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“Ogni cosa al suo posto”[1]. Nel cinquecentenario di Raffaello Sanzio[2] da Urbino.

Illustrazione originale di Stefano Frassetto[3].

 


 
Dice il Vasari[4] che Giovanni de’ Santi, padre di Raffaello, felice per la nascita del figlio non volle mandarlo a balia, “ma che la madre propria lo alattassi continovamente” ed intanto, “con tutti que’ buoni et ottimi costumi che fu possibile” il bambino venne subito avviato ed ammaestrato alla pittura nella bottega paterna di Urbino : non appena in età, il padre volle presentarlo alla bottega di Pietro Perugino a Perugia che lo accettò in apprendistato e dove già Raffaello si fece notare per come studiava la maniera di Pietro, imitandolo al punto che non era facile distinguere il lavoro dell’allievo da quello del maestro.

Grazie ai suoi modi fini che ben pochi fra gli artisti suoi predecessori manifestavano, Raffaello ottenne presto commesse altolocate, prima a Siena - dove però già lavoravano Leonardo Da Vinci e Michelangelo - poi a Firenze dove cominciò lui stesso a dar lezioni di prospettiva, nella quale eccelleva e che lo appassionava specialmente, dacchè forse l’urbanistica  e l’architettura costituivano la vera novità per l’artista rinascimentale, non più solo decoratore o poeta ma filosofo e teorico a tutti gli effetti[5].


Conobbe ed apprezzò Albrecht Dürer[6] da cui si fece eseguire alcune incisioni su proprio disegno.


Poco si parla del talento speciale e della sensualità amorosa di Raffaello, che il Vasari coglie nel suo ritrarre fisionomie : cosicchè, ad esempio “La Velata” (1516) e “La Fornarina” (1519ca), che pure si ispirano ad “Amor sacro e Amor profano” (1515) del contemporaneo Tiziano Vecellio, non sono però - come quello - ritratti didascalici, e noiosamente pedagogici.


Tornò a Perugia, fu ad Urbino ospite del Duca di Montefeltro, poi di nuovo a Firenze dove lo chiamavano nuove commesse ed infine a Roma nel 1508, dove papa Giulio II - che aveva ordinato l’abbattimento della basilica vaticana risalente all’imperatore Costantino a causa delle contaminazioni del barbaro Medio Evo – commissionava a Raffaello una serie di affreschi grandiosi per la nuova Biblioteca e Tribunale ecclesiastico nella ‘Stanza della Segnatura’ dei Palazzi Apostolici, dove la teologia risultasse apice ed equilibrio delle umane filosofie.


Raffaello, intanto, che - a differenza di Michelangelo - aveva messo sù una produttiva bottega con valenti collaboratori, arrivò a soddisfare le aspettative del committente, senza rinunciare ad uno sguardo velatamente ironico su ciò che rappresentava : quella enciclopedica opera figurativa alla quale pare sia stato accompagnato passo passo da colti funzionari papali.


E così, la sua “Scuola di Atene” apre allo spettatore un disordine composito con al centro il dibattito infinito fra Platone, reale protagonista dell’affresco che indica il Cielo delle ‘idee’, e l’allievo Aristotele che offre invece la sua “Etica” alla elaborazione umana. Attorno a loro si muovono una quantità di personaggi riconoscibilissimi e ritratti nelle realistiche sembianze di colleghi artisti, contemporanei di Raffaello : Socrate maestro di Platone, Pitagora con la perfezione del numero, il berbero Averroè, Euclide, Eraclito, Zoroastro, Diogene per citarne alcuni.


Nessuno di loro si rivolge allo spettatore, ciascuno è preso dalla propria ‘buona’ teoria che argomenta, e sostiene - quando può - con fedeli discepoli. E benchè i cieli atemporali che illuminano la scena non diano indicazioni sull’ora, la data indica il 31 ottobre 1503, giorno della elezione di Giuliano della Rovere al soglio pontificio col nome di Giulio II.


E’ qui finalmente rappresentata la grandiosità ed armonia dell’Architettura, che sa accogliere ed ugualmente sorreggere e presentare, al pubblico ed alla Storia, il moto ed i tratti di filosofi e studiosi.


Un Ordine dunque precede, accetta il disordine degli uomini e, pur rendendolo manifesto e sgradevole, è capace di elevarlo ed offrirgli spazio ed ascolto ?


Raffaello pare condividere il pensiero del committente ma all’unico personaggio femminile dell'affresco – Ipazia, ragionevolmente, la matematica alessandrina che qui però veste un abito bianco-velato e rassomiglia incredibilmente a Raffaello stesso, pure ritratto al lato opposto e simmetrico – affida quello sguardo preciso che cerca lo spettatore e chiede giudizio, riscontro, risposta, rendendosi così legame di imputazione indispensabile per un beneficio ed una ricchezza.

