Loading color scheme

Albrecht Dürer[1].

L’efficacia del bello nella realtà.

Illustrazione originale di Stefano Frassetto (5).

 

 

 

 “Che cosa sia la bellezza io non lo so… Non ne esiste una che non sia suscettibile di ulteriore perfezionamento…”[2]

 

Dürer non fu, anzitutto, un genio isolato ma un uomo colto e ben inserito nella società tedesca, da cui tuttavia seppe prendere le distanze con quella raffinata competenza che lo mantenne interlocutore affidabile dei potenti mecenati che a lui si rivolgevano, e senza attirare la diffidenza di cui si circondò invece il contemporaneo Leonardo Da Vinci.

Figlio dell’orefice Albrecht, detto ‘il Vecchio’[3], fin da bambino Dürer fu ottimo disegnatore e con spiccato talento per il ritratto : ben presto cominciò a collaborare con eruditi e stampatori nel nascente e già promettente ambiente editoriale di Norimberga, fino a che risolse di passare definitivamente alla più difficile - e prestigiosa - arte dell’incisione, a cui volle affidare persino la piega del volto di Cristo deriso nella ‘Passione’ (1497-1510), e le ombre perverse dell’invidia degli uomini in ‘Cristo dodicenne fra i Dottori’ (1506).

Ma fu la questione religiosa di quegli anni, fra la emergente ‘Riforma protestante’ – avviata pare da un prestito della famiglia Fugger all’Arciduca del Tirolo nel 1487, garantito da una ipoteca sulla miniera d’argento dell’Arciduca – e la successiva ‘Controriforma’, che avviò nell’uomo Dürer una questione imprescindibile, quella di un pensiero individuale unico e non divisibile fra razionalismo e misticismo, unicità che solo improvvidamente può essere rimossa, facendo impallidire l’umano in un meccanicismo rigido ottuso servile che, scivolando scivolando, culminerà nella follia nazista di pochi decenni fa.

E’ una critica severissima quella di Dürer, sebbene còlta ma difficilmente contrastabile grazie alla sua accattivante raffinatezza, verso gli artisti tedeschi che gli furono contemporanei, primo fra tutti il brillante politico Lucas Cranach, pittore della Riforma ed amico di Martin Lutero col quale inizialmente Dürer anche collaborò. Basti osservare le diverse interpretazioni di San Girolamo, modello per gli umanisti al crocevia fra protestanti e cattolici.

L’arte di Dürer arrivò ad affrontare quella del nostro Leonardo Da Vinci, per il quale la vecchiaia di San Girolamo fu di penitenza stretta e di isolamento, mentre Dürer descriveva un anziano santo e sorridente, lietamente consapevole.

Nella sua fedeltà ai canoni classici, rivisitati grazie alla riscoperta di artisti come il pittore Apelle, citato da Plinio il Vecchio perché capace di riprodurre visivamente suono e profumo, Dürer gode delle individualità straordinarie prodotte da Giorgione, Tiziano, Lotto e dallo stesso Leonardo Da Vinci costruendo a sua volta sui risultati ottenuti dagli eccellenti Colleghi italiani. E prepara il ‘Rinascimento’ stesso, con quella sua proverbiale curiosità verso un reale che ritiene affidabile anche nella vecchiaia, e nella fatica sempre elaborabile della vita.

Approdando infine alla sua opera più enigmatica, “Melencholia” del 1511, in cui protagonista è l’artista stesso, elaboratore della realtà, senza altre gratificazioni che non siano il lavoro stesso e l’opera in atto. A tema, Dürer mette arditamente ‘il furore’ dell’artista che può indagare sì il disordine del mondo arrivando persino ad istituire un ordine[4] grazie agli strumenti della logica di cui dispone, ma che si trova poi da solo nel precedere i contemporanei concludendo un’opera che risulti invitante, perché il mondo stesso la desideri e vi si disponga, pur se ancora progetto e non realtà già sperimentabile.

Solitudine genera ‘melencolia’ suggerisce Dürer che acutamente segnala i rischi di un Ideale moderno di autonomia sessuale, presente già negli autori della ‘Riforma’.

La simpatia di Dürer per la mostruosità perfetta di “Granchio marino” (1495) che si lascia ammirare senza resistenze è quella di un uomo curioso ed affezionato alla realtà, non contaminato da pregiudizi ma anzi attento studioso dei canoni classici e mensurabili.

