciò che ‘spinge’ il singolo nella sua individualità, da ciò che lo ‘sospinge’ per l’urgenza di una massa da cui egli si riconosce dipendente.
E’ del lavoro psicoanalitico, infatti svelare la libertà con cui ciascuno può individuare la ‘propria’ molla e quindi difenderla, o correggerla.
L’intuizione originalissima di questo abito delizioso sfuggì purtroppo alla severa razionalità ed al rigore di Leonardo Da Vinci : una ‘molla’ capace di ripercorrere il corpo della donna quando comunica e produce energia in chi la onora.
Marina Bilotta Membretti, Cernusco sul Naviglio 14 febbraio 2020
[1] “Leonardo prigioniero del volo” è il Progetto nato dalla intuizione di alcuni giovani detenuti della II Casa di Reclusione di Milano Bollate e che ha raccolto la collaborazione di ‘Il Teatro della Moda’, Industrie Ratti SpA, Comune di Milano e V.I.D.A.S. per l’assistenza ai malati inguaribili : ha realizzato una Mostra di abiti presso Palazzo Morando a Milano, conclusasi lo scorso 5 gennaio ed il cui ricavato sarà devoluto per il primo hospice pediatrico in Lombardia.
[2] I disegni del progetto per un carro semovente sono conservati nel ‘Codice Atlantico’ (Codex Atlanticus, 1478-1518), la più ampia raccolta di appunti e schizzi progettuali di Leonardo Da Vinci, che si trova presso la Biblioteca Ambrosiana di Milano.
L'inganno dell'automa

L’inganno dell’automa : di cosa si accorse Leonardo Da Vinci.
Nella foto, “Carro armato”, l'abito di "Leonardo prigioniero del volo" in mostra a Palazzo Morando fino al 5 gennaio scorso ed ispirato alla invenzione di un 'carro da guerra' : è stato realizzato dal Laboratorio sartoriale di ‘Catena in movimento’ col patrocinio del Comune di Milano ed il supporto di “Il Teatro della Moda”, Industrie Ratti SpA, V.I.D.A.S. per l’assistenza a malati inguaribili.//Riferim.: 0_5438302_125008.jpg
“Nel 1030 Leonardo da Vinci inventa il carro armato, come si può dimostrare fra le pagine del codice Arundel[1].
Il progetto di Leonardo raffigura una forma a testuggine rinforzata con piastre metalliche, sormontate da una torretta interna di avvistamento.
Il movimento di questa macchina è garantito da otto uomini che, dall’interno, azionano un sistema a ingranaggi collegato alle quattro ruote…”[2]
Chiamato a progettare un ‘carro semovente’ - presente anche nel 'Codice Atlantico', presso la 'Biblioteca Ambrosiana' di Milano - Leonardo si accorse ben presto che ogni automatismo è solo apparentemente ‘auto’-matico : tuttavia ciò che lo muove può restare nascosto e latente, ed egli s’ingegnò ad individuare i passaggi di un meccanismo riproducibile, che resta possibile nella meccanica ma non altrettanto nel pensiero e nell’umano.
Come titola l’abito “Carro armato”, l’invenzione del ‘carro semovente’ fu presto utilizzata come spaventosa e micidiale ‘macchina da guerra’ fra i Signori del Rinascimento : ma restano famose anche le ‘macchine sceniche’ di Leonardo Da Vinci che a Milano arricchirono le feste alla Corte di Ludovico Sforza, detto il Moro.
Altrettanto diffuse, tuttavia e con soddisfazione ereditate dal primo ‘carro semovente’, sono poi numerose altre ‘macchine’ di Leonardo, nel tempo divenute indispensabili alla società e persino parte integrante del nostro vissuto, anche visivo e sensoriale.
“…Abbiamo scelto di lasciarci ispirare da questo soggetto perché tra le opere e invenzioni di Leonardo da Vinci è quello che a nostro avviso possiede una forma molto scenografica, capace di fornirci degli spunti geometrici accattivanti adatti a disegnare e progettare un vestito da donna.
L’abito riprende le parti più caratteristiche del carro armato : le forme tonde e concave sono state rappresentate sul disegno nella parte inferiore all’abito; la gonna, che è un insieme di pieghe
“plissé”, vuole ricordare le assi di legno; mentre la parte della testuggine è stata realizzata su un soprabito.
Tutte le pieghe avranno dei bottoni con tre dimensioni diverse : iniziando dalla più piccola, passando per la media e arrivando alla più grande, per riprendere il dettaglio dei tasselli sulle assi di legno.
Per creare il volume all’abito e quindi creare quella forma concava vuota all’interno, sono stati progettati degli strati in rete o crinolina.
Inoltre questo abito è stato arricchito dai colleghi di reparto del laboratorio artistico Artemisia che si sono occupati di dipingere il disegno originale pensato dall’artista e genio: il carro armato.
Il tessuto scelto per questo vestito è una seta in colore marrone scuro, per attenersi all’idea del legno”.
Ma l'abito segnala anche una preziosa intuizione, quella del bivio – tutto umano e quindi non meccanico né automatico – nel decidere la direzione del moto, negativa oppure favorevole.
Marina Bilotta Membretti, Cernusco sul Naviglio 14 febbraio 2020
[1] Il ‘Codice Arundel’, acquistato dal viaggiatore e collezionista Louis Arundel nel 1630 mantiene una origine misteriosa, contiene gli studi ed i progetti più diversi – dallo scafo di un sottomarino a strumenti musicali. Composto dopo la morte di Leonardo Da Vinci, ora si trova a Londra presso il ‘British Museum’.
[2] Il testo virgolettato è tratto dalla descrizione dell’abito presentato a Palazzo Morando e realizzato dal Laboratorio sartoriale di ‘Catena in movimento’, iniziativa imprenditoriale avviata da giovani detenuti della II Casa di Reclusione di Milano Bollate, nell’ambito di “Giustizia riparativa” prevista dal nostro Ordinamento giuridico.