Conversazione col regista Salvatore Salvo Bitonti[1].
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Verso una Accademia di eccellenza.
Fotografia di Franca Centaro.
‘Pilade’, saggio conclusivo degli allievi del III Anno della ‘Accademia d’Arte del Dramma Antico’[2] di Siracusa, incuriosisce non poco sulla capacità di studio e sulla coltivazione di professionalità, in questo caso collegate al teatro, che attirano i giovani : nel portare in scena questo testo[3] - interessante opera di Pier Paolo Pasolini e idealmente successivo alla ‘Orestea’ di Eschilo, immaginando il ritorno di un esultante Oreste, principe successore di Agamennone, nella ‘sua’ Argo dopo il verdetto di assoluzione favorito dalla dea Atena – i giovanissimi interpreti hanno brillantemente completato il triennio accademico incentrato sul Teatro Antico, anticipando anche un loro buon debutto al Teatro Greco nelle opere ‘classiche’ della rassegna annuale, a fianco di attori già professionisti.
Salvatore Salvo Bitonti è docente di recitazione in Accademia e regista di ‘Pilade’[4], realizzato con gli allievi nelle quattro settimane previste per una normale preparazione teatrale : in questo caso però ‘la prima’ è stata preceduta da un attento lavoro di riscrittura al quale gli allievi si sono applicati, e che non è stato solo di riduzione rispetto al lungo difficile testo originale, quanto di riuscita di una traduzione convincente, comunicativa e credibile in una più attuale aderenza ai personaggi.
“L’arte della regìa è complessa ed è nata nel Novecento” – spiega Salvo Bitonti, che al suo attivo ha quasi quarant’anni di regìa teatrale ed oltre trentacinque spettacoli con grandi attori della scena italiana.
Fu solo coi primi del ‘900 che dal ‘Teatro d’Arte di Mosca’ si cominciò a delineare la figura del regista, fino a quel momento confusa con l’autore stesso od, in sua assenza, dal primo attore : e nel Teatro classico greco era la ritualità elemento fondante che veniva affidata a canoni prestabiliti, di cui l’autore si rendeva responsabile anche sulla scena. Konstantin S. Stanislavskij (1863-1938), che nel 1898 aveva fondato a Mosca il ‘Teatro d’Arte’, sperimentò a lungo infatti l’attività di recitazione su sé stesso con una assidua ricerca e confrontandosi col drammaturgo Vladimir Nemirovic-Dancenko (1858-1943) fino a proporre un metodo codificato di pedagogia teatrale utilizzabile sia dal regista che dall’attore.
“La regìa inizia con la scelta del testo e con la sua possibile interpretazione, infine con la direzione di tutti gli elementi che la realizzeranno, gli attori anzitutto ma anche le luci, le musiche…”
Ed a proposito di musica, essa assume in questa rappresentazione un ruolo di tessuto creativo, ed il Coro – indispensabile e centrale nel Teatro ‘classico’ greco per il suo stesso posizionamento sulla scena - si fa qui co-protagonista per quell’effetto di dolorosa sospensione con cui anticipa ed appunta via via il testo che, non dimentichiamolo, è un testo contemporaneo, scritto come una tragedia classica.
“Niente si può dimenticare : le Eumenidi chine si ricordano della loro furia, e cedono e si perdono…”, commenta dolorosamente il Coro alla trasformazione di quelle che avrebbero dovuto essere le divinità rassicuranti e consolatorie introdotte dalla dea Atena per impedire le guerre.
“Pasolini intendeva ‘Pilade’ un’opera rivoluzionaria” e qui è il Coro l’elemento rivoluzionario – prosegue Salvo Bitonti – “perché le voci, in questa edizione, sono solo femminili mentre l’originale prevedeva voci maschili e femminili insieme. Pasolini - di cui quest’anno ricorre il centenario dalla nascita – ha, a mio avviso, sentito il coro come una prerogativa femminile.”
Sappiamo, d’altra parte quanta influenza ha nell’ascolto di un testo cantato la pronuncia delle sillabe ed il loro ‘riverbero’, termine tecnico che indica sia una sorta di mascheramento delle sillabe quanto di rinforzo dell’intensità della sorgente. Quale parte ha la voce, la sua musicalità od il suo stridore, nella preparazione di un attore?
“L’attore deve saper rielaborare la sua memoria fino ad una ‘reviviscenza’” (termine coniato da Konstantin S. Stanisvlaskij, n.d.r.) - risponde il regista, che negli anni ha elaborato un suo metodo accogliendo non solo la lezione di Stanisvlaskij ma anche quella di Bertolt Brecht[5].
