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Formula 1

  

“Ogni volta che possiamo sostituire ad un giudizio umano una formula, dovremmo almeno prendere in considerazione l’idea di farlo.”[1]

 

 

Siamo grati a Daniel Kahneman[2] perché offre uno spazio - pur ristretto, una gola scavata dal fiume fra montagne impervie - alla scienza del pensiero, o inconscio, che resta l’unico, infatti, a poter ‘prendere in considerazione’ qualcosa.

 

Marina Bilotta Membretti, Cernusco sul Naviglio 24 settembre 2022

 

 

Illustrazione originale di Gianni Russomando.[3]

 

 

[1] Cit. da : ‘Pensieri lenti e veloci’ (‘Thinking, Fast and Slow’ - 2012), Daniel Kahneman – Arnoldo Mondadori Spa, ‘Oscar Saggi’ (2012) p. 312. 

[2] Daniel Kahneman (Tel Aviv, 1934) è psicologo e professore emerito a Princeton, ed è uno dei fondatori della finanza comportamentale. Nel 2002 è stato insignito del Premio Nobel per l’Economia “per aver integrato risultati della ricerca psicologica nella scienza economica, specialmente in merito al giudizio umano ed alla teoria delle decisioni in condizioni d’incertezza”.

[3] Gianni Russomando, note di biografia : “Sono nato a Vercelli nel 1956, diplomato presso l’Istituto di Belle Arti di Vercelli, mi definisco un semplice ‘amanuense’, lontano mille miglia da mostre, concorsi, esposizioni.” 

 

Agli umani spetta.

‘Ifigenia in Tauride’ per la regia di Jacopo Gassmann[1], al Teatro Greco di Siracusa 2022.

 

Nella foto : l’allestimento di  ‘Ifigenia in Tauride’ per la regia di Jacopo Gassmann presso il ‘Teatro Greco’ di Siracusa,  57° Stagione Teatro Greco 17 maggio – 9 luglio 2022, a cura della Fondazione I.N.D.A. Istituto Nazionale Dramma Antico www.indafondazione.org  / Gli applausi finali sono stati accompagnati da 'Rock bottom riser' (Bill Callahan).

 

 

Il costume di scena del Messaggero è una tuta grigia da meccanico-astronauta, unica nota a differenziarlo su un palcoscenico antico dove il tempo si è fermato a celebrare riti mortiferi che gli dei hanno istituito.

Un reale rompi-schemi è questo Messaggero, attraverso cui il regista Jacopo Gassmann è riuscito a dar vita al finale altrimenti asciutto[2] di Euripide,[3] che fece di Ifigenia un ‘continuum’ immoto con la cerva uccisa – qui in primissimo piano - da sacrificata a sacra, reliquia temuta ed indifferente ad altri sacrifici, di cui le lucide teche da museo con scheletri supposti umani offrono prepotentemente i loro reperti, a cui si aggiunge quella testa di toro portata a braccia quale inutile trofeo.

“C’è disordine presso gli dei…”, osserva il principe Oreste, qui giunto in incognito ed in fuga da Argo col compagno Pilade.

Un disordine dunque non degli uomini ma degli dei, che questo rito hanno voluto per liberarsi di quel ‘desiderio’ umano che, a differenza dell’istinto animale, non può essere governato.

Ifigenia - sottratta dalla dea Artemide in terra di Aulide alla uccisione sacrificale decisa dal padre, e re, Agamennone su consiglio dell’astuto Odìsseo - deve però fra i Tauri - e proprio lei che già fu vittima predestinata - farsi carnefice, ma ‘sacro’ immoto inimputabile, di tutti gli stranieri che qui riescono ad approdare : una principessa sulla cui ingenuità, dunque, molti altri continuano a banchettare. Fino a quando ?

Tauride è l’odierna Crimea che gli antichi pensavano si trovasse aldilà delle ‘oscure Simplegadi’[4] : dal dialetto miceneo, ‘messaggero’, nel primo greco è tradotto con ἄγγελος  ‘l’annunciatore’.

Ma rispetto al testo di Euripide, che fu innovatore se pur obbligato al registro antico, questa regia porta un deciso cambio di passo per l’intervento del ‘pensiero’, e quindi dell’umano : ciò avviene con l’ingresso del Messaggero.

