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Il primo tassello.

 
Maria Giassi, mosaicista al lavoro con martellina, ceppo e tagliolo nel suo Laboratorio a Milano (1).

 


 
"Vedi queste due tessere ? Non potranno mai stare vicine, anche se provengono dalla stessa pietra, la sfumatura di colore ha uno stacco dall'una all'altra..."

La visita al Laboratorio di Maria Giassi, mosaicista di origine triestina inizia con questa prima lezione. Netta nel giudizio, ma cortese ed attenta Maria non ha dubbi pensando alla sua esperienza. "Quando cominciai a frequentare l' 'Istituto d'Arte'2, mi accorgevo che la mattina finalmente mi svegliavo bene mentre prima, al biennio del Liceo scientifico non era stato così : a scuola ora mi sentivo a mio agio.
Disegno da sempre, disegno fin da quando ho ricordi di me.
Una estate, appena arrivati al campeggio, mia mamma ci mise a disegnare con mia sorella mentre lei si dava da fare coi bagagli... Si accorse del mio disegno, si stupì : avevo semplicemente copiato un bicchiere di vetro dalla tavola ma lei si fermò, non pensava che l'avessi fatto io!
Poi, alle 'Scuole medie' ci fu anche il ritratto di mia sorella, l'avevo preso da una foto e... Era proprio lei ! E' un lavoro di sintesi, il disegno, ma prima devi scomporre quello che vedi. Per poi ricomporlo con quelle forme semplici che avevi trovato scomponendolo e tenendo ben fermo in mente l'originale, che è già il tuo progetto."
In Maria la manualità è evidentemente una competenza a cui l'occhio aderisce : te ne accorgi quando lei soppesa attentamente le tessere valutando il materiale, se è marmo, sasso, vetro o smalti... Mi fa notare le venature del sasso rosso e del sasso nero che si trovano tuttora lungo le sponde del generoso Tagliamento, il grande fiume che attraversa anche Spilimbergo dove lei proseguì la specializzazione nei tre anni previsti dalla "Scuola Mosaicisti del Friuli", fondata negli anni '20 e presso cui ottenne nel 2004 il Diploma di mosaicista.
"I sassi verdi ed i sassi rossi – mi dice – sono molto duri da tagliare, hanno venature..."
Lei ha uno sguardo intenso verso quello che tocca, un giudizio, un apprezzamento. E, forse per questo, sa ascoltare l'interlocutore.
"Il mio lavoro consiste nel saper tradurre la richiesta del Cliente, si parla infatti di 'Arte applicata' cioè il progetto artistico sarà applicato ad un oggetto della vita quotidiana, quindi un pannello decorativo, una parete, un pavimento..."
"Non temere – mi rassicura subito – anche quando ci viene commissionato un soffitto musivo, prepariamo il mosaico sezionato in parti, o fogli, che vengono applicati successivamente... La base di tutto però è il progetto, cioè il disegno che lo prepara.
Ma già il primo anno, alla 'Sezione Decorativo Pittorica' che frequentavo, le esercitazioni in Laboratorio riguardavano anche il colore : come si scompone un colore ? Un blu, per esempio, è tutto blu ? Un rosso, tutto rosso ?
Le tessere sono il particolare che dà il colore : si dice infatti che un mosaico 'vibra', deve vibrare.
Nel blu c'è anche il rosso, c'è persino un punto di giallo ma alla fine ciò che vedi è 'blu', anzi quel certo 'blu'. Ed anche la posizione delle tessere cambia il colore. Dal 'bozzetto' - che è il disegno originale, a colori, di solito realizzato in scala – si passa al 'cartone' a grandezza reale, che serve per realizzare il mosaico. Così il bozzetto con le 'linee guida' è decisivo, perchè diventa il riferimento per la fase successiva del mosaico vero e proprio.
Scomporre un colore può richiedere anche dieci toni di 'quel' colore – i colori spesso sono identificati da un codice - poi sicuramente occorreranno singole tessere di un colore apparentemente contrastante, che invece lo rafforzano.
L'esercitazione in classe consisteva nel riprodurre un'opera musiva, anzitutto della nostra tradizione, tratte dall'antica città di Pompei o di Piazza Armerina e via via avvicinandoci ad opere più recenti fino agli autori contemporanei, i quali allora vengono proprio a far lezione con noi allievi. L'artista spiega il suo progetto e gli allievi lo interpretano, per realizzarlo.
Ci sono mosaici che richiedono tessere anche inferiori al centimetro... Ma è solo il mosaicista che decide il materiale per la tessera, decide il taglio, la dimensione, la forma.
Noi mosaicisti abbiamo un unico strumento che è la 'martellina' e pesa almeno 900 grammi. E poi il 'ceppo' su cui è incastrato il 'tagliolo', un cuneo speciale come quello che uso nel video qui in Laboratorio.
Qui vedi una tecnica 'a rovescio su carta' – mi spiega mostrandomi un progetto su cui sta lavorando. Le tessere vengono incollate a rovescio, cioè la parte 'bella' della tessera viene incollata alla carta e, completato il mosaico, si passa alla posa in opera. Si stende la colla sul supporto, si stucca il mosaico e lo si 'rovescia', incollandolo. Successivamente si bagna la carta, delicatamente poi la si scolla scoprendo così il mosaico. Ora lo stucco è ancora bagnato e morbido, noi diciamo che il mosaico 'si muove', cioè il mosaicista può ancora intervenire con ritocchi, e fino a ottenere una superficie liscia.
L'altra tecnica invece è quella 'diretta', si realizza incollando direttamente le tessere con una colla cementizia che permette di variare inclinazione e spessore delle tessere, ottenendo un mosaico dalla superficie mossa e vibrante.
In entrambi i casi, per poter realizzare opere di grandi superfici, il mosaico viene sezionato durante la lavorazione, in parti o fogli, che vanno a combaciare perfettamente tra loro. Le sezioni del mosaico vengono numerate e successivamente applicate al supporto, cosa che ci permette di lavorare in Laboratorio e trasferire poi con una certa facilità il lavoro finito nella sua sede definitiva".
Già prima di ottenere il diploma, Maria Giassi aveva iniziato a produrre mosaici. E' del 2001 l'allestimento della scenografia per lo spettacolo teatrale "Apriti Porto" nel Porto Vecchio di Trieste. Nel 2006 progettava e realizzava i mosaici decorativi a pavimento per il 'Fonte Battesimale' della Chiesa S. Mary in New Jersey (U.S.A.) E a Nuoro nello stesso anno, per "Domus Dei" con cui ha successivamente collaborato, realizzava un mosaico parietale su progetto dell'artista A. Ranocchi. E ancora nel 2008 a Jasi, in Romania. E nel 2010 a Roma nella chiesa "Nostra Signora di Valme". Nel 2011 a Corazim, in Israele, presso 'Domus Galilaeae'.
Nel Laboratorio di Milano, fornito di un magazzino di pietre di cui è giustamente orgogliosa ed a cui si accede attraversando giardini interni, caratteristici di una città che si credeva perduta, Maria Giassi pensa, progetta e realizza ogni giorno con orari di lavoro degni di un antico Maestro d'Arte.

