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Tutta colpa del… Freud!

Illustrazione originale di Jacopo Ricci (1).

 



Il buon risultato di un lavoro analitico è ancora per alcuni un Muro invalicabile e la via prediletta è ancora quello ‘scartare’ di evangelica (2)  memoria : Freud lo chiamò rimozione.


Che sia a causa di un virus ?

 

Marina Bilotta Membretti, Cernusco sul Naviglio 21 settembre 2020

 

 

 

(1) Illustratore indipendente di Valenza, Jacopo Ricci è nato a Milano negli incredibili anni ‘80 (1988 per la precisione). Disegna da sempre ma si innamora perdutamente di matite e pennelli solo dopo aver finito le scuole superiori. Collabora con riviste online e realizza i più svariati lavori su commissione. Nel 2018 illustra ‘Dottor Tremarella’  (libro autoprodotto) e ‘Guarda Oltre’ (sempre autoprodotto). Nel 2019 si avvicina alla serigrafia che gli permette di realizzare i lavori autonomamente, dall’idea fino alla stampa. 


(2) Mc 12, 1-12 Vangelo secondo Marco.


Il primo appuntamento : Virginia Woolf e Sigmund Freud[1].

Virginia Woolf ricevuta nel 1939 da Freud che da pochi mesi si era trasferito a Londra con la famiglia, anche a causa della minaccia nazista.

Illustrazione  originale di Stefano Frassetto[2] 

 

 

“…Ripetutamente invitato da Virginia e da Leonard Woolf, Sigmund finalmente acconsentì… Vi fu un unico incontro… si sarebbe svolto nella residenza-studio di Freud a Londra, Maresfield Gardens n°20 ed ebbe luogo il 28 gennaio 1939. Virginia, incontrando Freud lo giudicò subito non del tutto compiaciuto come lei invece si sarebbe aspettata, ma sappiamo che Sigmund era molto sofferente a quel tempo.

Con i suoi modi signorili, sebbene affaticato dalla malattia che lo piegava, Sigmund si inchinò a Virginia, presente il marito Leonard, e le porse un narciso che lei accettò a quanto sembra con aria interrogativa ma mostrando di apprezzare, attribuendo forse la scelta del fiore alla fama di stravaganza del personaggio. Ma per Freud, che non faceva mai nulla a caso, l’offerta del narciso era il risultato della sua diagnosi di psicoanalista verso la donna che rifiutava di nutrirsi di lui.

Virginia avviò il dialogo avendo in mente il famoso carteggio di Freud con Einstein, ‘Perché la guerra ?’, rimasto in sospeso. Chiese a Sigmund : ‘Ci siamo spesso sentiti colpevoli… Se avessimo perso la guerra, forse Hitler non ci sarebbe stato…’

Sigmund le rispose, a sorpresa : ‘Oh, sarebbe stato infinitamente peggio invece, se voi non aveste vinto la guerra…’

Virginia che lo aveva accolto con ritrosia, alzò improvvisamente il volto prestandogli attenzione. Racconterà poi di esser rimasta molto colpita da questo incontro, dopo il quale avrebbe per la prima volta iniziato a leggere le opere di Freud…”[3]

 

                                                 Marina Bilotta Membretti, Cernusco sul Naviglio 25 maggio 2020

 

 

 

[1] Nel 2006, in occasione dell’annuale ‘Charleston Festival’ – evento avviato nel 1916 a Londra nell’ambito del ‘Bloomsbury group’ fondato da Virginia Woolf - la giornalista Julia Briggs, biografa di Virginia Woolf, riportò la conversazione avuta con la nipote di Virginia Woolf, Virginia Nicholson a proposito dell’inedito incontro e del dialogo svoltosi al 20 di Maresfield Gardens fra Sigmund Freud e Virginia Woolf, il 28 gennaio 1939. Proprio negli anni del nazismo infatti, Virginia Woolf aveva insistito presso il marito Leonard per far tradurre e pubblicare da ‘Hogarth Press’, la casa editrice inglese di loro proprietà ‘L’interpretazione dei sogni’ e ‘Psicopatologia della vita quotidiana’, opere di Freud fino ad allora sconosciute fuori dall’Austria : nonostante questo, Virginia Woolf continuò a non leggere Freud, limitandosi a qualche assaggio.   