E’ interessante segnalare che, sia la ‘reviviscenza’ di Stanislavskij sia lo ‘straniamento’ di Brecht vanno stimolati nell’attore : per Stanislavskij, ad esempio ricreando intorno al soggetto quella condizione innescante simile alla brevissima sinestesia neonatale, in cui sonoro e visivo sembrano indissolubili e la percezione stessa non risponde alle categorie usuali del soggetto. D’altra parte la ‘rappresentazione’, o ‘rappresentanza’ segnalata da Freud[6] è realmente un’attività che l’inconscio mette in atto per valutare, accogliendo o rigettando ciò che incontra : nel lavoro analitico tradizionale la ‘rappresentanza’ da parte del soggetto non può dunque essere in alcun modo stimolata.
“Ho preferito che il lavoro procedesse condiviso fra gli attori, tutti giovanissimi ed entusiasti, anche per una indispensabile consapevolezza critica che non è solo interpretativa di un testo, pure difficile come il ‘Pilade’ di Pasolini, ma anche emotiva da parte di ciascuno…”
Oreste e Pilade si combattono fin dall’inizio sulla scena, eppure si amano : Pilade, lasciato in ombra da Eschilo emerge invece e parla nel testo di Pasolini. Entrambi sono eroi, che gli opposti in una stessa società reclamano : i pragmatici vogliono Oreste, ma gli intellettuali seguono Pilade.
Elettra è la ‘dominabile’, colei che istigava Oreste ad uccidere la madre Clitennestra ed ora invece venera la defunta in quanto ‘regina’. “Nei nemici conosciamo amori nascosti…”, confessa inaspettatamente Elettra a Pilade. E dalle maschere, monumenti che sapientemente circondano la scena osservando immobili, si stacca infine Atena, la dea che si avvicina a Pilade.
“Non sono per gli uomini che una dea – dice Atena – anziché una idea…” e la prigione immaginaria in cui si svolge l’opera[7] appare finalmente chiara, perché ciò che è stato solo tacitato tornerà a soffiare cupamente sul pensiero e sulle storie umane : riconoscere divinità, infatti, chiude al riconoscere gli appuntamenti della vita.
Più che eccellente mi è sembrata dunque la inquietante ‘incertezza’ – finalmente nominata da questo Pilade e che l’amarezza di Pasolini non poteva immaginare - con cui si arresta il finale di un ottimo lavoro conclusivo del III Anno di ‘Accademia del Dramma Antico’, che apre inaspettatamente a quelle prospettive ‘migliori’ che la mente umana ‘sa’ infatti anche pensare.
Marina Bilotta Membretti, Cernusco sul Naviglio 8 ottobre 2021
[1] Salvatore Salvo Bitonti, docente teatrale regista e saggista è nato a Siracusa nel 1961 ed è stato direttore dal 2013 al 2019 della ‘Accademia Albertina di Belle Arti’ a Torino, portando in quegli anni la scuola ad un eccellente livello di notorietà anche internazionale ma ponendo anche alla attenzione del Governo la questione irrisolta di una validità delle Accademie d’Arte italiane rispetto a quelle estere, ed a una equiparazione del titolo accademico rispetto a quello universitario, che limita anche l’accesso ai finanziamenti pubblici. Alla ‘Accademia Albertina’ di Torino, Salvo Bitonti è tuttora titolare della cattedra di ‘Regìa e Storia del Cinema’. Per la regìa, fra altri, ha diretto : ‘Andromaca’ di J.Racine (1985, trad. di Mario Luzi), ‘Hystrio’ di M.Luzi (1987) con Paola Borboni, ‘L’acqua e i sogni’ da G.Bachelard (1994) con Franca Nuti e Giancarlo Dettori, ‘L’isola della dottoressa Moreau’ di U. Ronfani con Ugo Pagliai e Paola Gassmann, ‘Fedra’ di G. Ritsos (1999-2000) con Mita Medici, ‘Alcesti’ di Marguerite Yourcenaur (2008) con Franco Nero e Mita Medici, oltre a dirigere diversi saggi conclusivi degli allievi, ad esempio anche per ‘Cinecittà Campus’ di Roma. Nel 2008 è stato anche nominato direttore artistico del ‘Sicilian Film Festival’ di Miami (U.S.A). E’ autore del saggio ‘Dioniso & Pirandello : lo spettacolo nel Novecento tra mito e utopia’ (1999, Roma Ed. ‘Marianna’). E’ coordinatore della Sezione ‘Art and Education’ per l’ ‘European Expo Dubai’.
