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Orgoglio.

‘Medea and Jason in My Blossoming Garden’ (2023), di Rafael Megall (Yerevan, Armenia – 1983) trittico, olio su tela: l’artista, che riprende con la tecnica dello stencil motivi floreali ed animali dalla iconografia armena, immagina Medea e Giasone nel Giardino dell’Eden per compensare la umiliazione di Medea-vittima in una società greca dove la ‘polis’ era espressione del potere assoluto maschile // Tratto dalla mostra d’arte contemporanea ‘Medea’, con opere di artisti italiani e stranieri che hanno accolto l’invito a presentare una loro specifica elaborazione, presso ‘Antico Mercato di Ortigia’, Siracusa / 5 maggio – 30 settembre 2023. A cura di Demetrio Paparoni e promossa dall’ Amministrazione comunale di Siracusa.

 

 

 

Ancora oggi sconcerta il successo plateale, ininterrotto della ‘Medea’ di Euripide (431 a.C.), orgoglio sovrumano e ideale fallico di una Cultura transnazionale che non conosce tempo.

 

Questa opera fu presentata alle Grandi Dionisie del 431 a.C. da Euripide, che si ritrovò classificato solo al terzo posto dopo Euforione e Sofocle. Pare che i giudici, fra i quali l’arconte stesso ma soprattutto il pubblico al quale spettava l’attribuzione del primo premio, non gradissero il trionfo di Medea, sprezzante dopo aver ucciso i propri figli e la giovane sposa di Giasone, che fuggiva sul carro (‘mechanè’) fornitole dal Sole (‘deus ex machina’). La storia era effettivamente una provocazione poichè Euripide rappresentava un eroe-donna, e tralasciando l’eroe risoluto di Sofocle ed Eschilo.

 

Nella società greca di allora, tutta incentrata sull’antagonismo, donne barbari e vinti erano tenuti ai margini. Ad essi si negava anzitutto l’identità personale, confermando con ciò la mono-sessualità della società greca. La donna dunque doveva dimostrare la sua esistenza con la maternità. Uomo versus donna esprime l’ostilità dell’uomo greco verso la donna, come emerge anche dai fatti di cronaca nera del tempo e come documenta l’affermazione di Giasone : “Sarebbe necessario che gli uomini generassero in altro modo i figli e che non ci fosse la stirpe femminile”.[1]

Antagonismo radicatissimo nella cultura che pure guarda al matrimonio come fondamento indiscutibile per la continuità ideologica e la successione dei patrimoni. Per il cittadino della ‘polis’, il matrimonio è un giuramento sacro agli dèi e dunque inviolabile, al punto da richiamarne la punizione quando venga infranto. Ma è anche il patto sociale che formalizza tale antagonismo : la donna resta senza identità personale né patrimonio, pur raggiungendo col matrimonio il massimo riconoscimento sociale. L’uomo, e quindi la società, le sono grati per gli eredi maschi che la donna potrà generare, alla propria famiglia ed alla ‘polis’.

 

“Più innamorata che saggia”, è l’offesa di Giasone a Medea che anticipa il nevrotico incantamento dell’innamorato ingenuo. L’antagonismo con ostilità da divorzio, è evidente nel lungo dibattito chiamato ‘Agone’. “Così è la stupidità della donna, nella debolezza della fatica.” Cogliendo la contraddizione fra antagonismo ed alleanza nel matrimonio,  come avvio della crisi nella società greca, Euripide arriva alla conseguenza estrema dell’infanticidio. Anche il giudizio di Euripide sul gesto di Medea lo espone alla contraddizione. Se la ‘polis’ infatti condanna la strage – le donne del Coro rappresentano la città di Corinto – gli dèi invece non la condannano, in quanto il giuramento del matrimonio è stato violato da Giasone. Medea quindi costituisce un’eccezione nel panorama piatto delle donne greche, perchè non accetta la violazione del giuramento.

