Conversazione con… Nevia Gregorovich.
Il Rinascimento ed un insolito Leonardo Da Vinci.
Qualche mese fa Nevia Gregorovich ha presentato a Milano, su invito della ‘Società delle Belle Arti ed Esposizione Permanente’ di Via Turati una lezione sulla danza nelle corti rinascimentali, passione a cui neppure la severità di Leonardo Da Vinci (1452 – 1519) - di cui Milano celebra quest’anno il 500° dalla morte - riusciva a sottrarsi.
Nata in Istria, a Parenzo dove aveva trascorso l’infanzia, nel 1956 Nevia Gregorovich si trasferì coi genitori a Milano, dopo aver atteso otto anni e finalmente ri-ottenuto la cittadinanza italiana : potè così proseguire gli studi scolastici insieme allo studio del pianoforte, fino a laurearsi al Conservatorio ”Giuseppe Verdi” e successivamente a perfezionarsi, specializzandosi anche in ‘danze rinascimentali’. Ha poi insegnato Storia della musica alle scuole superiori e svolto attività concertistica in duo pianistico, sia in Italia che all’estero, scegliendo infine però la pittura come arte a lei più congeniale per esprimersi. Ha due figli e due nipotine : si racconta qui in prima persona.
Nel Rinascimento si chiedeva agli artisti di ritrovare ‘le regole’, della costruzione e della composizione e tale era il compito anche per il musicista : attraverso le nuove teorie sull’armonia si scopriva la tridimensionalità, e la musica diventa anche strumentale.
“Leonardo aveva trent’anni quando fu mandato da Lorenzo il Magnifico presso il Duca Ludovico Sforza a Milano : e gli portò in dono una LIRA poiché “…unico era in suonare tale strumento” (scriveva il Migliorotti[1]). Sappiamo dal Vasari[2] che era un bravo musicista e che aveva costruito questa lira in argento a forma di una testa di cavallo da lui ideata “acciò che l’armonia fosse con maggior tuba e più sonora voce”. Quindi si occupava anche di acustica nella ricerca della amplificazione del suono. A Milano partecipava con quello strumento anche a gare indette a corte tra musici esperti e li superava tutti. Era scenografo nelle rappresentazioni teatrali. Costruiva macchine semoventi, ed anche una specie di ‘faro’ da palcoscenico progenitore di quello che conosciamo oggi come ‘occhio di bue’, per illuminare i personaggi in scena[3].”
Le feste del Rinascimento, pittura e musica … Perché erano così importanti?
“Perché dovevano esprimere la magnificenza di quel momento che venne definito dal Vasari come una ‘rinascita’ con un epicentro ben preciso, la penisola italiana. La quale non aveva grandi sovrani, ma una classe dirigente ricca, colta, raffinata e ambiziosa che si batteva con le armi della bellezza e dell’innovazione e pure con quelle vere per la conquista dei territori : ma quando si riposava o quando andava a nozze e per festeggiare una vittoria, amava svagarsi e divertirsi. In tutte le corti d’Italia i signori organizzavano feste straordinarie dove nei loro palazzi abbelliti da capolavori scultorei e pittorici gli invitati da tutta Europa si destreggiavano in tornei e in danze, in spettacoli teatrali e musicali, riuniti in convivio. Nascono i primi trattati di danza con Domenico da Piacenza[4] e Guglielmo Ebreo, perché le danze di palazzo devono essere diverse da quelle del popolo. Interpretando quelle prime coreografie i passi richiedevano movimenti ora lenti, ora strisciati e saltellati morbidi. Un buon cavaliere a palazzo doveva conoscere il galateo[5], essere perfetto nelle movenze e saper andare a tempo per corteggiare la sua dama con stile ed eleganza.”