Un messaggio può essere onesto o disonesto, può salvare o distruggere anche quando l’unico reperto è la voce di qualcuno che non è presente, le sue frasi, i suoi accenti : qui è il messaggio di un Messaggero a far sì che il supporto della divina Athena, deus ex-machina concludente, non sia un tramite così irraggiungibile come nel testo originale di Euripide in cui quell’aiuto resta, secondo  tradizione, aldifuori dell’umano.

“Agli umani spetta rendere credibili gli dei…” aveva anticipato Ifigenia che accede al tempio scendendone le scale, anziché salirle. L’inganno aleggia infatti nel testo di Euripide, e con l’inganno l’affidabilità, provata o solo presupposta.

Dagli dei, Oreste anzitutto, si dice ingannato avendo riposto la sua fiducia nel dio Apollo che lo ha convinto ad uccidere la madre e regina Clitennestra, sposa di Agamennone, insieme all’amante di lei, il nobile ma vile Egisto. Quale altra via restava dopo quel duplice assassinio d’onore se non fuggire, perseguitato dalla furia delle ‘Erinni’, dal suo stesso regno ? Ed ora Menelao, re di Sparta e fratello di Agamennone, già propulsore della guerra maledetta contro Troia, regna anche su Argo!

Ma pure Ifigenia si dice ingannata da Artemide, benchè sottratta dalla stessa dea al sacrificio, perché presso i Tauri è reclusa in prigionia - sebbene sacerdotale - e resta una straniera assieme a tutte le vergini rapite, per servire in un tempio di cui nessuno sa nulla.

La coreografia, anche formale, si rende indispensabile nel Teatro Antico dove gli attori devono letteralmente muoversi e camminare per metri sul palcoscenico : ma con una recitazione assolutamente agile e serrata, al punto da non distrarre l’ascolto, i dialoghi di scena sono risultati affiatatissimi e convincenti davanti a migliaia di spettatori.

Un messaggio vive solo se viene ben interpretato[5] : quando diventa un mero reperto da consegnare di mano in mano, perde senso e significato.

Toante, re di Tauride, ascolta il messaggero ed inaspettatamente comincia a valutare la inutilità di quel forsennato inseguimento - Ifigenia ed Oreste – fino a che lascia cadere la volontà di una dea, Artemide! Perché, quando Athena entra per fermare la vendetta di Toante, lui stesso ne era già convinto e l’automatismo del Fato si interrompe.

“Cosa c’è di più bello di una lingua fidata ?”, si era chiesta Ifigenia[6] davanti alle compagne, soppesando un bivio possibile, ma da Euripide non esplorato.

Con una capacità interpretativa che si muove senza mentire tra ‘affidabilità’ e ‘inganno’, che nome dare allo stratagemma ideato da Ifigenia per salvare sé e Oreste ?

E quale invece a quello pensato dal re Agamennone per attirare la primogenita Ifigenia al sacrificio? 

Alla ‘interpretazione’ può accedere infatti solo il pensiero che rende imputabile di sanzione l’offerta, e l’appuntamento, con qualcuno : non più sacro, ma non inevitabilmente sacrificato ed immoto, anche un messaggio antico può essere ripreso in movimento e reso attuale senza violarlo.

Euripide accettò infine che Ifigenia venisse solo trasferita da Tauride per proseguire altrove il suo rito di morte fra gli uomini.

Ma nella regia di Jacopo Gassmann, Ifigenia arriva a riconquistare nome e posizione, e può rifiutare di farsi manipolare, e smetterla di condannare a morte.

Non esistono riti, insomma, a cui delegare l’affidabilità : agli umani spetta.

 

Marina Bilotta Membretti, Cernusco sul Naviglio 6 settembre 2022

 

 

[1] Jacopo Gassmann, 42 anni compiuti lo scorso giugno è, con ‘Ifigenia in Tauride’ di Euripide, al suo debutto nel Teatro Antico. Diplomatosi alla ‘New York University’ in ‘regia cinematografica’ ha al suo attivo alcuni lavori teatrali : ‘Il minore, ovvero preferirei di no’; ‘La voce a te dovuta’; ‘Il più bel gioco del mondo’. Ha tradotto testi, riadattandoli per il teatro; nel 2020 ha diretto ‘Niente di me’, di Arne Lygre per la ‘Biennale Teatro’ di Venezia. 