[2] La ‘Accademia d’Arte del Dramma Antico’ è una delle più notevoli attività della Fondazione I.N.D.A. Istituto Nazionale del Dramma Antico ed ha sede nell’ex Convento di San Francesco, a Ortigia di Siracusa in Via Tommaso Gargallo 67 : fu fondata con lungimiranza da Giusto Monaco (1915-1994, docente di Lingua latina e greca, presidente I.N.D.A. 1993-1994) e da Fernando Balestra (1952-2016, regista e drammaturgo, sovrintendente I.N.D.A. 2005-2012).
[3] ‘Pilade’ fu scritta da Pier Paolo Pasolini nel 1966 ma portata in scena per la prima volta al Teatro antico di Taormina solo nel 1969 : è una tragedia (Pilade dovrà lasciare Argo per l’esilio) in nove episodi, quindi lunghissima. Pasolini aveva già tradotto molto rapidamente dal greco antico ‘L’Orestea’ di Eschilo, su invito di Vittorio Gassmann perché fosse rappresentata al Teatro Greco di Siracusa nel 1961, ma il testo non fu accettato. In ‘Pilade’, infatti Pasolini smaschera la soluzione eschilea delle ‘Eumenidi’ in cui la furia delle ‘Erinni’ possa tramutarsi.
[4] ‘Pilade’, saggio conclusivo 2021 degli allievi del III Anno della ‘Accademia d’Arte del Dramma Antico’ è stato rappresentato lo scorso marzo a porte chiuse nel Cortile della ‘Accademia’ di Siracusa, nel rispetto delle norme di contenimento anti Covid19 : tuttavia sono state altissime – più di 3.500 – le visualizzazioni sia su Facebook che su Youtube. Dodici gli allievi interpreti ammessi : Virginia Bianco, Spyros Chamilos, Serena Chiavetta, Federica Cinque, Rosario D’Aniello, Simona De Sarno, Manfredi Gimigliano, Giorgia Greco, Alessandro Mannini, Ornella Matranga, Francesca Piccolo e Gaia Viscuso. Alla preparazione hanno collaborato anche i docenti : Simonetta Cartia per lo splendido canto corale, Alessandra Fazzino per la scrittura fisica ed i movimenti scenici, Elena Polic Greco per la tecnica vocale e la dizione. Infine hanno egregiamente contribuito Dario Arcidiacono per le ottime musiche, lo scenografo Tony Fanciullo per il pannello-quadro da lui realizzato, le maschere e l’arredo scenico ispirato – come per gli ottimi costumi di scena della Sartoria I.N.D.A. – alla ‘arte povera’ dell’artista Jannis Kounellis, contemporaneo di Pasolini. La documentazione fotografica riproposta nel video diffuso su Youtube e su Facebook si è avvalsa del montaggio di Nanni Ragusa e di Nanni Musiqo.
[5] Bertolt Brecht (1898-1956) nacque ad Augusta in Germania e fu educato secondo la religione ‘protestante’ a cui aderiva la madre : drammaturgo, saggista, regista non accettò il nazionalismo dilagante e ben presto si ritrovò nella ‘lista nera’ di Hitler (1923). Aderì all’espressionismo tedesco, fortemente soggettivista e senza illusioni. A seguito della presa di potere di Hitler dovette lasciare Berlino dove viveva e lavorava (1933) per un lungo faticoso esilio insieme a moglie e figli : nel 1941 fu negli U.S.A. da cui però si allontanò, ricevendo una imputazione di attività anti-americane. Dal 1948 si ristabilì a Berlino, senza mai aderire apertamente alla politica comunista di quegli anni anche se implicitamente ne appoggiava l’arte ‘realista’. Nonostante un carattere taciturno e assolutamente anticonformista, riuscì ad avere legami duraturi, sia professionali che affettivi : il suo metodo di far teatro che pure fa ormai ‘scuola’ si basava però, a differenza di Stanisvlaskij, sulla capacità di creare ‘distanza’ (o ‘straniamento, verfremdungseffekt ) fra l’attore ed il personaggio, stimolando un’analisi critica.
[6] Cfr ‘Scritti metapsicologici’, S.Freud (1915) in Bibliot. Bollati Boringhieri.
[7] Il Cortile dell’Accademia offre spunto alla regìa per un cerchio rituale che fa palcoscenico e su cui acqua terra fuoco aria sono gli elementi inevitabili della natura : al di là delle arcate del chiostro si vede invece il pannello, realizzato dallo scenografo Tony Fanciullo, che richiama il ‘decollage’ dell’artista Mimmo Rotella (1918-2006) e gli anni ’60 a cui si riferisce Pasolini nell’opera.