 

L’uomo greco è timoroso verso la donna, con ostilità : Medea è ‘colei che escogita’ e ‘che sa trovare rimedi’, perfino depositaria di una sapienza divina – Medea è infatti nipote del dio Sole – ma è anche ‘colei che conosce pozioni magiche, veleni e sortilegi’. Il verbo è ‘medomai’, da cui deriva anche ‘madre. Preziosa, pericolosa, insostituibile. Che fare allora della donna ? 

Anzitutto non è sessualmente uomo. Deve dunque restare ‘futòn’, essere animato, ma al genere neutro come si usa per gli animali e naturali. “La via migliore e più rapida nella quale siamo sapienti per natura è il veleno…”[2] “Noi donne che per natura siamo incapaci di azioni nobili.”[3]

 

Medea è arrivata a pensare in proprio la vendetta, eppure viene assimilata ad un animale. Giasone la chiama “belva assassina”[4]; la Nutrice torna rassegnata avendo visto Medea “mutarsi in toro con sguardo di leonessa appena sgravata”[5]. Persino il re Creonte che con Medea ha un intenso dialogo da sovrano a sovrana, prima della strage la chiama “saggia di natura”, ma anche “esperta di molti mali”.[6]

Medea, nella quale Euripide si sostituisce, paragona sé stessa a quegli uomini portatori di nuova conoscenza che ottengono invidia dolorosa ed un giudizio di inutilità fino alla ostilità, soltanto perché non vengono compresi. E conferma[7] : “La giustizia non si trova negli occhi dei mortali… In lui (Giasone) erano per me affidate tutte quante (le donne)”. E poi : “Fra tutti gli esseri che hanno un’anima (‘psychè’) ed una ragione (‘gnomèn’), noi donne siamo i viventi (‘futòn’) più infelici !”[8]

 

Medea sposa Giasone con una libertà inedita per la società in cui vive : il giuramento del matrimonio è la loro stessa alleanza, non più antagonismo fra uomo e donna. Giasone è l’uomo nuovo che accoglie il pensiero della donna, in aiuto al proprio. “Questa è la più grande salvezza - quando la donna non è in conflitto con l’uomo…”[9] Alla Nutrice è affidata l’affermazione più audace nel Prologo dell’opera : Medea, figlia del re Eete di Colchide e nipote del dio Sole, entra in scena da sovrana invocando a testimoni gli dèi, del giuramento sponsale di cui lei e Giasone sono gli unici ministri. “Grida i giuramenti, invoca le destre…, la fedeltà suprema”.[10]

Giasone tuttavia spezzerà l’alleanza coniugale chiedendo in sposa Glauce, figlia del re Creonte di Corinto, imponendo a Medea di tornare ad essere l’amante non riconosciuta, femmina-senza-identità : un potere che la società greca riconosceva all’uomo.

 

Nella preparazione della strage, Medea parla come le donne della sua società, che accettano per legge l’umiliazione dell’uomo. “E’… necessario che noi (donne) ci compriamo uno sposo con un prezzo esagerato e questo è un male più doloroso di quell’altro”.[11] ‘Comprare uno sposo’ equivale a dire : comprare un documento d’identità. “Io venero Ecate dea dell’ombra (e morte) che abita la parte più nascosta, oscura della mia casa”[12] : la psicopatologia abita l’oscurità dell’inconscio,  senza giudizio e senza parola, emozione s-corporata dal pensiero, senza orientamento.

Ma il Coro delle donne di Corinto in aiuto a Medea, chiede alla Nutrice di chiamarla. “Dille anche queste parole amiche… portala fuori dalla casa prima che faccia del male a quelli che sono dentro…”. E Medea infatti : “Quando un uomo si annoia di stare con quelli di casa, esce fuori ponendo fine alla noia dell’animo, incontra un amico. Per noi (donne) al contrario è obbligatorio guardare una sola anima (‘psychè’) (quella dell’uomo cioè)…” Nella ‘agorà’ infatti, che era il centro pubblico della polis, solo gli uomini-cittadini possono incontrarsi e discutere di questioni politiche. L’ ‘oikòs’ - la casa - è il regno femminile dove le parole non servono, perchè le donne si esprimono con “gemiti e grida”. “Questo solo voglio da te - dice Medea al Coro - di tacere…”[13] La strage è preparata nel mutismo odiante, nel regno buio della non-parola.