[2] Stefano Frassetto è nato a Torino nel 1968. Dopo la laurea in Architettura al Politecnico di Torino, ha iniziato come vignettista e disegnatore per alcuni giornali locali. A metà anni novanta ha cominciato a pubblicare anche in Francia, prima col mensile ‘Le Réverbère’ e in seguito col quotidiano ‘Libération’ : passato a sviluppare l’attività di fumettista col personaggio di Ippo per ‘Il Giornalino’ e poi la striscia ‘35MQ’ per il quotidiano svizzero ‘20 Minuti’, con l’anno 2000 fa il suo esordio su ‘La Stampa’ come ritrattista per le pagine culturali e per l’inserto ‘Tuttolibri’, poi per il settimanale culturale ‘Origami’. Oggi è anche ritrattista e illustratore presso il quotidiano svizzero ‘Le Temps’.

[3] “Ereditare da un bambino. Perché no ?”, Marina Bilotta Membretti 2014 Gruppo Editoriale ‘L’Espresso’ Isbn 978-88-91081-63-6, pag.19

 

 

 

Je vous pedagogize.

“ …capacità di porre norme, ossia di statuire rapporti sanzionati secondo merito. E’ la capacità insita in una prima cittadinanza, i cui rapporti non attendono tutela dalle norme della seconda cittadinanza, comunemente nota come ‘diritto statuale’…”[1]

 

Illustrazione di Jacopo Ricci (3)/ Ref.: 0_5458846_125008.jpg

 

 

 

“ …Con la nascita (tempo zero), un bambino viene in contatto con l’altro, esterno al proprio corpo-pensiero e ne sanziona immediatamente l’offerta in termini di piacere / dispiacere, il dis-piacere essendo direttamente riferito ad un non-benessere : il pianto sanziona il dispiacere / in-soddisfazione, il sonno sanziona il piacere / soddisfazione.

Successivamente (tempo uno) arriva a distinguere l’ec-citamento che arriva a soddisfazione da quello che non arriva a soddisfazione : da solo non può soddisfare la fame, modificare la luce od il rumore esterno. Anche alcuni dis-metabolismi organici con sofferenza, il diabete, l’epilessia benigna per esempio, non sono ancora diagnosticabili.

E’ in un tempo-due che l’altro-partner, o più altri possono essere individuati come presenza fisica favorevole, perché consentono il soddisfacimento di un desiderio / ec-citamento altrimenti non possibile. Ammettere l’altro-partner nel proprio (principio di) piacere – è il coniugio – elaborandolo in ‘soddisfazione’, è un traguardo unico e senza ritorno.

Tutte le successive esperienze di piacere / dispiacere saranno giudicate rispetto alla novità / supplemento della soddisfazione. La sedazione stessa avrà d’ora in poi una funzione surrogatoria e consolante, quindi insoddisfacente.

Il bambino allora individuerà il proprio ben-essere nella presenza fisica dell’altro, o altri-partners predisponendo il proprio corpo-pensiero (lavoro-uno : offrire il proprio corpo-pensiero a ricevere soddisfazione è ‘investire all’esterno’ / lavoro) a ricevere soddisfazione. E’ già lavoro, in quanto elaborazione individuale di un inconscio-che-non-può-attendere. Ed è un investimento, orientato cioè economicamente.

In un tempo-tre, il bambino arriva ad elaborare un per-fezionamento (lavoro-due) della propria domanda specifica all’altro-partner.

E’ nella conferma di questa concludente soddisfazione, in cui il bambino ha chiamato / favorito / propiziato l’altro-partner ad offrire per il conseguimento della propria meta che egli può sperimentare ‘io’, individuato in quanto potente verso l’Altro.

L’apprendimento della parola accelera l’elaborazione dell’appuntamento con l’Altro, solo se può essere collegato ad un ulteriore (sur)plus della soddisfazione.