[2] ‘Ifigenia in Tauride’ si conclude con un’ammissione della dea Athena : “La necessità domina non solo te, Toante, ma gli dei stessi!”, citaz. da : ‘Ifigenia in Tauride’, a cura di F.Ferrari con testo greco – BUR Rizzoli (2019) p. 195.

[3] Euripide, il più giovane dei poeti tragici, nacque nel 480 a.C. presso Salamina e morì a Pella, in Macedonia nel 406 a.C. Fu studioso appassionato ma dal pubblico non subito ricevette applausi e consenso, i suoi testi non erano tradizionalisti ed anzi interrogavano lo spettatore : ‘Alcesti’ (438 a.C.), ‘Medea’ (431 a.C.), ‘Elena’ (412 a.C.), ‘Oreste’ (408 a.C.) sono alcune delle sue opere arrivate fino a noi. ‘Baccanti’, ‘Ifigenia in Aulide’ e ‘Ifigenia in Tauride’ furono rappresentate per iniziativa del figlio dopo la morte di Euripide.

[4] Le ‘Simplegadi’ erano, nella mitologia, isole rocciose e vicinissime che ne rendevano pericoloso l’attraversamento : raramente fu possibile superarle, come invece accaduto qui a Oreste e Pilade. “Ora possediamo ciò per cui varcammo le Simplegadi, ciò per cui attraversammo l’inospite mare.”, è Oreste sul ponte della nave, pronto a lasciare Tauride con la sorella Ifigenia ed il compagno Pilade. Citaz.da ‘Ifigenia in Tauride’, a cura di F.Ferrari con testo greco – BUR Rizzoli (2019), p.189.

[5] “Le parole scritte sulle pieghe della tavoletta te le dirò a voce e così tu potrai riferirle ai miei cari”, Ifigenia affida il suo messaggio a Pilade avendo deciso di salvare lui ed Oreste perché provengono da Argo, ma non avendoli ancora riconosciuti. Citaz.da ‘Ifigenia in Tauride’, a cura di F.Ferrari con testo greco – BUR Rizzoli (2019), p.145.

[6] Cit. da: ‘Ifigenia in Tauride’, a cura di F.Ferrari con testo greco – BUR Rizzoli (2019), p.165

“Storie!”

“La parola alla difesa”, fu pubblicato da Agatha Christie nel 1933. Illustrazione originale di Stefano Frassetto.[1]

 

 

Si dice di Agatha Christie che fosse solitaria e che, fin da ragazza, preferisse le letture alle amicizie che le venivano presentate : sappiamo però che fu capace di costruire un ben corroborato giudizio sull’appuntamento e sull’affidabilità.

“La parola alla difesa” non è fra i suoi romanzi più famosi, così insolitamente pacato e scarno, eppure contiene un nucleo indispensabile all’amore, che è l’alleanza non criminosa : quella cioè che costruisce anziché minare, e difende con giusta causa anziché accantonare sorridendo.

Non è infatti la parola pronunciata in giudizio dalla imputata - peraltro capace di dire poco e con difficoltà - a scagionarla dall’accusa gravissima di avvelenamento mortale nei confronti di Mary Gerrard, quanto invece la logica esposta dal suo difensore, il mite inflessibile investigatore Hercule Poirot, abile nel saper rovistare fra le annotazioni fitte che stavano conducendo Elinor Carlisle alla condanna capitale e nell’individuare quei sorridenti ‘buchi’ della logica con cui si condanna per piacere proprio ed altrui, più che per giustizia : ma anche ascrivendo alla giustizia anzitutto il proprio piacere, la propria ‘jouissance’[2].

I ‘buchi’ della logica infatti ostentano presenza e consistenza, sebbene velate da quella modestia e bonarietà che è comune anche ai manigoldi.

Gli stessi ‘buchi’ poi - indebitamente colmi degli affetti più disparati – anche altrove lampeggiano, e vigorosamente. Così negli appunti offerti da un analista al supervisore, quando questi si pone a ricostruire il lavoro fra analista e paziente, indispensabile lettura terza, esterna senza estraneità, volta a cogliere quanto la scienza del pensiero (o inconscio) affida a reperti trascurati e resti da poco, che però facilmente fanno slittare a mera narrazione di un disagio – per molti prezioso, infinito, disumano - quel bandolo della matassa che altrettanto abilmente fu contraffatto e rimosso, non senza responsabilità.

