Robert Doisneau, chasseur d’images.

Ciò che l’occhio non aveva ancora colto, ma che fa ‘catturare l’immagine’/ Riferim. illustraz: 0_5419075_125008.jpg

 

 

 

“Mi sento euforico ad osservare… fino a non poterne più”.[1]

 “Si arriva in un luogo, mi piace, c’è qualcosa… c’è un attimo decisivo in cui tutto è in armonia, fra le cose intorno… Poi le persone si mettono nella foto e click, è fatta!

E’ molto stressante, quando scatto l’immagine, perché : la perderò ? …no, è bella!” 

Allontanatosi giovanissimo dalla famiglia e dalla periferia, che “…odiavo fino a desiderare di distruggerla…” ricorda Doisneau, a ventidue anni incontra Pierret e decidono di sposarsi subito : Robert lavora portando con sè la moglie e presto le due figlie, Annette e Francine e poi cognati, amici come una movimentata tribù da cui non si separerà mai.

Sono gli anni, fra il 1934 ed il 1938, del suo lavoro come operaio in ‘Renault’.

“ ‘Renault’ non ha alcun senso dell’umorismo – commenta Robert a proposito del datore di lavoro – e riesce a governare solo incutendo terrore…” I servizi fotografici nella fabbrica ‘Renault’ e soprattutto le critiche al ‘sistema’, le frequenti assenze per correre in laboratorio a sviluppare le pellicole non piacciono a Monsieur Renault ed arriva il licenziamento. Doisneau comincia però a prendere sul serio la ‘fotografia’ e dai servizi occasionali venduti ai giornali arriva a procurarsi incarichi più duraturi. 

E’ già il tempo della propaganda nazista, e poi di quella che Doisneau chiama la “fottuta guerra…” E lavora con un socio, Paul Baravet detto Babà che gira Parigi in bicicletta per portare le foto ai clienti e che, con la sua aria innocente riesce a salvare tantissimi dalla deportazione e dai campi di concentramento. Robert si rifiuterà sempre di fotografare l’indicibile, anche nelle sue foto più dure prevale l’aspetto leggero della vita.

C’è “…molta povertà dappertutto e vita amara a Parigi, ma si può pensare che la gente sa divertirsi”, commenta tornando a fotografare la periferia, e ne osserva attentamente le dimensioni, i nuovi colori.

“Per scusarsi, hanno colorato…”, dice senza mai essere caustico. 

L’occhio non raccoglie subito ciò che fa ‘catturare l’immagine’ : è solo dopo, in laboratorio sviluppando la pellicola, che ‘quel’ particolare che lo scatto aveva raccolto prima di averlo registrato, finalmente si rende evidente. E Robert se ne rende conto confrontando il risultato con ciò che non ricordava di aver visto.

Più tardi, quando nascerà la ‘Fotografia umanista[2]’ che è già una concezione di vita e della quotidianità e non invece regole prestabilite, Doisneau nominerà per la prima volta l’ ‘inconscio ottico’ che ben orienta verso quel ‘prendere’ dell’occhio che ‘cattura’ e che infatti è secondario al ‘contatto’ riservato alla pelle. 

“Negli Stati Uniti la gente balla tenendosi ad una certa distanza…”, osserva Robert e sembra divertito durante il suo soggiorno negli anni ’80, quando già lavora per il settimanale ‘Life’.

Sono gli anni in cui, proprio negli Stati Uniti nasce il mercato della fotografia :  Doisneau presenta un proprio portfolio, curato da Monah Gettner, attrice presente nel film-documentario “Robert Doisneau, le rèvolte du merveilleux”.

Ed inaspettatamente il lavoro di Doisneau verrà raccolto dai maggiori fotografi americani che sapranno rendersi i migliori interpreti di questa nuova arte.   

“Tu scatti – diceva Robert Doisneau – e fa già parte del passato”. 

     

                                                 Marina Bilotta Membretti, Cernusco sul Naviglio 29 novembre 2019 

 

 

 

[1] La citazione, come le successive di questo editoriale è tratta da “Le rèvolte du merveilleux” (2016) – in italiano “La lente delle meraviglie” - film-documentario di Clementine Deroudille e con, oltre Clementine Deroudille, Eric Caravaca, Sabine Azèma, Quentin Bajac, Jean Claude Carriere.

[2] La ‘Fotografia umanista’ nasce negli anni ’30 con Henry Cartier-Bresson (1908-2004) : “l’oggetto della foto è l’uomo, l’uomo e la sua vita così breve, così fragile, così minacciata…” Diventa però un fenomeno sociale e pubblico solo nel 1950, appena finita la 2° Guerra mondiale con “Le Baiser de l’Hotel de Ville” di Robert Doisneau, pubblicata senza rumore sul settimanale statunitense “Life”, a cui Doisneau già collabora : proprio questa fotografia anzi, diventerà il Manifesto di una nuova tendenza. Doisneau acquisterà fama presso il grande pubblico con la Mostra realizzata a New York nel 1955, “The Family of Man” e curata da Edward Steichen.