I dati su questi quattro tempi dell’inizio sono indispensabili per la cura di una psicopatologia…”[2]

                                     

                                                           Marina Bilotta Membretti, Cernusco sul Naviglio 22 aprile 2020

 

 

[1] “Il pensiero di natura”, Giacomo B. Contri SIC Edizioni 1998, p.26

[2] “Ereditare da un bambino. Perché no ?”, Marina Bilotta Membretti 2014 ISBN 978-88-91081-63-6 Gruppo Editoriale L’Espresso SpA, ‘Un inizio in quattro tempi?’ p.28

(3) Illustratore indipendente di Valenza (AL), Jacopo Ricci è nato a Milano negli anni ‘80 (1988 per la precisione). Disegna da sempre ma si dedica definitivamente a matite e pennelli solo dopo aver finito le scuole superiori. Collabora con riviste online e realizza lavori su commissione. Nel 2018 illustra ‘Dottor Tremarella’  (libro autoprodotto) e ‘Guarda Oltre’ (sempre autoprodotto). Nel 2019 si avvicina alla serigrafia. 

La tortellinatrice(1).

Ovvero l'Inferno di Belzebù (2) di mistici ed indifferenti.

L’affresco di Belzebù nella Cappella Bolognini.

 

 

 

“…Nel caso in cui la cappella sita nella chiesa di San Petronio, della quale lo stesso testatore è patrono, al momento della sua morte, non fosse terminata di fabbricare e dipinta, dovesse essere completata dagli esecutori testamentari nei modi seguenti :

 

facendo costruire una porta con due battenti chiusi per metà e aperti nell’altra metà, a mo‘ di grata con chiodi di rame dorato e, sotto, con tondi contenenti varie figure così come si vede nella porta di Santa Maria di Porta Ravegnana.

 

La cappella dovrà poi essere dipinta da un buon pittore in questo modo : il soffitto dovrà essere azzurro, di buon colore dal prezzo di due ducati per libbra, con stelle dorate così come si vede nella cappella sita nella chiesa del Signore di Sabina,

 

e nella parete laterale della stessa cappella verso la piazza del Comune di Bologna, fino a metà della stessa parete, dovrà essere dipinta la gloria della vita eterna

 

e dalla metà della stessa parete dovranno essere dipinte le pene dell’inferno, orribili quanto più è possibile,

 

e nell’altra parete della cappella dovranno essere dipinte le storie dei tre Magi che occupino l’intera parete…“[3]  

 

Il 10 febbraio 1408, a lavori quasi ultimati Bartolomeo Bolognini dettava così al notaio Lodovico Codagnelli le sue volontà testamentarie : discendente da una famiglia di setaioli di Lucca che si era trasferita a Bologna a metà del XIII secolo attratta dalle facilitazioni tributarie che in quella città si offrivano ai filatori di seta e facendo così la propria fortuna economica, nel 1404 aveva acquistato il giuspatronato sulla quarta ed ultima cappella di San Petronio dal Comune di Bologna che aveva edificato la basilica. 

Bartolomeo Bolognini non era allora in punto di morte, chè anzi gli anni a venire gli avrebbero riservato ancora soddisfazioni e, nonostante non si fosse mai impegnato in politica in quegli anni peraltro assai instabili e non solo a Bologna, la sua elegante casa cittadina posta vicino ai due filatoi a cui era concesso attingere la forza idraulica per i due mulini dal canale Savena, accoglieva ospiti illustri sia della città che degli antipapi.

La Chiesa stava attraversando infatti, dalla morte di papa Gregorio XI nel 1378 e la successiva elezione di papa Urbano VI una delle crisi più gravi della sua storia che culminò con la elezione degli antipapi ad Avignone da parte di cardinali dissenzienti che non riconoscevano il pontefice legittimo di Roma, sebbene operassero parallelamente come se Avignone avesse una sua qualche  legittimità : a ciò si aggiunse che nel 1409 il card. Cossa arrivò a radunare a Pisa un Concilio che portò alla elezione di un terzo papa, anch’esso non legittimato, col nome di Alessandro V che nel gennaio 1410 fece il suo ingresso a Bologna, passata per l’occasione a terza sede pontificia. 