 

Tuttavia, nonostante alcuni cedimenti Medea, che è nata sovrana ed è nipote del dio Sole, non è pazza d’amore e Giasone resta “il suo compagno di letto.”[14] Una contraddizione, perché soltanto una vittima umiliata arriva a sconfessare la competenza giuridica del proprio pensiero, accettando di non essere più Soggetto ma oggetto passivo : è questa la rimozione freudiana, che può arrivare all’omicidio e perfino alla strage.

L’angoscia della rimozione non produce pensiero, ma obbedienza odiante al volere dell’Altro, che è nemico del proprio pensiero e Capo dispotico. E l’angoscia muta, non elaborata, può solo essere sedata : perfino con l’uccisione, anche fisica. Il delitto materno è di una donna senza partner : l’amore ai figli passa attraverso l’amore al compagno. Oppure non è.

 

Euripide sottolinea che Medea è la donna-belva, ‘futòn’ e non essere umano. Medea tuttavia si riconosce sovrana e figlia di re, non ha dubbi sulla sua esistenza come Soggetto. Inoltre sa che gli dèi sono d’accordo con lei nel condannare la infedeltà di Giasone e così pure le donne di Corinto e la vecchia Nutrice. Nessuna donna, posta nelle sue stesse condizioni di dignità, arriverebbe ad uccidere il figlio. Ma Euripide arriva a questa contraddizione, forse perché la società greca non accetterebbe altrimenti.[15]

 

 

 

Marina Bilotta Membretti, Cernusco sul Naviglio 23 agosto 2023

 

 

 

 

[1] ‘Euripide. Medea’, trad.a cura di C.Azan-V.Fascia, collana Myzoi, ed.Simone 2002, Vv. 573

[2] ‘Euripide. Medea’, trad.a cura di C.Azan-V.Fascia, collana Myzoi, ed.Simone 2002, Vv. 228; Vv. 374

[3] ‘Euripide. Medea’, trad.a cura di C.Azan-V.Fascia, collana Myzoi, ed.Simone 2002, Vv. 407-409

[4] ‘Euripide. Medea’, trad.a cura di C.Azan-V.Fascia, collana Myzoi, ed.Simone 2002,Vv 1342

[5] ‘Euripide. Medea’, trad.a cura di C.Azan-V.Fascia, collana Myzoi, ed.Simone 2002,Vv. 187-188

[6]‘ Euripide. Medea’, trad.a cura di C.Azan-V.Fascia, collana Myzoi, ed.Simone 2002, Vv. 285-286

[7] ‘Euripide. Medea’, trad.a cura di C.Azan-V.Fascia, collana Myzoi, ed.Simone 2002, Vv. 218

[8] ‘Euripide. Medea’, trad.a cura di C.Azan-V.Fascia, collana Myzoi, ed.Simone 2002,Vv. 230-231

[9] ‘Euripide. Medea’, trad.a cura di C.Azan-V.Fascia, collana Myzoi, ed.Simone 2002, Vv. 14-15

[10] ‘Euripide. Medea’, trad.a cura di C.Azan-V.Fascia, collana Myzoi, ed.Simone 2002, Vv. 21

[11] ‘Euripide. Medea’, trad.a cura di C.Azan-V.Fascia, collana Myzoi, ed.Simone 2002, Vv. 232-234

[12] ‘Euripide. Medea’, trad.a cura di C.Azan-V.Fascia, collana Myzoi, ed.Simone 2002, Vv. 384-385; 397

[13] ‘Euripide. Medea’, trad.a cura di C.Azan-V.Fascia, collana Myzoi, ed.Simone 2002, Vv.259-268

[14] ‘Euripide. Medea’, trad.a cura di C.Azan-V.Fascia, collana Myzoi, ed.Simone 2002, Vv.401-406

[15] Il testo è stato pubblicato nel luglio 2012 su www.societaamicidelpensiero.it / Sezione ‘News’.

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