Fragole

“ …capacità di porre norme, ossia di statuire rapporti sanzionati secondo merito. E’ la capacità insita in una prima cittadinanza, i cui rapporti non attendono tutela dalle norme della seconda cittadinanza, comunemente nota come ‘diritto statuale…”[1]
Illustrazione di Jacopo Ricci/ Rifer.:0_5458846_125008.jpg
“ …Con la nascita (tempo zero), un bambino viene in contatto con l’altro, esterno al proprio corpo-pensiero e ne sanziona immediatamente l’offerta in termini di piacere / dispiacere, il dis-piacere essendo direttamente riferito ad un non-benessere : il pianto sanziona il dispiacere / in-soddisfazione, il sonno sanziona il piacere / soddisfazione.
Successivamente (tempo uno) arriva a distinguere l’ec-citamento che arriva a soddisfazione da quello che non arriva a soddisfazione : da solo non può soddisfare la fame, modificare la luce od il rumore esterno. Anche alcuni dis-metabolismi organici con sofferenza, il diabete, l’epilessia benigna per esempio, non sono ancora diagnosticabili.
E’ in un tempo-due che l’altro-partner, o più altri possono essere individuati come presenza fisica favorevole, perché consentono il soddisfacimento di un desiderio / ec-citamento altrimenti non possibile. Ammettere l’altro-partner nel proprio (principio di) piacere – è il coniugio – elaborandolo in ‘soddisfazione’, è un traguardo unico e senza ritorno.
Tutte le successive esperienze di piacere / dispiacere saranno giudicate rispetto alla novità / supplemento della soddisfazione. La sedazione stessa avrà d’ora in poi una funzione surrogatoria e consolante, quindi insoddisfacente.
Il bambino allora individuerà il proprio ben-essere nella presenza fisica dell’altro, o altri-partners predisponendo il proprio corpo-pensiero (lavoro-uno : offrire il proprio corpo-pensiero a ricevere soddisfazione è ‘investire all’esterno’ / lavoro) a ricevere soddisfazione. E’ già lavoro, in quanto elaborazione individuale di un inconscio-che-non-può-attendere. Ed è un investimento, orientato cioè economicamente.
In un tempo-tre, il bambino arriva ad elaborare un per-fezionamento (lavoro-due) della propria domanda specifica all’altro-partner.
E’ nella conferma di questa concludente soddisfazione, in cui il bambino ha chiamato / favorito / propiziato l’altro-partner ad offrire per il conseguimento della propria meta che egli può sperimentare ‘io’, individuato in quanto potente verso l’Altro.
L’apprendimento della parola accelera l’elaborazione dell’appuntamento con l’Altro, solo se può essere collegato ad un ulteriore (sur)plus della soddisfazione.
I dati su questi quattro tempi dell’inizio sono indispensabili per la cura di una psicopatologia…”[2]
Marina Bilotta Membretti, Cernusco sul Naviglio 22 aprile 2020

Paraclito, fino a farsi vicinissimo.
Sensibilità, lucidità, disponibilità sono doti ripetibili : ‘Studio femminile’ e ‘Luci ed ombre’ concludono la rassegna su TutorSalus.net. ‘Leonardo prigioniero del volo’ www.leonardoprigionierodelvolo.com devolve il ricavato dalla vendita degli abiti a V.I.D.A.S. per il primo hospice pediatrico in Lombardia.
‘Studio femminile’ (riferim.: 0_5448598_125008.png) per il Progetto ‘Leonardo prigioniero del volo’ www.leonardoprigionierodelvolo.com : offre da vicino il complesso lavoro collaborativo che ne ha consentito la realizzazione.
La pittrice Nadia Nespoli cura da quasi nove anni il Laboratorio di pittura ‘Artemisia’ presso la ‘II Casa di Reclusione di Milano-Bollate’. Per la Mostra ‘Leonardo prigioniero del volo’, il Laboratorio ‘Artemisia’ ha dipinto otto dei trenta abiti presentati.
Ecco la descrizione dell’abito ‘Studio femminile’ che ha richiesto, oltre ai ritratti di donna dipinti sui petali che formano l’ampia gonna, anche un complesso lavoro di ricamo arricciato, ben visibile nella foto del particolare.