Il lavoro delle mani in musica ed in pittura…
“Come pianista è il mezzo che mi permette di dominare lo strumento in tutti i sensi: le dita agganciano in azioni prensili i tasti bianchi e neri con pressione dominata per sprofondare mentalmente in cordiera, tanto che le vibrazioni arrivano al cuore e portano spesso alla commozione. In pittura invece il tocco della mano con il pennello che si stende ora in sottili tratti, ora in ampie stesure è quasi un desiderio di liberazione e di felicità nell’uso del colore, da poter distribuire… ’a piene mani’.”
Pittura e musica: la prima non si può ritoccare, la seconda richiede continua interpretazione. Qual è stata la sua esperienza col pubblico ?
“La pittura è un’arte statica e quando l’autore decide che il suo disegno, su qualsiasi supporto, sia concluso, non lo tocca più. Il suo quadro non cambierà mai in avvenire. La musica invece è un’arte dinamica e ha bisogno di un esecutore per interpretarla e farla arrivare al fruitore. Ma l’opera d’arte rimane la partitura scritta. Mi pare chiara la differenza. Per un concertista l’interpretazione è spesso legata a canoni fissi di esecuzione e a virtuosismi funambolici che ti costringono a ripetizioni estenuanti per mantenere le dita in agilità e in memoria. La pittura invece è il mio luogo d’anima – “to hear with eyes” - come mi ha descritto Flaminio Gualdoni[6] : e mi piace il confronto diretto con gli altri per mettermi in gioco creativo continuo per trasmettere e carpire emozioni.”
Nevia, Lei ha sperimentato anche l’arte dell’incisione?
“Ho frequentato la scuola di incisione con il maestro Gigi Pedroli in Alzaia Naviglio Grande a Milano dove, tra lastre, bulini, tarlantane, acidi, colori, polveri, morsure e fuochi, appoggi il lavoro sul torchio con la carta umida sotto, poi lo copri con un panno e… via! Con ritmo lento e costante giri la ruota… Ecco, il momento tanto atteso ha dell’indefinibile : il cuore accentua i battiti, l’ansia ti stringe la gola e con timore sollevi piano piano il panno, con pollice e indice della mano… Il miracolo è compiuto. Che ti piaccia o no.”
Nel 1956 Nevia, Lei ri-ottenne di mantenere, secondo quanto era stato chiesto dai suoi genitori ancora nel 1948, la cittadinanza italiana pur abitando in Istria, che ormai era passata alla Jugoslavia di Tito[7] : da Trieste la vostra famiglia fu quindi smistata verso Milano. Come ricorda quel trasferimento?
“Come un’esperienza surreale, quasi completamente da me rimossa. Concretamente fu il passaggio dalle stalle di una reggia (il C.R.P. – Centro Raccolta Profughi) della Villa Reale di Monza alle stelle di una casa nuova a Milano, finalmente dopo quattro anni, per riprendere una vita ‘normale’, intensa e ricca di affetti. Amo la mia Milano, città di cui mi sento figlia adottiva, dove ho trovato le mie ragioni di vita.”
Nevia, Lei ha definito la storia della Repubblica di Venezia, una storia di ricchezza…
“Oggi si studia poco dei fasti della civiltà della Repubblica di Venezia. Per mille anni Venezia ha mantenuto la sua Costituzione davvero molto originale e straordinaria, e senza rivoluzioni tanto che si mantenne come Stato solido e forte e come una grande potenza mondiale, attiva nei commerci internazionali, nelle arti, nella moda, nella cultura, nei mestieri.
Per Venezia la cosa più bestiale e sensazionale, che avvenne dopo il trattato di Campoformio[8] per ‘merito’ di Napoleone, fu che passò alla storia come se non fosse mai esistita, assieme alla mia Istria. Per effetto della imbecillità umana quando si producono dimenticanze, avviene qualcosa ad effetto contrario, la negazione cioè. Potenza di Napoleone e dei Francesi ?
Ma per l’Istria, la mia terra, il destino è stato peggiore : a causa delle politiche nazionaliste e dell’esodo dei 350.000 italiani alla fine della II° Guerra mondiale, l’Istria si è vista rubare la sua cultura bimillenaria facendola passare per ciò che non è mai stata… Ah!”