Il primo tassello.
Maria Giassi, mosaicista.

 
(1) Sito: www.giassimosaico.blogspot.com  / Email: ma.artemosaico@gmail.com
(2)A Trieste, dove Maria Giassi è nata nel 1980, è l'Istituto Statale E.& U.Nordio che Maria ha frequentato cinque anni fino al conseguimento del Diploma di 'Scuola superiore'.
 
A cura di Marina Bilotta Membretti, Cernusco sul Naviglio 16 ottobre 2018

...L'altro in un idillio.

"...L'altro in un idillio : non c'è coniugio!" Il giudizio di Creonte1

 

"La paix" ('La pace'), Pablo Picasso (1952).  Non convince qui il pensiero celebrativo, compulsivamente ripetitivo ed annoiato di un artista che tuttavia era già all'apice del successo.

 

  

La breve intervista che segue è nata dalla curiosità di approfondire alcuni spunti offerti dal Dr. Roberto Zanni nel corso di una recente conversazione pubblica sul "narcisismo".

 

Marina Bilotta - Un bambino di otto anni che guarda con ammirazione un anti-eroe - Lei ha nominato Renato Vallanzasca - quindi un uomo reale, non un personaggio dei 'fumetti', realmente imputato di delitti e omicidi e realmente condannato a sanzioni penali dalla Giustizia di Stato. Eppure un uomo di cui tanti parlarono, si scrisse di lui sui giornali, lui stesso venne intervistato per la televisione affermando : "Vallanzasca è Vallanzasca!" Che cosa avrebbe in più quest'uomo, probabilmente guardato con timore dalla gente che ne parlava per strada, rispetto all'eroe 'classico' che si spende per la Giustizia?