 

Marina Bilotta Membretti, Cernusco sul Naviglio 12 settembre 2020
 
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[1] “Ogni cosa al suo posto” è il titolo del saggio di Oliver Sacks, pubblicato postumo, in cui il neurologo segnala l’aspetto patologico di malinconia e compulsione, per le quali è condizione indispensabile che ‘ogni cosa sia al suo posto’, anche al costo di manomettere la realtà alla propria fissazione. D’altra parte Sacks indica nel ‘mettere ordine’ la qualità dei pazienti che arrivano a guarire, rendendosi capaci di ‘fare ordine’ a partire dal disordine mentale presente in ogni patologia.


[2] Ricorre nel 2020 il cinquecentenario della morte di Raffaello Sanzio che Giorgio Vasari ricorda in “Le Vite de’ più eccellenti architetti, pittori, et scultori italiani, da Cimabue insino a’ tempi nostri” ‘Nell’edizione per i tipi di Lorenzo Torrentino, Firenze 1550’ (Einaudi ‘ET Classici’ 2015, Vol.II p.611 e p.639).“Nacque Rafaello in Urbino città notissima l’anno MCCCCLXXXIII (1483 - ndr), in Venerdì Santo a ore tre di notte… Poi confesso e contrito finì il corso della sua vita il giorno medesimo ch’e’ nacque, che fu il Venerdì Santo d’anni XXXVII (37anni, quindi era il 1520 – ndr)…”


[3] Stefano Frassetto è nato a Torino nel 1968. Dopo la laurea in Architettura al Politecnico di Torino, ha iniziato come vignettista e disegnatore per alcuni giornali locali. A metà anni novanta ha cominciato a pubblicare anche in Francia, prima col mensile ‘Le Réverbère’ e in seguito col quotidiano ‘Libération’ : passato a sviluppare l’attività di fumettista col personaggio di Ippo per ‘Il Giornalino’ e poi la striscia ‘35MQ’ per il quotidiano svizzero ‘20 Minuti’, con l’anno 2000 fa il suo esordio su ‘La Stampa’ come ritrattista per le pagine culturali e per l’inserto ‘Tuttolibri’, poi per il settimanale culturale ‘Origami’. Oggi è anche ritrattista e illustratore presso il quotidiano svizzero ‘Le Temps’.


[4] “Le Vite de’ più eccellenti architetti, pittori, et scultori italiani, da Cimabue insino a’ tempi nostri”, Giorgio Vasari ‘Nell’edizione per i tipi di Lorenzo Torrentino, Firenze 1550’ - Einaudi ‘ET Classici’ 2015, Vol.II pag.611


[5] Leon Battista Alberti aveva pubblicato il “De pictura” (1435) ed il “De re aedificatoria” (1485), primi trattati teorici che riguardavano pittura, scultura ed architettura.


[6] “Le Vite de’ più eccellenti architetti, pittori, et scultori italiani, da Cimabue insino a’ tempi nostri”, Giorgio Vasari ‘Nell’edizione per i tipi di Lorenzo Torrentino, Firenze 1550’ - Einaudi ‘ET Classici’ 2015, Vol.II pag.629


I sessi nella legge.

  

La mia prima volta al Teatro Greco di Siracusa[1]

 

 

 

 

"Temo i Danai anche quando portano doni" : il saggio Laocoonte2 metteva in guardia i suoi concittadini i quali, temendo l'ira di Minerva, facevano entrare il Cavallo dentro le mura di Troia, rendendosi così artefici della propria sventura.

C'è una distanza siderale fra il pensiero religioso che invoca 'doni', e soprattutto il dono del 'non lavoro', ed il pensiero laico che raccoglie l'offerta del reale e la soppesa in vista del traguardo, attribuendo un valore alla propria elaborazione, cioè al lavoro.

E c'è una sofferenza che qualifica il pensiero religioso nella sua resistenza alla imputabilità laica che rifiuta di generalizzare una 'essenza' umana distinguendo la 'sfera sessuale' da altre, "...quella del lavoro anzitutto, la sfera dell'amicizia, la sfera della guerra, la sfera della politica, la sfera del 'privato', la sfera della conoscenza e... la sfera religiosa..."3 

Pigramente appoggiata al pensiero religioso, Elena di Sparta – unica fra le nobili Troiane sorteggiate come schiave dopo la vittoria dei Greci - dichiara di essere stata oggetto delle ambizioni divine - Afrodite, Atena ed Era - ed implora così Menelao giunto a Troia da vincitore.

"...Punisci la dea (Afrodite, n.d.r.), sii più forte di Zeus che comanda su tutti gli altri celesti, ma è schiavo di Afrodite: e perdona invece me..."4

E Menelao, che nella sua ingenuità viene tentato dal confronto con gli dei e vacilla per le lusinghe di Elena, alla fine rinuncerà a giudicarla. 

