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“Persepolis”.

Da souff(e)rance a douleur ??

 

 

 

 

In un eccellente ‘Seminaire’[1] di Jacques Lacan, il famoso psicoanalista parigino appassionato di Freud segnalava quel gioco sapiente dell’inconscio per cui l’assenza, o la presenza di una sola lettera in una parola può avvicinare o tenere distanti due significati non proprio rassomiglianti. Si trattava della parola ‘souffrance’ che in francese si traduce con ‘transito’, ‘giacenza’ e viene comunemente usata anche per i servizi postali e la corrispondenza : ma è sufficiente inserire una ‘e’ et voilà! quella parola diventa ‘soufferance’, una tensione sospesa in attesa di soluzione che descrive efficacemente ciò che Freud intendeva con ‘pulsione’. ‘Soufferance’ dunque non avrebbe un destino pre-giudicato verso ‘la douleur’  se mantiene però la sua qualità di ‘souffrance’ cioè di una giacenza ‘temporanea’, un ‘transito’ appunto nella elaborazione di una soluzione soddisfacente che non può essere logicamente melanconica, o narcisistica sebbene spesso e, con ‘danno emergente’[2] risulti socialmente compassionevole.

Mi trovo quindi a ringraziare sinceramente Marjane Satrapi per il suo notevole “Persepolis”[3], opera prima ed in prima persona per la ‘prima’ graphic novel iraniana : i disegni semplici sono assolutamente espressivi e molto ben ambientati, la prosa è efficace e soprattutto non sfuggente. Ed è già la sorprendente copertina a svelare qualcosa di un potente messaggio : in primo piano c’è il profilo di una giovane donna con gli occhi chiusi ed un grosso neo a lato del naso, in secondo piano invece è una bambina a guardare il lettore con occhi ben aperti e senza quel neo che Marjane racconta essere comparso proprio nella sua trasformazione da adolescente a donna, insieme ad una notevole altezza fisica.

Pochissimo dice Marjane Satrapi sulla scelta del titolo, “Persepolis” a cui dedica un capitolo abbastanza oscuro ed appena qualche cenno qua e là sparso nel racconto : Persepolis, tradotto dal greco antico risulta semplicemente ‘città della Persia’ ma fu la seconda delle cinque antiche capitali successivamente a Pasargade (e quindi con Babilonia, Susa ed Ecbatana) e fu fondata intorno al 515 a.C., a 1700 metri sul livello del mare e a circa cinquanta chilometri a nord della attuale città di Shiraz nella provincia di Fars in Iran. La storia di Persepolis, che Dario rese la splendida capitale di Persia con palazzi e terrazzamenti, si lega al mitico ‘Jamshid’, il ‘Raggiante’ – nell’antica Lingua avestica Jam-Shid risulta dall’unione di due nomi, ed è oggi un nome maschile diffuso - che dà il nome di ‘Trono di Jamshid’ al sito sul quale tuttora poggiano i fastosi resti di Persepolis : di lui si tramanda negli scritti zoroastriani che fu sovrano di un’antichissima dinastia e che avesse ricevuto dal ‘Creatore onnisciente’ un anello per sigillare ed un pugnale intarsiato, entrambi d’oro, per ricevere e portare la sua legge sulla Terra.

Si potrebbe dire, in questa mitologia, che l’alleanza fino a coniugale con l’umano – e pazientemente ricercata dal ‘Creatore onnisciente’ - lo sia esclusivamente grazie ad una intelligente capacità di ‘lavoro’ che contraddistinguerebbe uomini e donne sulla Terra.

“Nella mitologia greca gli eroi sono predestinati, mentre nel ‘nostro’ mito il concetto di ‘fato’ non esiste…”, spiega nel fumetto la studiosa iraniana interpellata da Marjane[4] quando lavora, insieme al marito Reza ad un Progetto loro commissionato dall’Università di Tehran.

Mano a mano che le pagine di “Persepolis” scorrono, infatti, la scelta di quel titolo trova riscontro nelle vicissitudini di Marjane, la quale inizia da una infanzia protetta in cui, come figlia di genitori progressisti benestanti e di nobili origini, sa scoprire i punti oscuri di una Cultura antichissima complessa ed autoreferenziale : è normale, si chiede infatti Marjane a dieci anni imputare ai figli le colpe dei padri ? E’ normale farsi servire in casa da una coetanea perché venduta da genitori ‘poveri’ come domestica di famiglia ? E’ normale ammettere che l’appartenenza ad una classe sociale sia socialmente discriminatoria ?