Roberto Zanni - Parto da un ricordo personale: da bambino, proprio quando avevo otto anni, passavo i pomeriggi estivi in compagnia di un mio coetaneo: spesso giocavamo con i soldatini e buona parte del gioco consisteva nel prepararsi allo scontro, costruendo ciascuno il proprio villaggio, il proprio forte, il proprio esercito; seguivano poi la battaglia e la conta di morti e feriti per stabilire chi avesse vinto. Un giorno, forse esaurite le strategie e le modalità di gioco (ma più probabilmente il pensiero si apriva un varco), decidemmo di comune accordo di “giocare alla pace”: il gioco, però, non partiva.

 

1 La pace che annoia.

Con la pace non succedeva niente: il pellerossa andava a caccia di bisonti e salutava cordialmente il cow boy intento a governare la sua mandria. Era calma piatta.

Quando Eraclito, nel celebre frammento, dice che “Polemos è padre di tutte le cose, di tutte re”, è preciso: un re, infatti, governa per mezzo di leggi e la legge per Eraclito è proprio il conflitto, la dialettica dei contrari che, in quanto dinamica, spiegherebbe la totalità delle cose (“padre di tutte le cose”, appunto).

Ma se tutto è guerra che cos’è la pace? Da adulto avrei intuito che pensare la pace è impervio quanto pensare la salute psichica. In tutto questo cosa c’entrano gli eroi, positivi e negativi, buoni e cattivi? C’entrano perché anche i cosiddetti eroi “buoni” sono violenti, con la differenza che ricorrono alla forza "a fin di bene"...

Certo, si può pensare a personalità come Socrate, Gesù, Gandhi : uomini profondamente diversi ma accomunati dal ripudio della violenza - sto semplificando - però la violenza, agita o subita, c’è sempre : se questa è la prospettiva ha ragione Manzoni quando scrive nell’Adelchi : “Non resta che far torto o patirlo”. La violenza, il conflitto, lo scontro, sembrano dunque ineliminabili : torna così a riproporsi il problema della pace; difficile pensarla se non come assenza di moto e di iniziativa cioè come beatitudine estatica.

L’amico e critico d’arte Mario Cancelli mi ha fatto notare che, ad esempio, quando Picasso ha dipinto “La pace” ha rappresentato vari personaggi su un prato, e non si capisce bene cosa stiano facendo... Giocano? Gioiscono? E di cosa? A me sembrano dei cretini... L’alternativa sembrerebbe quindi essere tra distruzione (guerra) e inerzia (pace) : i cattivi sarebbero gli attaccabrighe e i buoni quelli che “non fanno niente”. Tuttavia i cattivi, pur restando cattivi, darebbero almeno uno “scossone”: che purtroppo questo “scossone” si esaurisca in una spinta nel burrone apre alla questione della violenza come prodotto dell’impotenza (su questo rimando alla domanda successiva).

Da bambino, senza fare il cattivo, rivendicavo quindi la mia 'sim-patia' per i cattivi, per quelli che smascheravano l’ipocrisia della bontà : intuivo, come tutti i bambini, la bontà come “formazione reattiva” ovvero che i buoni ... non sono buoni!

In seconda media, ad esempio, rimasi impressionato dall’approfondimento biografico, riportato nel mio libro di storia, su Cesare Borgia : un uomo spietato di cui apprezzavo però il brutale dis-velamento delle trapunte religiose dai rapporti di forza tra gli uomini. Certo, non ho passato l’infanzia a venerare gli eroi del male, ma da bambino pensavo molto ai rapporti, e ricordo con nitidezza il mio disgusto per le prediche moralistiche.

Cercavo una soluzione che non fosse la messa in atto della violenza dei miei 'eroi', quella mi bastava pensarla attraverso di loro. La soluzione l’ha indicata Giacomo Contri: la pace non 'via mistica', ma 'via giuridica'.

La pace, infatti, è un prodotto, non un approdo : se non si pensa questo si continuerà a scimmiottare la lotta tra i buoni e i cattivi. Se la guerra infatti è l’unico modo di avere rapporti e la pace è assenza di guerra... Ne consegue che la pace è assenza di rapporti.

Ma è proprio così?

Intanto che ci pensiamo sarebbe bello scoprire cosa faranno i buoni, una volta sconfitti i cattivi.

Marina Bilotta - Possiamo chiamare 'fascinazione' questa ammirazione speciale e diffusa, non solo fra i giovanissimi ? Quando si è accorto che era una fascinazione e non ammirazione, e perché ha deciso di farla cadere ?

 

2 Pensiero individuale oppure 'il chiodo fisso' della fascinazione.

Roberto Zanni - La domanda permette di operare una distinzione: la mia era “fascinazione”, non “ammirazione”. La fascinazione è caduta perché non mi sono fissato (ad-mirare) : è stata un momento della mia elaborazione intellettuale per cercare di venire a capo della questione della soddisfazione, di cui sadismo e masochismo quando va bene possono essere passaggi elaboranti.