E’ ancora la stessa simpatia che si ritrova ne “La famiglia del satiro” (1505), un ‘fauno’ tanto selvatico quanto tenero marito nonché padre premuroso in una famiglia ben differente da quella in cui la rigidità educativa forgia debolezze pericolose ed inibizione pronte ad esplodere.

Ed è infine una simpatia applicativa, quella che mette a fuoco il giudizio diffidente di Dürer verso una emergente sottomissione sociale in Europa – favorita dalla Cultura della contemporanea ‘Riforma’ di Martin Lutero, al quale tuttavia egli si avvicinerà negli ultimi anni della sua vita – pronta a generare mostri reali, pallidi e lucidi esecutori di quanto non condividono né amano, odianti la individualità mite anche di un bambino quando ponga interrogativi a cui l’adulto ha rinunciato a rispondere.

 

                                 Marina Bilotta Membretti, Cernusco sul Naviglio 8 settembre 2018

 

 

 

 

[1] Devo la scoperta di Albrecht Dürer (Norimberga 1471-1528) ad una sorpresa graditissima da mia figlia : la visita alla Mostra “Dürer ed il Rinascimento fra Germania ed Italia” (a cura di B. Aikema) a ‘Palazzo Reale’ a Milano (21 febbraio – 24 giugno 2018).   

[2] “Dürer”, a cura di Costantino Porcu – Rizzoli Editore Milano (2004)

[3] E’ del 1490 il “Ritratto di Albrecht Dürer, il Vecchio”.

[4] “Ordine, contrordine, disordine. La ragione dopo Freud”, Maria Delia Contri – SIC Edizioni (2016) : l’autrice tratta specificamente la questione del ‘disordine’ che precede e sostiene ogni psicopatologia.

(5) Stefano Frassetto è nato a Torino nel 1968. Dopo la laurea in Architettura al Politecnico di Torino, ha iniziato come vignettista e disegnatore per alcuni giornali locali. A metà anni novanta ha cominciato a pubblicare anche in Francia, prima col mensile ‘Le Réverbère’ e in seguito col quotidiano ‘Libération’ : passato a sviluppare l’attività di fumettista col personaggio di Ippo per ‘Il Giornalino’ e poi la striscia ‘35MQ’ per il quotidiano svizzero ‘20 Minuti’, con l’anno 2000 fa il suo esordio su ‘La Stampa’ come ritrattista per le pagine culturali e per l’inserto ‘Tuttolibri’, poi per il settimanale culturale ‘Origami’. Oggi è anche ritrattista e illustratore presso il quotidiano svizzero ‘Le Temps’.

 

Ma c’eri e resti.[1]

 Leonardo Da Vinci e l'obiezione di Coscienza.

Illustrazione originale di Stefano Frassetto 

 

 

Leonardo Da Vinci dipinse il ‘Cenacolo’[2] a Milano, fra il 1494 ed il 1497, su commissione di Ludovico il Moro, alla corte del quale era giunto appositamente da Firenze. Leonardo non amava dipingere temi religiosi e preferiva alla cultura dei chierici quella sferzante e crudele del suo mecenate, che tuttavia, per il refettorio del convento di Santa Maria delle Grazie gli richiese proprio “L’ultima cena”. Leonardo così, dovette “entrare” nella persona di Gesu’ pensante. Scelse, fra tutte, l’ammissione addolorata senza condanna : “Uno fra voi mi tradira’… Colui che con me intinge nello stesso piatto[3].”

Leonardo lavorava misteriosamente : di lui l’apprendista Matteo Bandello riferisce che a volte il Maestro lavorava senza interrompere nemmeno per il pranzo, a volte invece dava due pennellate e se ne andava eclissandosi fino al giorno seguente. Specialmente intorno al Cenacolo, Leonardo più volte tornò a ricoprire ciò che nei giorni precedenti aveva già dipinto. Grazie ad un restauro durato vent’anni che ha permesso di risalire all’impianto iniziale, oggi noi possiamo conoscere il pensiero di un uomo riconosciuto come genio ma che perlopiu’ fu trattato dai contemporanei come uno strano umano da non avvicinare.