“Durante la progettazione di quest’abito abbiamo scelto di prendere ispirazione da ‘Lo Studio Femminile’ di Leonardo da Vinci, perché ci ha colpito come l’artista abbia studiato dettagliatamente ogni particolare del volto femminile: lo consideriamo una sorta di omaggio alla bellezza delle donne, cui abbiamo voluto rendere onore costruendo un abito studiando la bellezza femminile in tutta
la sua espressione.
Abbiamo progettato un vestito molto lungo ed espressivo, con molto volume dal bacino in giù e una coda molto lunga.
Per la parte superiore, il corpetto è caratterizzato da una scollatura posteriore a spalle scoperte.
I volti studiati dallo “Studio Femminile” di Leonardo sono dipinti su vari petali che formano la gonna dell’abito. L’artista che ha dipinto i volti fa parte del laboratorio Artemisia.
Il vestito è composto da seta in color avorio molto chiaro, con alcuni dettagli eseguiti con la tecnica della manipolazione di tessuto.”
Ed ecco l’abito ‘Luci ed ombre’, presentato alla Mostra presso Palazzo Morando a Milano fino allo scorso 5 gennaio.
“…Una delle osservazioni che mi ha colpito di più è:
‘...Guarda il lume’, egli dice (Leonardo Da Vinci, ndr) ‘e considera la sua bellezza.
Batti l’occhio e riguardalo: ciò che di lui tu vedi
prima non era, e ciò che di lui era più non è...’.
Anche nel pensiero di Leonardo l’Universo non è fermo: è sempre in movimento o nell’atto di modificarsi. Esso riflette la percezione che l’Essere è nel tempo che scorre, il quale è sempre mutevole e irripetibile.
Infatti, a parte i disegni eseguiti per le opere di pittura, scultura e architettura, le altre realizzazioni di Leonardo lasciano tutte percepire le sue indecisioni.
L’abito è stato progettato con una lunga gonna tagliata a spicchi che si aprono come l’irraggiamento della luce.
Ho creato un abbinamento di stoffe con la seta e chiffon dello stesso colore per creare un gioco di luce e ombra, di chiari e scuri.
I disegni dello studio di Leonardo sulla luce e le sue proiezioni sono stati dipinti dalla pittrice milanese Elena Rudatis.”
Marina Bilotta Membretti, Cernusco sul Naviglio 22 marzo 2020

La fedeltà raddoppia.
La vera storia di Bianca Maria Visconti e di Francesco Sforza.
Nella foto, il particolare dell’affresco sul pilastro della navata centrale (autore ignoto) con Santa Caterina d’Alessandria e Santa Chiara da Montefalco nella chiesa di Santa Maria Incoronata a Milano/ Riferim.: 0_5444891_125008.jpg/ Ringrazio Maurizio Calì dell’Associazione ‘Italia Medievale’ per la eccellente visita di sabato 7 marzo 2020.
Popolare fra i milanesi, ma forse poco nota a chi viene da fuori, la chiesa di Santa Maria Incoronata nasce dalla storia d’amore fra due nobili coniugi medievali che, proprio col loro matrimonio consentirono la prosecuzione ed ugualmente diedero avvio alla decisiva dinastia ducale dei Visconti – Sforza.
Si tratta infatti di Bianca Maria Visconti, unica erede del famigerato Filippo Maria Visconti, che a cinque anni era stata promessa in sposa dal padre a Francesco Sforza, astuto e intraprendente condottiero di origini marchigiane, e di venticinque anni maggiore della sposa : il matrimonio fastoso, ed a cui seguirono i tradizionali sette giorni di festa bandita fu celebrato nel 1441 a Cremona, di cui Bianca Maria Visconti era signora cioè ‘comitissa’.
Ma la morte, nel 1447 di Filippo Maria Visconti aveva esposto Milano al caos politico ed alla guerra civile, da cui il Comune tentò di difendersi proclamando la Repubblica di Milano : tenuta in stato d’assedio dal capace marito di Bianca Maria, il quale arrivò a prosciugare i Navigli pur di prendere la città, Milano si arrendeva senza opporre resistenza e Francesco Sforza potè entrare a cavallo da Porta Nuova, trovandosi così a passare davanti alla ‘prima’ chiesa di Milano, che allora si chiamava Santa Maria di Garegnano e nella quale scelse dunque di farsi incoronare Duca di Milano nel 1451. Accanto alla chiesa i padri agostiniani avevano già restaurato il loro convento che tuttora conserva uno splendido chiostro con annessa biblioteca.
