“Storie!”

“La parola alla difesa”, fu pubblicato da Agatha Christie nel 1933. Illustrazione originale di Stefano Frassetto.[1]

 

 

Si dice di Agatha Christie che fosse solitaria e che, fin da ragazza, preferisse le letture alle amicizie che le venivano presentate : sappiamo però che fu capace di costruire un ben corroborato giudizio sull’appuntamento e sull’affidabilità.

“La parola alla difesa” non è fra i suoi romanzi più famosi, così insolitamente pacato e scarno, eppure contiene un nucleo indispensabile all’amore, che è l’alleanza non criminosa : quella cioè che costruisce anziché minare, e difende con giusta causa anziché accantonare sorridendo.

Non è infatti la parola pronunciata in giudizio dalla imputata - peraltro capace di dire poco e con difficoltà - a scagionarla dall’accusa gravissima di avvelenamento mortale nei confronti di Mary Gerrard, quanto invece la logica esposta dal suo difensore, il mite inflessibile investigatore Hercule Poirot, abile nel saper rovistare fra le annotazioni fitte che stavano conducendo Elinor Carlisle alla condanna capitale e nell’individuare quei sorridenti ‘buchi’ della logica con cui si condanna per piacere proprio ed altrui, più che per giustizia : ma anche ascrivendo alla giustizia anzitutto il proprio piacere, la propria ‘jouissance’[2].

I ‘buchi’ della logica infatti ostentano presenza e consistenza, sebbene velate da quella modestia e bonarietà che è comune anche ai manigoldi.

Gli stessi ‘buchi’ poi - indebitamente colmi degli affetti più disparati – anche altrove lampeggiano, e vigorosamente. Così negli appunti offerti da un analista al supervisore, quando questi si pone a ricostruire il lavoro fra analista e paziente, indispensabile lettura terza, esterna senza estraneità, volta a cogliere quanto la scienza del pensiero (o inconscio) affida a reperti trascurati e resti da poco, che però facilmente fanno slittare a mera narrazione di un disagio – per molti prezioso, infinito, disumano - quel bandolo della matassa che altrettanto abilmente fu contraffatto e rimosso, non senza responsabilità.

 

Marina Bilotta Membretti, Cernusco sul Naviglio 19 agosto 2022

 

 

[1] Stefano Frassetto è nato a Torino nel 1968. Dopo la laurea in Architettura al Politecnico di Torino, ha iniziato come vignettista e disegnatore per alcuni giornali locali. A metà anni novanta ha cominciato a pubblicare anche in Francia, prima col mensile ‘Le Réverbère’ e in seguito col quotidiano ‘Libération’ : passato a sviluppare l’attività di fumettista col personaggio di Ippo per ‘Il Giornalino’ e poi la striscia ‘35MQ’ per il quotidiano svizzero ‘20 Minuti’, con l’anno 2000 fa il suo esordio su ‘La Stampa’ come ritrattista per le pagine culturali e per l’inserto ‘Tuttolibri’, poi per il settimanale culturale ‘Origami’. Oggi è anche ritrattista e illustratore presso il quotidiano svizzero ‘Le Temps’. Nel 2022 ha pubblicato la raccolta “35mq. 2012-2022 Dieci anni di inettitudine”.

[2] ‘jouissance’ è una parola tipicamente francese e fu introdotta e poi ampiamente usata in psicoanalisi da Jacques Lacan : in realtà indica quel generale ‘godimento’ che connota tanto la ingenuità quanto la invidia, in quanto sfuggenti la ragione. Fra altri testi si legga anche ‘Kant con Sade’, ‘Critique’ n.191 aprile 1963 in ‘Jacques Lacan. Scritti’, a cura di Giacomo B. Contri – Vol. II, pp764-791 ‘Giulio Einaudi editore SpA’ (1974 e 2002).