A cura di Marina Bilotta Membretti, Cernusco sul Naviglio 16 dicembre 2019
[1] Atalante Migliorotti (1466 – 1532 ca) fu musicista e liutaio, allievo ed assistente di Leonardo Da Vinci (1452 – 1519) : nel 1493 Isabella d'Este gli ordinò una chitarra e nel 1505 scrisse in un messaggio al marchese di Mantova che aveva costruito una lira a dodici corde.
[2] Giorgio Vasari (1511 - 1574) a proposito di Leonardo Da Vinci (1452 - 1519) scrive : “…Dette alquanto d’opera alla musica, ma tosto si risolvè a imparare a sonare la lira, come quello che da la natura aveva spirito elevatissimo e pieno di leggiadria; onde sopra quella cantò divinamente all’improvviso” (Da: ‘Le vite de’ più eccellenti pittori, architetti, et scultori italiani, da Cimabue insino a’ tempi nostri. Nell’edizione per i tipi di Lorenzo Torrentino. Firenze 1550’ – Ed. Einaudi 1986, ‘I Millenni’).
[3] La ‘Festa del Paradiso’, che si svolse a Milano nel 1489 al Castello di Porta Gioia fu orchestrata da Leonardo Da Vinci, al quale Ludovico Sforza detto il Moro chiedeva spesso di intervenire in occasione di feste ed eventi, per produrre non solo effetti e marchingegni che sorprendessero gli invitati e la corte tutta, ma anche musica originale per l’occasione.
[4] Domenico da Piacenza (1390 – 1470 ca) fu maestro di ‘buone maniere’ ed esperto danzatore alla corte della famiglia d'Este a Ferrara. Viene spesso citato dall’allievo Guglielmo Ebreo col quale danzò a Milano nel 1455 in occasione del fidanzamento di Ippolita, secondogenita di Francesco I Sforza e Bianca Maria Visconti, con Alfonso duca di Calabria figlio di Ferdinando d'Aragona. Viene ricordato per aver fatto accettare nelle corti la danza come arte liberale con pari dignità rispetto alla musica ed alla pittura, legittimando quindi anche la professione del ballerino : fu infatti nominato cavaliere, una delle più alte cariche a cui potesse ambire un uomo che non fosse nobile di nascita. Produsse il trattato ‘De arte saltandi et choreas ducendi/De la arte di ballare et danzare’.
[5] ‘Galateo overo de’ costumi’, di monsignor Giovanni Della Casa, pubblicato postumo nel 1558 è il primo testo completo e deriva il nome dal vescovo Galeazzo Florimonte che ne suggerì la stesura : riguarda quell’insieme di norme di comportamento codificate socialmente, identificative di un gruppo o di una categoria sociale in una determinata epoca.
[6] Flaminio Gualdoni, nato a Cuggiono nel 1954 è docente all’Accademia di Brera, scrittore, storico e critico d'arte.
[7] Josip Broz Tito (1892-1980), originario della Croazia condusse nella II°Guerra mondiale una guerra partigiana contro l’occupazione tedesca, in accordo con gli Alleati che lo sostenevano : a guerra finita, divenne dittatore della Jugoslavia – e tale rimase fino alla sua morte - secondo un regime comunista ‘non allineato’ con repressione delle minoranze e che lo portò ad uscire dal ‘Patto di Varsavia’ con l’U.R.S.S.
[8] Il Trattato di Campoformio fu firmato il 17 ottobre 1797 da Napoleone Bonaparte, già comandante in capo dell'Armata d'Italia e dal conte Josef von Cobenzl, rappresentante dell'Austria : una conseguenza di questo trattato fu la fine della Repubblica di Venezia che veniva ceduta, insieme all'Istria e alla Dalmazia, all'Austria che, in cambio, riconosceva la Repubblica cisalpina.