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L’adulto non separi ciò che il bambino unisce.

“Il Caso Matilde”[1] in n. 1/2017 ‘Psicoterapia e Scienze Umane’, Franco Angeli Editore.

 

 

“Il mio intervento[2] propone un percorso possibile laddove - ne “Il Caso Matilde” presentato da Marta Angellini - Monica Ceccarelli mette a fuoco ‘il crinale tra una psicomotricità a orientamento analitico ed una psicoterapia psicomotoria’ (n. 1/2017, p.143).

Il riferimento a celebri casi trattati da Freud porta ad una rilettura che può rivelarsi non solo feconda ma persino percorribile nell’odierno.

E’ significativo che Freud abbia deciso di pubblicare pochissimi fra tutti i casi che trattò, molto probabilmente per l’apporto innovatore che alcuni di questi conferirono alla nascente conoscenza psicoanalitica e quindi per la proficuità con cui i risultati raggiunti avrebbero potuto essere ripetuti in casi analoghi. Freud stesso modificò secondo logica e per gradi il ‘setting’ iniziale al quale tuttavia egli, e chiunque se ne riconosca erede, attribuì un insuperato profitto nel risultato del lavoro analitico.

Nel caso proposto apprendiamo che Matilde[3] si presenta con una domanda ‘non certa’ : offre un corpo che ‘era come se non abitasse’ (n. 1/2017 p. 134) e che si muoveva ‘nella sala con passo incerto e con un equilibrio alquanto instabile’ (p. 133).

Abbiamo di fronte una giovanissima paziente che stenta a riconoscersi protagonista della cura decisa dai suoi adulti – genitori, insegnanti, come ci informa l’Autrice – ai quali pure Matilde ha chiaramente comunicato un suo generico disagio. Tuttavia, Matilde si dimostra collaborante : anzi inizia, o meglio intraprende, una sua specifica iniziativa, che è ‘il gioco’, rispondendo così all’offerta della psicomotricista con un suo lavoro di elaborazione che è già lavoro analitico e che dunque non richiede altro che non sia rispondere al suo discorso, cioè al suo pensiero. Un gioco che è ‘il gioco di Matilde’ – ‘gioco ricchissimo’ e di ‘grande puntualità e acutezza’ (p. 135) che, come ci spiega l’Autrice, l’ha ‘sollecitata’.

Matilde coglie rapidamente l’aiuto offerto e porta in tavola, cioè mette subito a tema, ciò che fuori dalla stanza di psicomotricità non poteva iniziare e che dunque la induceva a sottrarsi alla domanda o offerta di altri possibili partner.

Marta Angellini ci informa che Matilde sta istituendo nella madre un partner di rapporto, ma tale suo lavoro è combattuto dalla nonna materna che lo banalizza umiliando il partner-madre, la cui difesa è purtroppo ingenua – ‘la gravidanza è stata costellata da attacchi di gelosia della madre… e Matilde aveva assistito a furibonde liti tra la madre e la nonna’ (p. 134). Userei piuttosto il termine ‘invidia’, in quanto patogena, della nonna materna nei confronti della madre, e soprattutto nei confronti di Matilde-oggetto-dell’invidia.

Non sappiamo nulla del padre in quanto partner di rapporto : tuttavia egli si presenta insieme alla madre, e dunque collaborante per un ‘percorso di sostegno alla genitorialità con Adriana Grotta’[4] (p. 134). E’ interessante che già al secondo anno di terapia, quindi intorno ai quattro anni di età, Matilde sperimenti la nascita di una sorellina, come risultato della soddisfazione coniugale dei genitori.

Anzi Matilde usa questa nascita per passare proficuamente a partner del padre e senza apparente conflitto con la madre – ‘inscena il matrimonio… inizia ad assumere frequentemente ruoli femminili… ha una maggiore sintonia… con la mamma’ (p. 137).

Ma è con il gioco inedito della piscina e delle lumache minacciose (terzo anno di terapia), nel quale riconosce la convenienza della parola, e col successivo e conclusivo gioco dell’acrobata (quarto anno) che Matilde si porta finalmente ad una soddisfazione cui l’offerta di ulteriori interventi rischia la ridondanza.

A questo proposito cito l’osservazione di Max Graf, padre del piccolo Hans, che Freud riporta a conferma del superamento della patologia lamentata dal bambino : ‘Da due giorni noto che Hans fa il disobbediente con me, risoluto ma senza sfrontatezza, con una specie di allegria.

Questo significa che non ha più paura di me, del cavallo ?’ (Sigmund Freud, ‘Analisi della fobia di un bambino di cinque anni’/1909)…”[5]

 

                                                        Marina Bilotta Membretti, Cernusco sul Naviglio 18 ottobre 2020

 

 

[1] “Il Caso Matilde” è stato presentato dalla psicomotricista Marta Angellini, con la supervisione di Monica Ceccarelli per la rubrica “Casi Clinici” sul n. 1/2017 di ‘Psicoterapia e Scienze Umane’/ Franco Angeli Editore, (pp. 133-142).

[2] Il testo cita il mio commento a “Il Caso Matilde”, pubblicato sul n. 3/2017 di ‘Psicoterapia e Scienze Umane’ (pp. 475-476).

[3] Matilde ha meno di tre anni all’inizio del Caso.

[4] Adriana Grotta è psicologa e psicoanalista, curatrice con altri della rubrica ‘Casi clinici’ in ‘Psicoterapia e Scienze Umane’ di Franco Angeli Editore.

[5] Nel Caso de “Il piccolo Hans”, Sigmund Freud descrive la fobìa e la guarigione di un bambino utilizzando il metodo analitico.

 

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