Nel 1461, in segno di gratitudine e di fedeltà al marito, principale artefice della ‘Pace di Lodi’ fra gli Stati italiani e della rinascita di Milano, Bianca Maria Visconti decise di raddoppiare la chiesa, facendone costruire una identica sul fianco destro e collegata in modo da ottenere una chiesa unica ma con due navate e due absidi, ed i lavori si protrassero fino al 1484 ben oltre la morte di Francesco Sforza avvenuta nel 1466.
La chiesa risulta ancora oggi un insolito ed unico gioiello di Milano e, grazie a Bianca Maria Visconti si sarebbe dunque chiamata Santa Maria Incoronata : sul portale originale di sinistra è raffigurata Maria con a fianco la lapide sepolcrale di Francesco Sforza, mentre sul nuovo portale di destra è raffigurato San Nicola Tolentino, a cui Francesco Sforza era devoto, con a fianco la lapide sepolcrale di Bianca Maria Visconti.
La chiesa è elegante, luminosa e raccolta al tempo stesso perché mantiene lo stile tardo gotico di molte chiese lombarde ma si affaccia già all’incipiente architettura del Rinascimento ed al magnifico Bernini : nella cappella della chiesa originale si può ammirare il lacerto di uno splendido e raro affresco di Ambrogio da Fossano detto il Bergognone (1453 circa-1523), ‘Cristo al torchio’ – forse il primo esempio in Italia - con i cartigli tutt’attorno sul mistero e miracolo del Sacramento eucaristico e della Chiesa.
Bianca Maria Visconti, che seppe muoversi con intraprendenza e diplomazia in mezzo alle tante guerre e contese fu madre, fra gli altri, di Galeazzo Maria Sforza e di Ludovico il Moro.
Marina Bilotta Membretti, Cernusco sul Naviglio 8 marzo 2020

La tortellinatrice[1], ovvero l’Inferno di Belzebù[2] di mistici ed indifferenti.
Particolare dell’affresco con Belzebù nella Cappella Bolognini in San Petronio, a Bologna/ Rifer.:0_5432988_125008.jpg
“…Nel caso in cui la Cappella sita nella chiesa di San Petronio, della quale lo stesso testatore è patrono, al momento della sua morte, non fosse terminata di fabbricare e dipinta, dovesse essere completata dagli esecutori testamentari nei modi seguenti :
facendo costruire una porta con due battenti chiusi per metà e aperti nell’altra metà, a mo‘ di grata con chiodi di rame dorato e, sotto, con tondi contenenti varie figure così come si vede nella porta di Santa Maria di Porta Ravegnana.
La Cappella dovrà poi essere dipinta da un buon pittore in questo modo : il soffitto dovrà essere azzurro, di buon colore dal prezzo di due ducati per libbra, con stelle dorate così come si vede nella cappella sita nella chiesa del Signore di Sabina,
e nella parete laterale della stessa Cappella verso la piazza del Comune di Bologna, fino a metà della stessa parete, dovrà essere dipinta la gloria della vita eterna
e dalla metà della stessa parete dovranno essere dipinte le pene dell’inferno, orribili quanto più è possibile,
e nell’altra parete della Cappella dovranno essere dipinte le storie dei tre Magi che occupino l’intera parete…“[3]
Il 10 febbraio 1408, a lavori quasi ultimati Bartolomeo Bolognini dettava così al notaio Lodovico Codagnelli le sue volontà testamentarie : discendente da una famiglia di setaioli di Lucca che si era trasferita a Bologna a metà del XIII secolo attratta dalle facilitazioni tributarie che in quella città si offrivano ai filatori di seta e facendo così la propria fortuna economica, nel 1404 aveva acquistato il giuspatronato sulla quarta ed ultima Cappella di San Petronio dal Comune di Bologna che aveva edificato la basilica.