Sigmund Freud pubblicò nel 1910 “Un ricordo d’infanzia di Leonardo Da Vinci”, dodici anni dopo il brevissimo e dedicato soggiorno a Milano nel settembre 1898 e dopo aver pubblicato “L’interpretazione dei sogni” ed il ben riuscito “Caso del piccolo Hans”. Anche il saggio su Leonardo Da Vinci era nuovamente dedicato allo studio del pensiero coniugale del bambino nella sua corruzione in “complesso” di Edipo, inibizione ed obiezione di Coscienza all’amore. Durante la sua visita a Milano, Freud non trovo’ l’affresco nello stato convincente di cui noi oggi possiamo godere e dunque non potè scagionare Leonardo dalla nefasta diagnosi che egli stesso arrivo’ solo a ipotizzare, cioè la perversione per natura o biologica, una capacita’ al limite dell’umano che inibisce a tal punto il desiderio del coniugio da sublimarlo direttamente rimanendone al di qua, quasi un recinto invalicabile eretto dal pensiero stesso e dal quale il pensiero “salta” altrove senza alcun ragionevole collegamento. Le abilità tecnica e scientifica avrebbero dunque sostituito in Leonardo fanciullo e poi giovane uomo, surrogandola completamente, qualunque traccia di amore, o libido o passione, innalzandolo così a genio maledetto per natura.

Oggi noi sappiamo che non fu cosi’, e grazie al pensiero stesso che Leonardo ci offre nel suo lavoro “vergine” dei successivi e continui ripensamenti patologici, indiscutibilmente provati dai diversi strati di pittura e dalle pennellate sovrapposte. Anzitutto Leonardo privilegiò, senza evidente ragione, una tecnica di affresco asciutto che al contrario della tecnica di affresco tradizionale che egli stesso ben conosceva, avrebbe esposto l’opera gia’ durante l’esecuzione, che fu lunghissima, ad un degrado rapido ed irreversibile. Quasi volesse nascondere, nella rovina prevedibile dell’affresco, il suo reale pensiero che era un pensiero di amore.

Faticando immensamente nel tentativo di entrare nella mente di Gesù, Leonardo infatti arrivò a pensare un coniugio che egli stesso aveva desiderato, ma nel quale si ritrovo’ tradito ferito violentato.

Nel Cenacolo è il gioco delle mani, un discorso costruito per eludere lo spettatore distratto dai volti, a svelare il pensiero del pittore che si concentra sul rapporto fra Gesù, luminoso e centrale, e Giuda, figura contorta ed in ombra.

Già nel sogno ricordato da Leonardo e commentato da Freud, il rapace rappresentava un amore materno aggressivo e soffocante. Nel Cenacolo di Milano torna evidente la mano rapace di un Giuda sviato dal possesso, e che pertanto non arrivera’ a congiungersi con la mano desiderante di Gesu’-Leonardo, inequivocabilmente rivolta a quella di Giuda, in cui Leonardo rappresentò il genitore notaio, ser Piero Da Vinci[4].

In assenza di prole dalla moglie legittima infatti, ser Piero Da Vinci aveva acquistato Leonardo dalla sposa naturale, collezionando quel bambino in mancanza di altro ma ignorando il desiderio di amore che Leonardo aveva per lui.

Alla consegna dell’affresco, tuttavia, il prodigo Ludovico detto il Moro non aveva più denari per saldare come promesso l’eccellente lavoro di Leonardo, il quale dovette accontentarsi, ingoiando l’ennesima delusione, di un celebre Vigneto nel cuore di Milano. E dopo il Cenacolo, Leonardo non torno’ mai piu’ su quel tema, che pure gli aveva permesso di elaborare una nuova capacità di amore, successiva all’insoddisfacente rapacità materna.

Il suo pensiero di amore non era rimasto ucciso insomma né egli era, come ipotizzò Freud interrogandosi,  biologicamente incapace di amore. Ma Leonardo non arrivò in tempo a giovarsi di una cura psicoanalitica che  raccogliesse  la prova[5] di quel suo germoglio di salus da coltivare.

 

 

Marina Bilotta Membretti, Cernusco sul Naviglio 24 maggio 2016

 

 

 

[1] Il testo è stato brevemente presentato in Sessione di lavoro in Aula / ‘Simposio 2015 – 2016’.

[2] Ho partecipato alla visita guidata di “Neiade Immaginare arte”.

[3] Vangelo di Matteo, Mt 26, 20-25

[4] Ser Piero Da Vinci, vissuto fra il 1427 ed il 1504 fu il padre di Leonardo, notaio ed uomo di cultura fiorentino.  