 

"Dovrebbe iniziare a farsi strada la scoperta che l'astrazione di una sfera sessuale è la condizione della perversione. L'atmosfera di un simile... mondo... è l'angoscia... in quanto l'angoscia è l'affetto di un difetto di legge di 'moto'..."5 

 

L'alternativa illogica alla vendetta è la rinuncia al giudizio : Euripide non condanna tanto la perversione di Elena i cui discorsi pietosi espone al giudizio dei presenti, quanto chi – come, ed intorno a Menelao - gioisce nella tragedia.  Ma Euripide mostra anche come la disinvoltura con cui Elena riesce a 'scavalcare' il giudizio, si fa purtroppo vessillo fra gli ingenui di una presunta e invidiabile posizione femminile che fa seguito, e fa 'audience'.

La principessa Cassandra infatti, vergine dedicata al tempio di Apollo e qui sorteggiata quale futura concubina di Agamennone, inneggia istericamente verso Ecuba, sua madre : "...Madre, cingimi il capo con la corona della vittoria e rallegrati per le mie nozze regali; scortami, e se non ti sembro risoluta, spingimi a forza. Se il Lossia esiste, l'illustre principe degli Achei, Agamennone, avrà in me una sposa peggiore di Elena. Perchè io lo ucciderò, io devasterò a mia volta la sua reggia, vendicando così i miei fratelli e mio padre... Perciò, madre, non devi piangere sulla tua patria, sui miei letti : distruggerò, con le mie nozze, i nostri più odiati nemici."6 

Al pensiero laico che scarta la vendetta, Euripide dedica lo splendido dialogo fra la principessa Andromaca, vedova di Ettore per mano di Achille e la regina Ecuba, madre di Ettore e vedova dell'anziano Priamo re di Troia, ucciso per primo dopo l'assalto alla città. Andromaca, sapendo di essere destinata al figlio di Achille, Neottolemo, così si rivolge ad Ecuba : "...Tutte le virtù femminili che sono state individuate, le praticavo vivendo con Ettore... La notizia di queste mie virtù è giunta al campo Acheo e mi ha rovinato : una volta prigioniera, il figlio di Achille, Neottolemo, mi ha voluta in moglie... Se rimuovo il pensiero del caro Ettore per aprire il mio cuore al marito attuale, apparirò vile al morto. Ma se manifesto avversione per il nuovo consorte, mi attirerò l'odio dei padroni... In te, Ettore avevo trovato lo sposo ideale, spiccavi per intelligenza, stirpe, ricchezza, valore..."7 

" ...Figlia cara – si rivolge Ecuba alla moglie di suo figlio – smetti di pensare ad Ettore : le tue lacrime non lo riporteranno in vita. Onora invece il tuo nuovo marito, offri a lui la tua dolcezza. Se agisci così, i tuoi cari tutti ne saranno lieti... e magari la città potrebbe risorgere."8

 

Nel 423 a.C. Euripide aveva già rappresentato "Andromaca", testo drammatico e interessante ma poco conosciuto, che presenta la donna di un'era nuova, capace di risorgere dal lutto e che presso il nuovo sposo e la sua corte si era guadagnata stima e rispetto. Ma l'opera aveva avuto scarso successo ad Atene perchè Andromaca non era di stirpe greca.

Successivamente allora, nel 412 a.C. e di nuovo ad Atene Euripide rappresenterà "Elena", opera conosciuta come 'tragicommedia' perchè l'elemento tragico non c'è, se non nelle costosissime conseguenze di una ingenuità troppo a lungo trascurata.

 

 

Marina Bilotta Membretti, Cernusco sul Naviglio 4 luglio 2019

 

 

 

 

 

2 Publio Virgilio Marone, "Eneide"(Libro II, 49)

3 "Il pensiero di natura. Dalla psicoanalisi al pensiero giuridico", Giacomo B. Contri - SIC Edizioni (1998), p.137 // Il titolo ‘I sessi nella legge’ è tratto da Sez.III ‘I sessi nella legge. Sviluppo dell’articolo 8’, ‘Un’essenza assurda : ‘La sessualità’, ‘Il sesso’ – p.131 e segg.

4 I passi scelti e qui riproposti sono tratti da "Le Troiane" di Euripide (415 a.C.) : ambientata nell'accampamento dei Greci davanti alla città di Troia, la tragedia fu rappresentata per la prima volta ad Atene durante la sanguinosa Guerra del Peloponneso, e portò forse i Greci ad interrogarsi sulle conseguenze devastanti della loro politica. 