 

Marina Bilotta Membretti, Cernusco sul Naviglio 19 agosto 2022

 

 

[1] Stefano Frassetto è nato a Torino nel 1968. Dopo la laurea in Architettura al Politecnico di Torino, ha iniziato come vignettista e disegnatore per alcuni giornali locali. A metà anni novanta ha cominciato a pubblicare anche in Francia, prima col mensile ‘Le Réverbère’ e in seguito col quotidiano ‘Libération’ : passato a sviluppare l’attività di fumettista col personaggio di Ippo per ‘Il Giornalino’ e poi la striscia ‘35MQ’ per il quotidiano svizzero ‘20 Minuti’, con l’anno 2000 fa il suo esordio su ‘La Stampa’ come ritrattista per le pagine culturali e per l’inserto ‘Tuttolibri’, poi per il settimanale culturale ‘Origami’. Oggi è anche ritrattista e illustratore presso il quotidiano svizzero ‘Le Temps’. Nel 2022 ha pubblicato la raccolta “35mq. 2012-2022 Dieci anni di inettitudine”.

[2] ‘jouissance’ è una parola tipicamente francese e fu introdotta e poi ampiamente usata in psicoanalisi da Jacques Lacan : in realtà indica quel generale ‘godimento’ che connota tanto la ingenuità quanto la invidia, in quanto sfuggenti la ragione. Fra altri testi si legga anche ‘Kant con Sade’, ‘Critique’ n.191 aprile 1963 in ‘Jacques Lacan. Scritti’, a cura di Giacomo B. Contri – Vol. II, pp764-791 ‘Giulio Einaudi editore SpA’ (1974 e 2002).

Assente il figlio.

You tube:

 

‘Glory Box’, di Geoff Barrow (‘Portyshead’) ha accompagnato gli applausi conclusivi di ‘Agamennone’, per la regia di Davide Livermore e co-prodotto con il ‘Teatro Nazionale’ di Genova.    57° Stagione ‘Teatro Greco’ Siracusa 17 maggio – 9 luglio 2022, a cura della Fondazione I.N.D.A. Istituto Nazionale Dramma Antico   www.indafondazione.org               

 

“…non è qui presente il figlio : lui che ratifica il mio, il tuo patto d’amore. Pure, doveva, Oreste.” [1]

Che l’altro passi a fantoccio affettivo, anzi che offrire appuntamenti sanzionabili fa di Clitennestra il prototipo dello schiavo.

 

 

Un grammofono antico occupa, non per sbaglio, il primo piano del palcoscenico di ‘Agamennone’ : anzi ricopre egregiamente il suo ruolo di supporto fondante la memoria – per nulla fantastica – che visiva si fa, ma potendo a quella uditiva appoggiarsi.

D’altra parte, appena oltre la gradinata del Teatro c’è quella caverna scavata, pare, su progetto di Archimede, e nota ormai come ‘Orecchio di Dioniso’ dal nome del tiranno che, pur restando altrove, poteva ascoltare amplificato fino a sedici volte il parlare di chi vi si trovava all’interno.

Cosa amplifica, allora, e distorce e devia il silenzio oscuro di una voluta assenza che è la rimozione, accantonamento con sostituzione lesta e furtiva di una memoria divenuta improvvisamente scomoda ?

Dice anche questo il palcoscenico di ‘Agamennone’, dove il regista ha dedicato una compiuta scena, e tutto il palcoscenico, all’affetto supposto amoroso con cui la disgraziata Clitennestra[2], ardente di consensi e di successo, allontana da palazzo il giovane principe Oreste in un’opera ad altri dedicata. Eschilo[3], tuttavia, nel testo originale porge appena sfumata quella decisione.

 

“Non ti sorprenda : lo cresce un tuo fratello d’armi, cortese, Strofio di Focide.”[4]

 

Ci si chiederà cosa ricordi Oreste di quel materno allontanamento che la regina compie – dice lei - per proteggere lui, erede al trono di Argo.

E non sfugge la contemporaneità con cui la mitologia vuole che, solo poche ore prima, il giovanissimo Astianatte venisse precipitato dai nemici Achei giù dalle mura di Troia in fiamme perché non ne diventasse il re.

Eschilo accamperà la sregolatezza delle divine ‘Erinni’[5] per riuscire ad occupare lo spazio della ragione umana rimasto vacante : ed il persistente sonoro sulla scena, non più e non solo sottofondo, che a tratti arriva persino a coprire la recitazione, bene si rende funzionale invece alla docilità con cui i personaggi, antichissimi ed attuali, possono farsi ‘oggetto’ di un Fato superiore che tutto sovrasta, ma che tutto anche de-imputa.