[5] Il pensiero di natura, Giacomo B.Contri – SIC Edizioni 2006. E’ evidente la tesi che il pensiero individuale lavora sulla natura biologica, non riconoscendosene sottomesso, fin dalla nascita del bambino.

(6) Stefano Frassetto è nato a Torino nel 1968. Dopo la laurea in Architettura al Politecnico di Torino, ha iniziato come vignettista e disegnatore per alcuni giornali locali. A metà anni novanta ha cominciato a pubblicare anche in Francia, prima col mensile ‘Le Réverbère’ e in seguito col quotidiano ‘Libération’ : passato a sviluppare l’attività di fumettista col personaggio di Ippo per ‘Il Giornalino’ e poi la striscia ‘35MQ’ per il quotidiano svizzero ‘20 Minuti’, con l’anno 2000 fa il suo esordio su ‘La Stampa’ come ritrattista per le pagine culturali e per l’inserto ‘Tuttolibri’, poi per il settimanale culturale ‘Origami’. Oggi è anche ritrattista e illustratore presso il quotidiano svizzero ‘Le Temps’.

 

L’arte del merletto[1].

Un lavoro da… io!

Quasi un ricamo prezioso può apparire la decorazione marmorea dall’esterno dell’abside del Duomo di Milano, dedicato a ‘Mariae nascenti’.

 

 

Che cosa rende immediatamente apprezzabile un ricamo, e sgradevole invece un groviglio di nodi ? E’ su questo che si fonda il successo di un artefatto ad altissimo valore aggiunto, in uso già verso la fine del Medioevo anche in Italia.

Gli attrezzi sono molto semplici, i fuselli, l’ago ed il tombolo cilindrico ma è necessaria una solida competenza tecnica che non può essere tramandata né a parole né coi libri perché deve appoggiarsi ad un buon disegno - ‘la traccia’ - pensato adeguatamente.

Corteggiati da mecenati nobili e più tardi borghesi, anche i Maestri di bottega del primo Rinascimento arrivavano qualche volta a cedere un bozzetto ‘griffato’, che poi però richiedeva una speciale maestria nell’interpretare le ombre, indispensabili per comprendere il disegno e fino ad ottenere quel manufatto sottile prezioso e resistente, dal considerevole valore : tanto che il suo impiego più ricercato era, ed è, per alta sartoria. Ma pizzi per sontuosi arazzi e complementi d’arredo si rintracciano persino nelle registrazioni notarili di contratti sponsali, depositati negli archivi medievali.

L’invenzione del pizzo lavorato ad ago, che così frequentemente connota la moda del ‘700 veneziano,  risale forse ad epoche antichissime ed a civiltà lontane che le attività commerciali facevano incontrare : per i nostri antenati latini infatti la cucitura ad ago riguardava unicamente il ‘rammendo’ che raramente però si avvicina a quell’intreccio sapiente di fili pregiati che fa il ricamo.

Improvvisamente, invece nel Medioevo la esibizione di pizzi e merletti fa la sua comparsa nelle città sfilando, ad esempio, nella meraviglia e nella rivalità delle diverse Corporazioni, proseguendo poi in tempi più recenti - come avvenuto nel 1888 e poi nel 1959 per esempio a Cantù, sede di una delle scuole italiane di merletto più rinomate - con l’apertura di scuole professionali anche pubbliche. Il brusco passaggio della moda degli anni ’50 e ’60 al moderno prêt-à-porter provoca una rarefazione delle professionalità che porta ad un incredibile innalzamento del valore e del costo del prodotto su commissione, con il conseguente ridursi degli esemplari di manufatti preziosi disponibili per gli acquirenti.

Mantenendo la capacità di creare ‘pezzi’ unici – persino e tuttora anche su disegno di artisti contemporanei[2] - l’arte del merletto resta un invito ad usare del proprio pensiero, ed ancor più quando si aggroviglia inquieto, per dipanarne i fili e ricostruire un ordine che ben si avvicina all’onirico, ed a quei sogni notturni apparentemente indecifrabili e contorti, ma reali, di cui dobbiamo ammettere che noi stessi siamo autori.

