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Dante : Purgatorio ultimo avviso.

 

Illustrazione originale di Gianni Russomando[1].

 

"A l’alta fantasia qui mancò possa;

ma già volgeva il mio disio e ’l velle,

sì come rota ch’igualmente è mossa,

l’amor che move il sole e l’altre stelle."

Paradiso, Canto XXXIII 142-145.

 

 

Non è in questo editoriale che il ‘Paradiso’ di Dante trova posto[2] : ma la scelta del Poeta per una conclusione dell’opera in cui si ripete ancora e ancora l’assenza del lavoro nell’esperienza di uomini e donne, mi ha convinto a citare quella meccanica ‘rota’ con cui Dante rappresenta l’umano, docile o ribelle al padrone del carro.

In realtà apprezzo sinceramente l’uomo Dante - già in esilio dal 1302 quando scrive il ‘Purgatorio’ che verrà pubblicato nel 1315 dopo l’ultima delusione politica[3] - perchè nella precarietà e violenza dell’epoca in cui visse, egli azzardò non solo una complessa opera in una lingua allora ‘nova’[4] ma che sarebbe stata nostra e mia – l’attuale lingua italiana infatti - ma anche perché si avventurò nella progettazione del luogo di espiazione il quale, una volta ammessi ad entrarvi, offrisse una ultima possibilità di evitare la condanna definitiva, da cui il Medioevo cristiano concedeva poco o nullo scampo : ed il Purgatorio dantesco, infatti, comprende l’ampissimo spettro di peccatori legati alla pigrizia[5] ed a quella malinconica indecisione che li affratella nel ritrovarsi chiamati ad una più nitida volontà – “e l’velle” citato poco sopra – ma evidentemente identica a quella nella quale completarono la loro esistenza terrena. 

Possiamo senz’altro alleggerire Dante da un gravame che sarebbe ingiusto per un sol uomo : chiedendo però al Poeta che fu lucido sostenitore della logica tomistica[6] come sia possibile che – ragionevolmente e umanamente - venendo a mancare la capacità rappresentativa del pensiero[7] “il mio disio e ’l velle” possa invece – e per qual via ? – esser toccato, portato ed infine ‘volto’[8] se non appena “sì come rota” che, in quanto oggetto meccanico, non può cercare e quindi non ‘disìa’,  nemmeno il Paradiso.

 

                                     Marina Bilotta Membretti, Cernusco sul Naviglio 1 dicembre 2021

 

 

[1] Gianni Russomando, note di biografia : “Sono nato a Vercelli nel 1956. Diplomato presso l’Istituto di Belle Arti di Vercelli. Mi definisco un semplice ‘amanuense’. Lontano mille miglia da mostre, concorsi, esposizioni. Utilizzo da poco i social con lo scopo di dare un attimo di serenità in chi guarda i miei modesti lavori.”

[2] Ricorrendo quest'anno il 700° anniversario dalla morte di Dante Alighieri ho commentato, dalla 'Divina Commedia' l’ ‘Inferno’ (‘Quello che i bambini non dicono’/ www.tutorsalus.net - ‘Fragole’, 25 maggio 2021) e il ‘Paradiso’ ( ‘…tutti si posano al sonar d’un fischio’/ www.tutorsalus.net - ‘Events’ 28 giugno 2021).

[3] Fra il 1308 e il 1312 Dante scrive il ‘Purgatorio’ dall’esilio politico che lo porta a spostarsi a Parigi, a Milano, a Genova e poi di nuovo a Milano nel 1311 per l’ossequio al giovane imperatore Arrigo VII incoronato ‘Re dei Romani’ che tuttavia non riuscirà nell’intento di una Italia pacificata da un unico sovrano. E’ interessante notare che quasi tutti i protagonisti del ‘Purgatorio’ dantesco sono toscani e collegati quindi al periodo precedente l’esilio effettivo di Dante.

[4] ‘De vulgari eloquentia’, scritto fra il 1303 e il 1305 all’inizio dell’esilio, è già una formalizzazione della ‘questione’ che Dante pose, anche politicamente agli interlocutori, di una lingua che fosse unitaria.

[5] Nino Visconti per esempio, protagonista del ‘Purgatorio’ che ho commentato in ‘Johanna Vicecomites Galure comitissa’ www.tutorsalus.net / ‘Pensare da partner’ 14 settembre 2017.

[6] “…essentia beatitudinis in actu intellectus consistit : sed ad voluntatem pertinet delectatio beatitudinem consequens”( ‘Summa Theol. I II 3, 4)

[7] “A l’alta fantasia qui mancò possa…”

[8] “…ma già volgea”

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