Il problema c’è quando il pensiero "non regge”, "non “governa” e butta sull’atto, cioè spinge nel burrone. La violenza infatti è solo capace di distruggere, perché ha una radice di impotenza di cui i 'super poteri' degli eroi sono il rovescio; ripeto l’adagio di Giacomo Contri : “Tra impotenza e prepotenza c’è un buco che non è stato ancora colmato”.

 

3 Lavoro o no.

Marina Bilotta - Il narcisismo, Lei ha ricordato, non va d'accordo col 'lavoro' : anzi consentirebbe, restando immobili, di piegare l'altro perchè il narcisismo non ha bisogno di lavorare nella relazione con l'altro, è una qualità all'origine. "Je suis belle" è una celebre quanto drammatica statua dello scultore Auguste Rodin, che immagina la donna sempre repulsiva nei confronti del proprio uomo. Insomma, il lavoro conviene o no ? Quando possiamo dire che un bambino lavora ?

Roberto Zanni - Il bambino sano lavora sempre e per lui tutto è lavoro. È nella psicopatologia precoce che smette di lavorare e inizia a fare “il bambino difficile”: e pensare che prima era tutto facile....

Su questo, la responsabilità degli adulti è letteralmente imperdonabile : pensiamo ai cosiddetti “bulli” nelle scuole: siamo già dentro il narcisismo, lo abbiamo addirittura fomentato.

Noi diciamo a un bambino o ragazzo che compie atti vandalici che “è” un bullo! Invece che sanzionarlo lo categorizziamo.

Se “sono” un bullo non c’è bisogno di lavorare : “sono fatto così”! Al massimo andrà rieducato : ma l’educazione è spesso sadismo su sadismo...

Ho visto per strada un banchetto di 'raccolta firme' per la reintroduzione dell’ora di "Educazione civica" nelle scuole : sbagliato ! L’educazione civica non si insegna, si applica!

Nessuno imputa - quindi nessuno sanziona - però si organizzano Progetti sulla 'legalità', quando è proprio la Legge ad sconfessata nei fatti ! Se potessi abbasserei a 12 anni la maggiore età : tutti responsabili penalmente dei propri atti!

 

5 Insoddisfazione infinita.

Infine la questione del 'lavoro', che Lei pone, mi fa pensare che il narcisista non sa che farsene dell’altro : per questo pensa di “piegarlo” alla sua obbedienza senza soddisfazione. Allora potremmo anche dire che il narcisista non sa che farsene della soddisfazione.

Un’espressione volgare, ma efficace, che ho sentito qualche volta dice : “succhiare il chiodo”. Questo sarà il destino della bella che "fa" la bella...!

Noto a margine che “destino” è uno strascico del narcisismo2.

 

 

                              A cura di Marina Bilotta Membretti, Cernusco sul Naviglio 25 ottobre 2018

 

 

 

1 In omaggio a THINK ! 27-28 ottobre 2018, "Alleanza" / Giacomo B. Contri.

2 Roberto Zanni insegna "Filosofia", è Socio di "Studium Cartello – Il lavoro psicoanalitico" e psicoanalista a Bologna.

 

"Il capitale nel XXI secolo".

'Speed Book Date' a cura di Alessandra Pagani.
Padova, 24 febbraio 2018.
Ho presentato "Il capitale nel XXI secolo", di Thomas Piketty - Ed. du Seuil 2013.

 



"Thomas Piketty ha 46 anni, vive a Parigi con la moglie Julia e le tre figlie. E' professore all' 'Ecole des hautes etudes en sciences sociales' e all''Ecole d'Economie de Paris'. Con questo saggio ha vinto nel 2013 ha vinto il Prix 'Yrjo Jahnsson' assegnato dalla European Economic Association.


E' in realtà un lavoro ambizioso, ma originale e rigoroso con cui Piketty avvia un'analisi finora inedita, perchè raccoglie dati di Bilancio da 20 Paesi nel mondo, con una questione attualissima : che cosa favorisce la speculazione, che conduce alle disuguaglianze sociali ed all'ingiustizia, anzichè l'investimento del capitale ?
Mi ha incuriosito, perchè il suo lavoro segnala un collegamento importante fra la buona economia e la psiche individuale, continuamente tentata dal godimento consumistico, o dall'ottenimento immediato senza lavoro anzichè dall'investire i propri talenti per un maggior profitto.
 
Piketty afferma che lo scivolamento speculativo vada affrontato anzitutto nelle singole Nazioni con una Cultura condivisa, ma propone contemporaneamente una imposta progressiva sul capitale, politica tuttavia non molto seguita dai Governi, perchè incoraggerebbe la migrazione dei capitali laddove invece la speculazione viene premiata.
 