 

                                               Marina Bilotta Membretti, Cernusco sul Naviglio 13 novembre 2019 

 

 

 

[1] Ringrazio ‘Palazzo Morando’, sede del Museo di Milano e della collezione ‘Costume Moda Immagine’ che ha recentemente ospitato la mostra ‘Merletti e Design : intrecci creativi a Cantù dal Novecento ad oggi’, e ringrazio l’Associazione ‘Italia Medievale’ per la presentazione de ‘L’arte del sarto nel Medioevo. Quando la moda diventa un mestiere’ (2018, Ed. ‘Il Mulino’) di Elisa Tosi Brandi, giovane ricercatrice in ‘Storia medievale’ presso l’Università di Bologna, che ha approfondito la storia dell’artigianato di moda.

[2] ‘Lombardini22’ è lo Studio milanese che ha progettato ‘Cattedrale’, un merletto che prende spunto dal ‘nodo infinito’ di Leonardo Da Vinci in occasione del cinquecentenario che si celebra a Milano, ed utilizzando le tecniche applicate al digitale. NeSpoon è il nome d’arte di un’artista polacca che si sta rendendo famosa per la sua ‘street art’ di pizzo antico con cui decora gli edifici cittadini.

Speed Book Date[1] Varese 11 marzo 2018

Ho presentato : ‘La profezia dell'armadillo’[2]

 

Ho una passione parallela per i Fumetti d'autore : quest'estate Marco e Laura – Marco è il mio terzogenito venticinquenne, fidanzato – mi hanno regalato questo bellissimo Fumetto che a loro era piaciuto molto, al termine di alcuni giorni di vacanza insieme. L'ho letto dopo che loro erano partiti e ho riso tantissimo, a me ridere fa bene.

Ho sentito dire a Zerocalcare – è stato alla ‘Fiera del Libro‘ 2016 a Milano : oh, a proposito il vero nome di Zerocalcare è Michele Rech, 35 anni - che non è "mai andato dallo psicologo". Sarà dunque tutto merito suo se è capace di colloquiare con l'inconscio – l'armadillo, "il mio amico immaginario che mi facilita la comprensione dei miei pensieri ed elucubrazioni" – che normalmente rimuoviamo ritrovandoci a fare i conti con le nevrosi quotidiane ?

Ecco, pare proprio che Zerocalcare con l'inconscio in questo Fumetto ci viva bene. Infatti questa sua Artist 2nd Edition inizia con un Fumetto inedito, in bianco e nero, in cui Zerocalcare parla col sè stesso di nove anni prima, quando uscì la prima edizione : ha venduto qualcosa come 100.000 copie, ma continua a fare i conti con l'incubo di "esser rimasto al palo" e "Mia madre è contenta ?" Ma ora, dignitosamente, è questo il suo lavoro, e pure sua madre – che nel Fumetto ha le fattezze di Lady Cocca in Robin Hood di Walt Disney - è contenta. Ha appena saputo improvvisamente che "Camille non ce l'ha fatta", come gli scrive il padre dell'amica di cui parla nella prima edizione, e lui si chiede : "Quella che ricordo è la Camille vera o quella del Fumetto ? Sono ancora capace di misurare quel divario ? E' stato giusto, è stato sbagliato ?" e poi a sè stesso : "Pensaci a stè cose, non le trattare come pippe mentali. Perchè te le porterai appresso per un sacco di tempo."

E' nato ad Arezzo ma vive a Roma, nel quartiere del Carcere di Rebibbia.

"Si chiama profezia dell'armadillo qualsiasi previsione ottimistica fondata su elementi soggettivi ed irrazionali spacciati per logici ed oggettivi, destinata ad aumentare delusione, frustrazione e rimpianti, nei secoli dei secoli. Amen".

 

Marina Bilotta Membretti – Varese, 11 marzo 2018

 

 

[1] Speed Book Date, presentazione di un libro in cinque minuti : evento in cinque presentazioni in diverse città italiane, ideato e condotto da Alessandra Pagani, editor e blogger.

[2] ‘La profezia dell'armadillo’ Artist 2nd Edition 2017, di Zerocalcare – BAO Publishing

Save
Cookies user preferences
We use cookies to ensure you to get the best experience on our website. If you decline the use of cookies, this website may not function as expected.
Accept all
Decline all
Analytics
Tools used to analyze the data to measure the effectiveness of a website and to understand how it works.
Google Analytics
Accept
Decline
Unknown
Unknown
Accept
Decline