Bartolomeo Bolognini non era allora in punto di morte, chè anzi gli anni a venire gli avrebbero riservato ancora soddisfazioni e, nonostante non si fosse mai impegnato in politica in quegli anni peraltro assai instabili e non solo a Bologna, la sua elegante casa cittadina posta vicino ai due filatoi a cui era concesso attingere la forza idraulica per i due mulini dal canale Savena, accoglieva ospiti illustri sia della città che degli antipapi.
La Chiesa stava attraversando infatti, dalla morte di papa Gregorio XI nel 1378 e la successiva elezione di papa Urbano VI una delle crisi più gravi della sua storia che culminò con la elezione degli antipapi ad Avignone da parte di cardinali dissenzienti che non riconoscevano il pontefice legittimo di Roma ed operavano parallelamente come se Avignone avesse una sua qualche legittimità : a ciò si aggiunse che nel 1409 il card. Cossa arrivò a radunare a Pisa un Concilio che portò alla elezione di un terzo papa, anch’esso non legittimato, col nome di Alessandro V, che nel gennaio 1410 fece il suo ingresso a Bologna, diventata così terza sede pontificia.
Quale patrono di una delle Cappelle della Basilica, Bartolomeo Bolognini s’investì quindi di una funzione solenne, e tuttora incuriosisce quel suo sottolineare nel testamento che : “…dovranno essere dipinte le pene dell’inferno, orribili quanto più è possibile…“
In effetti, per la società medioevale non esisteva la possibilità del Purgatorio.
Al centro della scena, molto ben visibile allo spettatore ecco Belzebù, funzionario meticoloso ma incapace di generare figli, perchè non ha sesso : è al servizio di un Ente reale (passato è infatti il tempo della vita sulla terra in cui i peccatori avevano ancora la possibilità di ravvedersi, giudicando il male fatto...)
‘Pensare‘, facoltà di sintesi specifica dell’umano, qui non è più possibile : è il regno della in-differenza e della non-differenza, anche fra i sessi.
Sono i ‘traditori‘ – Giuda e Bruto - ad essere i più crudelmente puniti, nella loro in-differenza al beneficio ricevuto ed al benefattore : condannati a ‘non‘ essere riconosciuti, vengono ingoiati all’ingresso e rigettati all‘uscita, nell‘automatismo in-differente e in-finito della macchina-Belzebù – macina, mulino o tortellinatrice – che non riconosce ‘oggetto‘ da ‘vivente‘, e guai a finire nei suoi meccanismi da tortura.
Adulatori, golosi, mediocri, incantatori, seduttori, generalmente trascurati nella vita terrena, qui invece sono condannati a pene terribili, e proprio nel corpo che tanto hanno offeso.
Ma la visione dell’affresco è incredibilmente catartica, cioè non angosciante : anzi raccoglie perfino consensi e tuttora, a giudicare dalle espressioni soddisfatte di chi, pur avendo pagato il biglietto per entrare a vedere, approva convinto all’uscita dalla Cappella.
Per por fine a quel caos, l’imperatore Sigismondo di Lussemburgo avviò infine il Concilio di Costanza che si protrasse fino al 1417 quando, deposti gli ultimi antipapi, venne eletto col nome di Martino V l’unico successore legittimo di San Pietro : il maggio 1415, data della deposizione di Giovanni XXIII può infatti essere anche considerata il termine degli affreschi della Cappella dei Bolognini, ai quali ora conveniva smontare il più rapidamente possibile ponteggi e impalcature interne, pur di non proseguire le decorazioni con l’immagine dell’antipapa di Bologna.
Ed infatti il lunettone di destra è tuttora l’unica parte della Cappella rimasta incompiuta.
Marina Bilotta Membretti, Cernusco sul Naviglio 25 gennaio 2020
[1] La prima tortellinatrice è stata brevettata a Bologna da Zamboni & Troncon, azienda fondata da due operai provenienti dall’Arsenale Militare, che nel 1912 ottenne per questa macchina la medaglia d’oro al Premio Umberto I : un esemplare è stato esposto nel 2015 a Milano, al Museo Nazionale della Scienza e della Tecnologia nel percorso #FoodPeople, coi menù italiani del passato e contemporanei.