5 "Il pensiero di natura. Dalla psicoanalisi al pensiero giuridico", Giacomo B. Contri – SIC Edizioni 1998, p.137

6 "Le Troiane", Euripide (415 a.C.)

7 "Le Troiane", Euripide (415 a.C.)

8 "Le Troiane", Euripide (415 a.C.)

 

 

 

[1] "Le Troiane", traduzione di Alessandro Grilli, regìa di Muriel Mayette-Holtz, progetto scenico di Stefano Boeri, costumi di Marcella Salvo, musiche di Cyril Giroux. Con Massimo Cimaglia, Francesca Ciocchetti, Maddalena Crippa, Elena Polic Greco, Clara Galante, Paolo Rossi, Marial Bajma Riva, Elena Arvigo, Riccardo Scalia, Graziano Piazza, Viola Graziosi, Fiammetta Poidomani, Doriana La Fauci.  

"Elena", traduzione di Walter Lapini, regìa e scene di Davide Livermore, costumi di Gianluca Falaschi, musiche di Andrea Chenna. Con Laura Marinoni, Viola Marietti, Sax Nicosia, Maria Grazia Solano, Maria Chiara Centorami, Simonetta Cartia, Giancarlo Judica Cordiglia, Linda Gennari, Federica Quartana.

‘Teatro Greco’ di Siracusa - Stagione teatrale 2019, a cura di www.indafondazione.org

 

Born in a USed frame[1].

Costantino Nivòla, fra Salvatore Fancello e Le Corbusier.

 

Nella foto, il dettaglio di un raffinato inserto ricamato a punto ‘chiacchierino’ su una tovaglia in bisso di lino, color verde acqua. “…La psicoanalisi è un camminare a quattro gambe – partnership, ossia senza confusione di soggetti né di gambe – che, se si conclude bene rimarrà come dotazione (‘dote’) anche per la vita successiva” Cit. da : “Un uomo che ha domani”, ‘Opera Omnia di Giacomo B. Contri’ 2015, Sezione ‘Saggi, testi pro-manuscripto’ pag. 12

 

 

 

 

Nato ad Orani, in provincia di Nuoro nel 1911, quinto di dieci fratelli e con il padre muratore, Costantino Nivola si fece presto notare per il suo spiccato talento nel disegno : pur lavorando come manovale col padre ed i fratelli, nel 1926 fu chiamato come apprendista dal pittore Mario Delitala a Sassari, dove poi ricevette incarichi anche da nuovi committenti e fino al 1931, anno in cui con una modesta borsa di studio del Consiglio dell’Economia Corporativa di Nuoro potè trasferirsi a Monza per frequentare l’Istituto Superiore per le Industrie Artistiche.

All’I.S.I.A. di Monza conobbe Salvatore Fancello e Giovanni Pintori, entrambi più giovani di lui e provenienti dalla Sardegna : con loro, nel 1934 organizzerà una mostra di pittura a Nuoro che tuttavia non venne accolta calorosamente. Nello stesso anno fu sospeso dall’Istituto per aver rifiutato di fare il saluto romano, evitando l’espulsione grazie a Gianni Ticca, generoso imprenditore sassarese che gli aveva commissionato le prime opere giovanili : tornato a frequentare l’I.S.I.A., incontrò la giovane Ruth Guggenheim, di origine ebrea, che frequentava lo stesso Istituto e che di lì a qualche anno sarebbe diventata sua moglie.

Nella compagnia di giovani sardi, a cui si unirono Ruth e Renata Guggenheim ed altri amici, Costantino emergeva per la sua intraprendenza e capacità comunicativa, coinvolgendo fra gli altri Salvatore Fancello[2], rimasto da poco orfano di padre e madre e visibilmente gravato di responsabilità, anche economica verso le sorelle e i fratelli rimasti a Dorgali : già talentuoso, minore di cinque anni rispetto a Nivola, all’I.S.I.A. Salvatore frequentava con passione il Corso per ceramisti : Costantino lo riteneva dotato di uno straordinario talento nella pittura, che negli anni successivi l’avrebbe fatto apprezzare come artista e non più come decoratore. Ultimo di dodici figli, Salvatore Fancello manifestò precoci doti nel disegno, tanto che gli insegnanti si adoperarono per fargli continuare gli studi anziché andare a lavorare com’era consuetudine nelle famiglie povere : “Si nota che l’alunno Fancello (…) ha spiccata tendenza per il disegno e le arti applicate, ed è meritevole di tutto l’aiuto…”[3] Potè così lavorare come apprendista con altri coetanei selezionati nel Laboratorio del ceramista Ciriaco Piras di cui restano alcune fotografie dell’epoca : il laboratorio era famoso in tutta la Sardegna perché esportava manufatti grazie a ordinativi continui, e da questa esperienza Salvatore Fancello trasse preziosi collegamenti che gli fruttarono, già nei primi anni a Monza, incarichi dedicati. Nasceva infatti intorno al 1934 il marchio “Creazione Fancello” con i ‘suoi’ oggetti decorati,  segnalati sulla rivista milanese “Domus” diretta dall’architetto e designer Giò Ponti : suo ammiratore e fedele sostenitore fu Giulio Carlo Argan, famoso docente e critico d’arte.