“Ho goduto nel sangue”, dopo la strage afferma al pubblico con ampi gesti Clitennestra, cui lo spettro vendicativo e sornione di Ifigenia vittima sorride compiaciuto col pugnale in mano. L’altro, qui, non ha certo il posto di partner : e nella sua assenza, che è già rimozione, gli umani si condannano a far tutto da sé, crimini compresi, ma questi allora ammessi e giustificati nella pia sottomissione ad una più alta, astratta Giustizia che arriva a servirsi di come l’umano sappia s-catenare ogni comune vendetta.

 

“ ‘Io devo! E così sia bene.’

Poi si strinse sul collo le stanghe del fato,

deviò la sua mente su una rotta contraria,

di sacrilega, oscena empietà : fu la svolta

 che lo spinse, di dentro ad osare l’estremo.” [6]

 

Insostituibilità - assai dubbia per chi legge questo testo pur durissimo – di una vendetta risolutrice indica dunque Eschilo in ‘Agamennone’, facendo tuttavia di questa opera solo un prologo di quel che verrà.

Davide Livermore[7] ne riporta  invece il valore alla libertà umana di una scelta ancora schiava, che non si schioda da quella vendetta : e l’opera risulta chiarificatrice della intera trilogia.

 

Marina Bilotta Membretti, Cernusco sul Naviglio 1 agosto 2022

 

[1] Clitennestra giustifica ad Agamennone l’assenza del loro figlio Oreste. Cit. : ‘Agamennone’, p.63 in “Eschilo. Orestea” con testo originale, traduzione dal greco di Enzo Savino – Garzanti Editore SpA (1998).

[2] Clitennestra confessa ad Agamennone di aver tentato il suicidio in assenza di lui.

[3] Eschilo (525 a.C. – 456 a.C.) fu uno dei massimi poeti tragici (‘Prometeo incatenato’, ‘I Persiani’, ‘I sette contro Tebe’, ‘Le Supplici’, ‘Orestea’ – ‘Agamennone’, ‘Coefore’, ‘Eumenidi’). Crebbe ad Eleusi, centro misterico vicino ad Atene, combattè a fianco degli Ateniesi, tecnicamente innovò la tragedia introducendo il secondo attore nel dialogo col Coro. Dopo il successo de ‘L’Orestea’ (458 a.C.) si trasferì in Sicilia ed a Siracusa. 

[4] E’ ancora Clitennestra, giustificandosi ad Agamennone per l’assenza del figlio. Cit. : ‘Agamennone’, p.63 in “Eschilo. Orestea” con testo originale, traduzione dal greco di Enzo Savino – Garzanti Editore SpA (1998).

[5] ‘Coefore’ ed ‘Eumenidi’, le due tragedie successive che completano ‘L’Orestea’ sono dedicate alla furia delle ‘Erinni’ ed al loro addomesticamento nobilitato in favore degli umani che le rese, quali ‘Eumenidi’, titolari di uno specifico culto.

[6] Il Coro riporta il pensiero e le parole di Agamennone nell’atto di sacrificare la primogenita Ifigenia Cit. : ‘Agamennone’ pp.22-23 in “Eschilo. Orestea” con testo originale, traduzione dal greco di Enzo Savino – Garzanti Editore SpA (1998).

[7] Davide Livermore è regista di opera e prosa dal 1998, avendo fin da giovanissimo ricoperto i moltissimi ruoli del mestiere teatrale. Ha inaugurato le ultime quattro stagioni del ‘Teatro alla Scala’ di Milano (‘Attila’ di G. Verdi, 2018-2019; ‘Tosca’ di G. Puccini, 2019-2020; il Concerto ‘A rivedere le stelle’, sostitutivo a causa della pandemia da Covid19; ‘Macbeth’ di G. Verdi, 2021-2022). Dal 2019 ha diretto per il ‘Teatro Greco’ di Siracusa : ‘Elena’ di Euripide (2019), ‘Coefore’ ed ‘Eumenidi’ di Eschilo (2021), ‘Agamennone’ ed ‘Orestea’, di Eschilo (2022). Dal 2017 collabora con la ‘Royal Opera House Muscat’ in Oman.

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