[2] Gli affreschi per la parete sinistra della Cappella, citati da Bartolomeo Bolognini nel suo testamento, furono eseguiti da Giovanni Da Modena dopo il 1408, quando il pittore fu chiamato a sostituire Jacopo di Paolo che dovette abbandonare l’opera.
[3] Sebbene non in originale, il testamento di Bartolomeo Bolognini esiste in varie copie, sia presso l’Archivio di Stato di Bologna, sia presso la Biblioteca Comunale dell’Archiginnasio e presso l’Archivio della Fabbriceria di San Petronio (Libro rosso III dei testamenti). La “chiesa del signore di Sabina” si riferisce alla chiesa di San Clemente, all’interno del Collegio di Spagna fondato dal card. Gil de Albornoz, arcivescovo di Sabina.

“V…va bene così?”
“Sì, ma sbrigati dai!”
Giuditta[1], in Caravaggio[2] (1599).
L’ingenuo candore di una troppo giovane e povera Giuditta che, forse per fame, ha accettato la commissione per poi ritrovarsi smarrita e disgustata dal sangue di Oloferne rantolante e ancora vivo, la espone – secondo Caravaggio - alla ricerca di un consenso ingannevole, che non potrà che chiedere all’unico suggeritore presente, la vecchia serva impotente che ha fretta di concludere.
Spartiacque fra la vittima e la sua persecutrice è un sipario rosso, di cupo forse velluto che cala dall’alto senza prese apparenti : e gli applausi vanno senz’altro al magnifico Oloferne-Caravaggio, splendido precursore di quel ‘Grand Guignol’ che a Parigi fece successo per quasi un secolo[3].
Chiamato a rappresentare quel brano biblico assai controverso che entrò nella Bibbia cattolica solo nel IV secolo d.C. in occidente - ed in oriente addirittura nel VI secolo - e che non fu accolto dalla Bibbia ebraica né da quella protestante, Caravaggio interpreta con ragionevolezza e realismo la incerta liberazione della città giudea di Betulia dall’assedio posto da Oloferne, generale assiro - cioè persiano - agli ordini di Nabucodonosor[4] per mano della bella, giovane e ricca vedova Giuditta a cui venne attribuito il ruolo salvifico – ma niente affatto credibile – di capro espiatorio per un assassinio ordito altrove e per opera di chissà chi : nel quadro Giuditta, curva per il peso del ferro viene colta con in mano la pesantissima scimitarra che il Caravaggio descrive sapientemente e già macchiata del sangue altrui, che la orripila quasi come la giovane inserviente chiamata in cucina a sgozzare per la prima volta gli animali da cortile.
Marina Bilotta Membretti, Cernusco sul Naviglio 17 gennaio 2020
<Riferim.illustraz.: 0_5430966_125008.jpg>
[1] “Giuditta ed Oloferne”, esposto a Roma a Palazzo Barberini/ Gallerie nazionali d’arte antica, è stato scelto dallo psicoanalista Giacomo B. Contri per il Simposio 2019-2020 “Potere e innocenza”, offerto agli iscritti di ‘Studium Cartello’ a Milano.
[2] Michelangelo Merisi detto ‘il Caravaggio’, nacque a Milano il 29 settembre 1571 e morì a Porto Ercole nel 1610 : i genitori, originari di Caravaggio (Bg) vennero ad abitare a Milano dove il padre era ‘magister’ presso i cantieri delle chiese; fra i 13 ed 17 anni lavorò a bottega, ma non continuativamente e pur con contratto, presso Simone Peterzano, allievo di Tiziano, e presso altri maestri : lasciò Milano nel 1592 e non vi fece più ritorno. La sua pittura, infine apprezzata solo nel XX secolo, creò però fra i suoi contemporanei e successori la corrente del ‘caravaggismo’.
[3] ‘Grand Guignol’ è il nome del teatro di Parigi (1897-1963) dove si rappresentavano spettacoli cruenti con scene di crudeltà a cui correva ad assistere una folta schiera di spettatori entusiasti.
[4] Nabucodonosor, noto come ‘re degli Assiri’ regnò fra il 605 ed il 562 a.C.