Per la realizzazione dei piatti e vasi commissionati, Salvatore mandava strette specifiche tecniche al laboratorio di Dorgali del cognato Simeone Lai : “Sulla faccia e sulle mani puoi lasciare il colore della terracotta che è bello. Stai attento coi colori e non fare delle cose caramellose. I colori devono essere puliti (poche mescolanze). Come vedi ti ho fatto degli schizzi, così mi sembra abbastanza per darti una idea del colore. In fondo tu che sei lì e vedi tutti i giorni i costumi, li sai più di me…”[4]

L’I.S.I.A. di Monza è una emanazione della ‘Società Umanitaria’ di Milano, celebre istituzione socialista per l’assistenza ai lavoratori, consorziata coi comuni di Monza e di Milano per la gestione di una scuola d’avanguardia nella formazione professionale dei futuri ‘maestri d’arte’ : negli anni ricchissimi a Monza, da giovane taciturno e solitario Salvatore Fancello diventò rapidamente un interlocutore attento e colto verso i suoi stessi insegnanti che apprezzavano ed incoraggiavano la sua arte ispirata all’onirico ed a una rivisitazione fantastica di personaggi ieratici, animali, piante, paesaggi fino alla sua soddisfacente partecipazione alla VI Triennale al Palazzo dell’Arte di Milano – dove dal 1936 si era trasferito insieme a Nivola e Pintori - con un’ampia parete graffita a soggetto ironicamente coloniale ed un mosaico di piastrelle litoceramiche firmato insieme a Costantino Nivola. Gli anni immediatamente successivi furono densi di riconoscimenti dalla critica e con prestigiose commissioni : lavorò a Padova, ad Albisola (SV), infine ricevette l’incarico per un pannello celebrativo, con una figura femminile bianca su un fondo in azzurro cupo di circa 12 metri quadrati dall’architetto Giuseppe Pagano – che, da antifascista morirà  nel Lager nazista di Mauthausen  sei anni più tardi - per la Sala mensa dell’Università “Luigi Bocconi” di Milano ed installato nel 1941 con finanziamento dell’artista stesso, che nel frattempo era stato richiamato alle armi nonostante in molti si adoperassero per evitargli il fronte albanese dove invece morirà nel marzo dello stesso anno.

Già nel 1938 Costantino aveva scelto con la moglie Ruth di trasferirsi negli Stati Uniti, dopo aver saputo che l’amico e pittore sardo Carmelo Floris era stato arrestato e che lo stesso Nivola era ricercato. Salvatore Fancello, che iniziava allora una corrispondenza con la sorella di Ruth, Renata, non rispose all’invito di raggiungere l’amico, né insistette per ottenere l’esonero dal servizio militare. Il suo regalo di matrimonio per Costantino resta quel lunghissimo (668 cm x 29,4) “Disegno ininterrotto” a china ed acquerellato, su carta telescrivente di cui Fancello era sempre fornito, un ‘continuum’ di giorni che preludono alle nozze in cui alla nostalgia per una infanzia troppo breve si collegano apprensioni e forse tacite raccomandazioni sulla eredità di una cultura, quella sarda, ormai così lontana : l’opera restò presso Giovanni Pintori che potè recapitarla agli sposi solo a guerra finita[5].

A Milano, collaborando nel 1937 all’allestimento del Padiglione Italiano all’Esposizione Internazionale di Parigi, Costantino aveva incontrato artisti spagnoli coi quali maturò sentimenti antifascisti e anche a Parigi, dove sostò brevemente con Ruth prima di proseguire per gli Stati Uniti, fornì contributi al giornale del movimento 'Giustizia e Libertà' : giunto a New York trovò incarico come ‘art director’ per la rivista 'Interiors', e potè conoscere architetti e specialisti anche europei del design come Gropius, Breuer, ma anche De Kooning, Léger, Pollock coi quali strinse rapporti di amicizia; aderì alla ‘Mazzini Society’, associazione antifascista frequentata anche da Franco Modigliani e Toscanini e conobbe il giovane architetto Peter Blake. Fra il 1944 ed il 1946 nacquero i figli Pietro e Claire, ed ebbe la sua prima esposizione al ‘MoMa’ di New York.

La frequentazione delle teorie junghiane[6], approdate con popolarità negli Stati Uniti non lo soddisfaceva, in special modo quell’ ‘inconscio collettivo’ che Jung aggancia ad archetipi immanenti, la ‘Grande Madre’, soprattutto.