Quale patrono di una delle cappelle della Basilica, Bartolomeo Bolognini s’investe quindi di una funzione solenne : ed incuriosisce quel sottolineare nelle sue volontà che : “…dovranno essere dipinte le pene dell’inferno, orribili quanto più è possibile…“ 

In effetti, per la società medioevale non esisteva la possibilità del Purgatorio. 

Al centro della scena, molto ben visibile allo spettatore ecco Belzebù, funzionario meticoloso ma incapace di generare figli, perchè non ha sesso : è al servizio di un Ente reale, e passato è il tempo della vita sulla terra in cui i peccatori potevano ravvedersi, giudicando il male fatto. 

‘Pensare‘, facoltà di sintesi specifica dell’umano qui non è più possibile, è il regno della in-differenza : e della non-differenza, anche fra i sessi. 

Sono i ‘traditori‘ – Giuda e Bruto - ad essere i più crudelmente puniti, nella loro in-differenza al beneficio ricevuto ed al benefattore : sono condannati a ‘non‘ essere riconosciuti, ingoiati all’ingresso e rigettati all‘uscita, nell‘automatismo in-differente e in-finito della macchina-Belzebù – macina, mulino o tortellinatrice – che non riconosce ‘oggetto‘ da ‘vivente‘, e guai a finire in quegli ingranaggi da tortura. 

Adulatori, golosi, mediocri, incantatori, seduttori, generalmente trascurati nella vita terrena qui invece sono condannati a pene terribili proprio nel corpo che tanto hanno offeso. E la visione dell’affresco è incredibilmente catartica, cioè non angosciante : anzi raccoglie pure consensi e tuttora, a giudicare dalle espressioni soddisfatte di chi, pur avendo pagato un biglietto all’ingresso, approva pienamente quando esce dalla Cappella. 

Per por fine a quel caos, l’imperatore Sigismondo di Lussemburgo infine avviò un Concilio a Costanza che si protrasse fino al 1417 quando, deposti gli ultimi antipapi venne eletto col nome di Martino V l’unico successore legittimo di San Pietro : il maggio 1415, data della deposizione di Giovanni XXIII può infatti essere anche considerata il termine degli affreschi della Cappella die Bolognini, ai quali ora conveniva smontare il più rapidamente possibile ponteggi e impalcature interne, pur di non proseguire le decorazioni con l’immagine dell’ultimo antipapa di Bologna. 

Ed infatti il lunettone di destra è tuttora l’unica parte della Cappella rimasta incompiuta.  

 

 

                                                    Marina Bilotta Membretti, Cernusco sul Naviglio 25 gennaio 2020

 

 

[1] La prima tortellinatrice è stata brevettata a Bologna da Zamboni & Troncon, azienda fondata da due operai provenienti dall’Arsenale Militare che nel 1912 ottenne per questa macchina il Premio Umberto I : un esemplare è stato esposto nel 2015 a Milano, al Museo Nazionale della Scienza e della Tecnologia nel percorso #FoodPeople, coi menù italiani del passato e contemporanei.

[2] Il programma degli affreschi per la parete sinistra della Cappella furono citati da Bartolomeo Bolognini nel suo testamento, ed eseguiti da Giovanni Da Modena dopo il 1408, quando fu chiamato a sostituire il pittore Jacopo di Paolo che dovette abbandonare l’opera.

[3] Sebbene non in originale, il testamento di Bartolomeo Bolognini esiste in varie copie, sia presso l’Archivio di Stato di Bologna, sia presso la Biblioteca Comunale dell’Archiginnasio, sia presso l’Archivio della Fabbriceria di San Petronio (Libro rosso III dei testamenti). La “chiesa del signore di Sabina” si riferisce alla chiesa di San Clemente, all’interno del Collegio di Spagna fondato dal card. Gil de Albornoz, arcivescovo di Sabina.

 

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