Marjane si ritiene “…nata con la religione” e da bambina spesso si ritrova a parlare direttamente con Dio, “…sicura di essere l’ultimo dei profeti”[5] : e la rassomiglianza con ‘Il Raggiante’ è davvero impressiva.

Arrivano gli anni della dittatura khomeinista con le sue feroci repressioni e limitazioni : se i genitori si opponevano allo Scià[6] ora non possono appoggiare una Cultura integralista che vieta qualunque iniziativa ed individualità, fino a decidere ciò che altre famiglie già cominciavano a fare, cioè far trasferire i figli all’estero. Nel 1984 Marjane  parte allora per Vienna dove si fermerà quattro anni, completando gli studi che in Iran le sarebbero stati vietati ma incontrando coetanei, famiglie ed istituzioni davanti a cui è impreparata, sebbene intelligente e colta.

“Io facevo finta di partecipare, ma non aspiravo il fumo…”, “…poi simulavo risate sfrenate, ero abbastanza credibile”, “Arrivai persino a negare la mia nazionalità”[7].

Tornata in Iran, ritrova ancora più soffocante l’atmosfera repressiva del Paese eppure, con molta determinazione decide : “Da oggi in poi, voglio cambiare vita…” Incontra Reza, con cui prepara e supera il ‘Concorso Nazionale’, necessario per essere ammessi all’Università. Ed un giorno in città, per evitare uno dei frequenti posti di blocco dei ‘Guardiani della Rivoluzione’ Marjane denuncia come molestatore uno che non c’entrava nulla, e che viene arrestato : ma ammette che, a causa di quel regime, ‘condotta pubblica’ e ‘condotta privata’ erano agli antipodi…[8]

Decide quindi di sposare Reza ma ricorda che, quando si ritrovò nell’appartamento da sposi, lei si era già ‘pentita’[9] e, forse anche per questo, tre anni dopo e nonostante la lucidità di lui che ammette le ‘pressioni sociali’ capaci di incrinare un rapporto[10], deciderà invece di divorziare e di trasferirsi in Francia dove, a ventisei anni inizierà la promettente carriera di fumettista e proprio grazie al successo di “Persepolis”, coinvolgente e limpida narrazione senza conclusioni di una resistenza al ‘nuovo’, davanti a cui gli archetipi culturali – per chi li usa - restano un muro.

Marjane ammette nelle ultime pagine[11] che “Quando i problemi non sono più accettabili, il solo modo di sopportare l’insopportabile è di riderci sopra…”

Ma il ‘lavoro’ è concludente, oppure non è : e riderci sopra, banalizzandolo cioè, suona stridente contraddizione proprio con quella splendida e pur marmorea “Persepolis”, storicamente fondata per suggellare la domanda divina all’umano, nei secoli.

 

Marina Bilotta Membretti, Cernusco sul Naviglio 1 maggio 2020

 

 

 

[1] “Il seminario su ‘La lettera rubata’” in “Jacques Lacan. Scritti” Vol. I a cura di Giacomo B.Contri, ‘Giulio Einaudi editore SpA’ 2002 / pagg.27-30

[2] ‘Danno emergente’ è, con ‘lucro cessante’ e ‘lucro non emergente’, una delle tre figure della diseconomia psicopatologica in “Un uomo che ha domani”, di Giacomo B. Contri / pag.19, in ‘Opera omnia’ 2015 – Sez. Saggi, testi pro-manuscripto.

[3] “Persepolis”, di Marjane Satrapi per ‘Rizzoli Lizard’ – Mondadori Libri SpA / 12° edizione 2019 : titolo originale “Persepolis. Histoire d’une femme insoumise”. Mi è stato regalato da Laura Santalucia, Federica Membretti, Marco Membretti che ringrazio specialmente per il lavoro a cui, con questa cospicua autobiografia mi hanno invitata.

[4] “Persepolis”, citato, pag.337

[5] “Persepolis”, citato, pag.8

[6] Mohammad Reza Pahlevi fu l’ultimo Scià di Persia fino alla Rivoluzione Islamica del 1979 : abbandonò il Paese per l’Egitto dove trovò asilo.

[7] “Persepolis”, citato, pag.198-201

[8] “Persepolis”, citato, pag.294-295, pag.314

[9] “Persepolis”, citato, pag.326

[10] “Persepolis”, citato, pag. 347

[11] “Persepolis”, citato, pag. 275

 

 

 

 

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