Per Costantino, Ruth era la novità di una donna partner e non la ‘musa’ ispiratrice, minacciosa nella sua idealità che faceva parte di quegli archetipi che riuscivano a commuovere i modernisti[7].  E’ davvero incisivo il suo percorso individuale e artistico che lo porta a descrivere con distacco la donna-madre che nel 1958 raffigura riconoscibile, gravata e resistente sotto il peso di un massiccio vaso tradizionale (‘Tomba della madre’), per poi successivamente ed in più versioni sfumare nella pietra bianca da ‘civiltà cicladiche’ - per esempio : ‘Madre’ del 1981 - simile ad una nuvola-totem da cui fuoriesce una breve canna, addirittura rassomigliante al precedente ‘Idolo’ (1952) dove la pietra è svuotata al centro.

Nel 1946 incontrò Le Corbusier, con cui per quattro anni e generosamente  divise lo studio - come già era stato con Fancello e Pintori a Milano nello studio di Corso Garibaldi, questa volta però nonostante le intemperanze caratteriali del geniale architetto : ma è grazie alla frequentazione di Le Corbusier che Nivola passò decisamente alla scultura ed all’ ‘arte informale’ che privilegiava la materia ed il modo speciale di trattarla. Nivola iniziò con quella sua tecnica speciale che chiamerà ‘sand casting’, inventata giocando coi figli sulla spiaggia di Springs, a East Hampton e realizzando un primo pannello in gesso per lo showroom Olivetti di New York che gli tributò successo internazionale. E intanto fu nominato direttore del Design Workshop all’Università di Harvard.

E’ presso la famiglia del giovane amico che l’architetto nomade di fama mondiale spesso, e con gradimento, si fermava ospite : lo vediamo nelle foto dell’epoca, incredibilmente e forse per la prima volta nella sua vita pacificato. L’aspra frustrazione di Le Corbusier nel suo secondo soggiorno a New York del 1946, niente affatto gratificato, nonostante le sue validissime referenze, durante quella partecipazione al team internazionale di architetti cui era stato commissionata la progettazione dell’edificio per le Nazioni Unite, lo portò a dedicarsi al disegno che considerava suo vero talento orientativo, ed alla pittura a cui si affacciava dopo aver incontrato il lavoro e l’apprezzamento da un già famoso Picasso[8].

Descritto da chi lo osservava nelle lunghe sessioni di lavoro presso il Quartier generale della Commissione a New York, come un viaggiatore solitario e taciturno, in altre fotografie meno ufficiali di quegli anni restano le sue costruzioni sulla spiaggia insieme a Costantino ed ai bambini, oppure i pic-nic sull’erba nel giardino di casa Nivola con Ruth e la piccola Claire in braccio.

Le lunghissime conversazioni fra Costantino e Le Corbusier, uomini così diversi ma entrambi intelligenti precursori diventò un  apprendimento reciproco che tracciò nella vita di ognuno dei due, profondi e proficui nuovi orientamenti : per l’architetto era impossibile sviluppare idee senza avere una audience, ma le domande e le osservazioni di Nivola furono incisive e durature per la sua stessa arte. Negli anni fra il 1946 ed il 1953 della loro amicizia e compagnia, ‘Le Corbu’ – come amava soprannominarsi - pubblicò l’articolo “L’espace indicible” ed il volume “Poème de l’angle droit”[9] in cui affermava il primato del disegno e della pittura rispetto all’architettura in una continuità ideale che fu il vero ‘leit motiv’ del suo lavoro.

Per Nivola, le pitture murali nella sua casa di Long Island (‘Long Island mural’, 1950) furono un riferimento artistico indispensabile ed un segno certo d’amicizia da parte del più anziano architetto : perché finalmente ‘era’ la pittura che poteva distruggere ‘il muro’ di una parete, creando quello spazio ‘ineffabile’ o ‘indicibile’ del reale che doveva orientare la vita.

Per Le Corbusier fu un vero ‘inizio’, nonostante la sua età avanzata : per la prima volta il suo lavoro si fa qui discorsivo, sottovoce, convincente anziché urlante, maestoso, generalizzato come nei primi frenetici, esplosivivi decenni della sua attività : ed è di questi anni (1950-1955) il progetto per la deliziosa Notre-Dame du Haut a Ronchamp, meta di pellegrinaggi religiosi nella campagna francese.

Ed ancor più spicca il graziosissimo “Le Cabanon” (1950 – 1952), a Roquebrune-Cap Martin, definito da Le Corbusier “il mio castello di tre metri per quattro…”, incastonato nella Cote d’Azur disseminata di ville altezzose : è di soltanto quindici anni prima la maestosa “Le Corbusier-Gallis”, villa progettata per sé e per l’adorata Yvonne che tuttavia non vi si trovava a proprio agio, nella quale le famose finestre ‘a nastro’ e le ‘porte basculanti’ della innovativa ‘machine à habiter’ tentano di dissolvere una ruvida distanza fra uomo e Natura.

Per Costantino Nivola, la lezione appresa da Le Corbusier che tentava ancora, pur se con stanca caparbietà, di aggrapparsi ad un ‘continuum’ de-imputativo del ‘reale’ sulla realtà, lo portò a declinare la novità della sua arte laddove essa veniva apprezzata : così nel  1957 eseguiva la prestigiosa decorazione per il Mutual Hartford Insurance Company di Hartford, Connecticut; nel 1965 realizzava a Nuoro la sistemazione della piazza dedicata al poeta Sebastiano Satta; nel 1967 realizzava sculture per la Public School 320 di Brooklyn, per la White Plains Plaza, per il Children’s Psychiatric Hospital nel Bronx a New York e per numerose altre città americane; nel 1978 cominciava l’insegnamento all’Università di Berkeley in California, dove tenne anche una personale.

La parabola della sua vita può essere considerato un Caso di competenza nella cura del proprio pensiero, dove il giudizio individuale di ‘danno cessante’ inaugura la caduta della propria dis-economia psicopatologica[10] che allontana narcisismo e melanconia : ma individuare il proprio partner di beneficio, lasciando cadere l’Ideale resta un traguardo raro e soltanto umano, cioè logico ed economico insieme.

 

                                                           Marina Bilotta Membretti, Lunedì dell’Angelo 13 aprile 2020.

P.S. Si ringraziano, per i materiali offerti : la ‘Fondazione Nivola’ istituita ad Orani nel 1990 per iniziativa congiunta della Regione Sardegna, del Comune di Orani e della famiglia dell’artista con lo scopo di promuovere la conoscenza delle opere di Costantino Nivola e di altre opere contemporanee/ www.museonivola.it e la Biblioteca Comunale di Biassono (MB).

 

 

 

[1] “Born In The USA” (1984), è un brano rock del cantautore statunitense Bruce Springsteen.

[2] “Alla periferia del Paradiso. Il ‘Disegno ininterrotto’ da Salvatore Fancello a Costantino Nivola”, di Roberto Cassanelli – Jaca Book Wide 2003. Ringrazio la Biblioteca comunale di Biassono (MB) per la disponibilità di questo prezioso volume.

[3] Cit. da : “Fancello 1942”, di M. Labò: si tratta del certificato della Scuola di Avviamento professionale di Dorgali.

[4] Cit.: “Alla periferia del Paradiso. Il ‘Disegno ininterrotto’ da Salvatore Fancello a Costantino Nivola”, di Roberto Cassanelli – Jaca Book Wide 2003/ Lettera al cognato Simeone Lai, 1935.

[5] Nel 1988, alla morte di Costantino, Ruth Nivola regalò ‘Disegno ininterrotto’ al Comune di Dorgali , dove ora si può ammirare nella ‘Civica Sala Fancello’.

[6] Carl Gusta Jung si allontanò dal lavoro di Sigmund Freud, dopo il viaggio del 1909 negli Stati Uniti compiuto con Freud stesso ed i Colleghi psicoanalisti Abraham Brill, Ernest Jones, Sàndor Ferenczi su invito della ‘Clark University’ per un ciclo di conferenze.

[7] Non facile da definire, il ‘Modernismo’ emerse, come corrente e movimento culturale, tra la fine del XIX e l’inizio del XX secolo, col processo di urbanizzazione che rendeva obsoleti molti canoni della società borghese di inizio XIX secolo : si proponeva anche come rivoluzionario verso il primo capitalismo ed, in un certo senso, semplificatore delle sue istanze. Dovette confrontarsi con le devastazioni delle due Guerre mondiali.

[8] Pablo Picasso visitò nel 1949 a Marsiglia la ‘Unitè d’Habitation’, edilizia popolare progettata da Le Corbusier con le caratteristiche di quel Modernismo in architettura a cui diede il nome di ‘machine à habiter’.

[9] “L’espace indicible”, 1946 in “L’architecture d’aujourd’hui”, numero speciale Novembre – Dicembre, cit. in ”Le Corbusier. Lessons in Modernism”, Catalogo della Mostra svoltasi ad Orani (NU) Dic 2018 – Mar 2019 e curata da Giuliana Altea, Antonella Camarda, Richard Ingersoll, Marida Talamona. 

[10] In “Un uomo che ha domani”, ‘Opera Omnia di Giacomo B.Contri’ 2015 – Sezione ‘Saggi, testi pro-manuscripto’   l’autore e psicoanalista Giacomo B. Contri riprende le figure della diseconomia psicopatologica, ‘danno emergente’ e ‘lucro cessante’ a cui aggiunge una terza figura, ‘lucro non emergente’ (pag.19)

 

Un mondo migliore.

“Qual è la strada giusta per approdare ad un mondo migliore ?”[1]

 

 

Ho potuto ascoltare Uwe Timm[2] che non conoscevo, durante la sua presentazione al ‘Book Pride 2019’ lo scorso 16 marzo, a Milano : la sua capacità di arrivare all’individuo, in una sala affollatissima e senza conoscere una sola parola di italiano mi è sembrata notevole.

Niente di scontato nelle sue risposte agli interlocutori – soprattutto giovani, ed estimatori chiaramente sinceri del suo lavoro – né alcun cenno di stanchezza che pure poteva sembrare ragionevole in quell’afoso pomeriggio di sabato.

C’è stato un inizio, ha spiegato Uwe Timm che della Guerra ricorda poco direttamente, essendo nato nel 1940 : ma attraverso il suocero, che ha iniziato come socialista per poi diventare scienziato esperto di eugenetica ed eutanasia, Uwe Timm ha cominciato a chiedersi cosa succede nella mente di un uomo che inizia con ideali di solidarietà fraterna per poi volgersi a collaborare per una società che non esiste, con uomini e donne da selezionare secondo criteri codificati, impegnandosi a combattere fino alla eliminazione fisica di chiunque non corrisponda alla codifica stabilita…

Lui ha cominciato ad aver voglia di indagare come abbia potuto succedere in quegli anni terribili che così in tanti siano andati dietro alla musica e solo pochissimi si siano opposti.

Nel 1945, ha ricordato lucidamente lo scrittore tedesco che all’epoca aveva pochi anni, in Germania c’era stato un moto di disgusto verso tutto quello che era successo appena prima, venivano proiettati film sui campi di concentramento : moltissimi e dovunque, commentavano che non avrebbero mai immaginato niente di simile, quando i vicini di casa ebrei venivano portati via.

E dopo quell’iniziale moto di disgusto c’era stata la ricostruzione, qualcosa di catartico che insieme alle macerie si portava via la memoria scomoda.

E dopo la ricostruzione, alacre vigorosa c’era stata la cancellazione di tutto quello che era avvenuto nella guerra : dalla ‘imputabilità’ alla ‘elusione’ lo scivolamento è facile, si chiama ‘perversione’.

Di quei mesi frenetici che seguirono l’occupazione della Germania da parte degli Stati Uniti, Uwe Timm ricorda con la memoria netta di un bambino di cinque anni, che improvvisamente vi fu un brusco cambiamento, i soldati americani avevano persino un odore diverso dai soldati tedeschi e per strada, nei negozi, negli uffici tutti, tutti dicevano di aver dovuto subìre il nazismo, di esser stati costretti ad obbedire ‘contro’ la propria volontà. Nessuno ammetteva anche solo di aver collaborato per ottenere ‘qualcosina’, più o meno consistente, che integrasse i magri bilanci di allora.

Ancora oggi, segnala un lucido pacato Uwe Timm, elegante plurisettantenne dalla raffinata pronuncia alemanna, c’è un vittimismo generalizzato in Germania che fa pensare : ma allora nessuno è stato mai nazista ?

E’ interessante che il titolo originale del romanzo, sorto da una intuizione auto-biografica di Timm, fosse “Ikarien”, ‘Icariani’ cioè discepoli di ‘Icaria’, la teoria comunitaria utopica del fondatore francese Etienne Cabet da cui provengono i due protagonisti del romanzo, Wagner e Ploetz  : ed ‘Icaria’ era anche la ‘comune’ stessa, la comunità poi costituitasi nello Iowa (U.S.A.) con alterne vicissitudini. La traduzione scelta con accortezza da Matteo Galli per l’edizione italiana di ‘Sellerio’ è adeguatissima : “Un mondo migliore” e riporta al duplice ed opposto significato di ‘utopia’ astratta ed odiante, e di ‘speranza’ costruttiva e pacifica.

Il lemma ‘imputabilità’ infatti raccoglie amici, o nemici : nessuna neutralità.

 

                                                           Marina Bilotta Membretti, Cernusco sul Naviglio 30 agosto 2019

 

[1] ”Un mondo migliore”, Uwe Timm – 2019 ‘Sellerio editore’ Palermo, p.225

[2] Uwe Timm è nato ad Amburgo nel 1940 : come scrittore ha già ricevuto numerosi premi e riconoscimenti quali, recentemente il ‘premio Napoli’ ed il ‘premio Mondello’; è anche autore racconti brevi e di libri per bambini e collabora a trasmissioni radiofoniche.

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