Penso che sarebbe utile arrivare a definire la composizione del capitale, come Piketty stesso auspica ed il suo lavoro prosegue con nuovi alleati in nuovi Paesi - perchè quando la percentuale di rendita non supera il capitale investito in attività produttive, probabilmente una imposta progressiva sul capitale non avrà effetti depressivi".


Marina Bilotta Membretti, Cernusco sul Naviglio 27 febbraio 2018

Investimento oppure debito.

I pesi volendo si spostano.

 

 

Investimento oppure debito è uno dei "basic" di ogni politica aziendale (e personale), a buon diritto confluito in Economia. La scienza economica infatti, fin dalla sua nascita che è relativamente recente, ha saputo di volta in volta selezionare il percorso più profittevole per il successo a partire da un pensiero individuale che arrivava a soddisfazione.  

In altri termini, Economia si è fatta scienza grazie all'apporto dei suoi lavoratori migliori : un caso abbastanza singolare quindi di co-operativa con profitto su ricchezza pre-esistente e non su povertà. Ciò che consente tuttora alla scienza economica di capitalizzare ed immediatamente re-investire il surplus negli ambiti scientifici più disparati con successo ulteriore e senza dispersioni.  

Freud stesso raccolse negli ultimi anni della sua prodigiosa carriera personale e professionale i promettenti vagìti di una neonata scienza tutta da coltivare[1].  

Nel suo recente interessante articolo su Le Monde[2] Thomas Piketty, professore presso PSE – Paris School of Economics (o EEP - Ecole d'economie de Paris), affronta il tema della profittabilità nella differenza di posti fra partners che in Economia risulta vincente ma che i Paesi, europei ed extraeuropei stentano a riconoscere nelle loro scelte politiche. Ben supportato da numeri e grafici, Piketty si permette di osservare il "costo" con cui U.S.A. e Germania, pur capaci di un soddisfacente indice di produttività[3] che li pone tuttora ai vertici delle Nazioni maggiormente sviluppate, devono correggere al ribasso la loro ricchezza interna.  

In queste Nazioni infatti la politica del lavoro è più tecnica che economica, cioè non tiene conto delle variabili "culturali" che influenzano la produttività individuale frenandola o favorendola, con la conseguenza che un maggior numero di ore-lavoro per persona è necessario per produrre lo stesso risultato.  

Come dire che una persona che ha poco tempo a disposizione per sè si avvicina gradualmente al mero esecutore sebbene tecnicamente competente, ma con minor produttività anche a livello nazionale. 

Piketty attribuisce specificamente la debolezza di una crescita economica nazionale ad una "offerta educativa e culturale" scarsa, o peggio ancora "pilotata" dall'esterno, che finisce per tradursi soltanto in un "costo", politico e sociale, e non suscita invece "investimenti" orientati come si sa al profitto. Ho trovato nell'esposizione del prof. Piketty un interessante collegamento alla difficoltà con cui un bambino normale, ma assediato dalle richieste dell'adulto e senza avere il tempo di elaborare la "sua" capacità di risposta e dunque di lavoro, rischia di avviarsi alla psicopatologia...  

Potrebbe allora ritenere conveniente lavorare per recuperare quel "suo" pensiero economico così precoce e produttivo che, dal buio fetale ed in scarsità di nutrimento, lo ha orientato alla soddisfazione della nascita.   

 

                                                        Marina Bilotta Membretti, Cernusco sul Naviglio 9 gennaio 2017

 

 

 

[1] S.Freud, "La questione economica del masochismo" 1924 – OSF Vol.10 B.Boringhieri

[2] Thomas Piketty, "De la productivitè en France et en Allemagne", Le Monde 5 gennaio 2017, @pikettylemonde on Twitter

[3] Piketty indica il rapporto fra Prodotto Interno Lordo / PIL e numero di ore complessivamente lavorate nel Paese, eventualmente riferito anche al numero di lavoratori impiegati, come valido indicatore della produttività nazionale.

 

 

"L'adolescente" non (si) risparmia.

 Ovvero "Il Colombo giovinetto" di Giulio Monteverdi[1]. 

"L'adolescente"(1875)è un celebre romanzo di Fedor Dostoevski sulla incapacità di superare l'adolescenza.

  

Monteverdi e l'intuizione vantaggiosa di uno scultore che scava nel successo di un uomo recuperando l'accadere dell'adulto, dal bambino che lo precede.

 

 

 

 

 

Ecco dunque un giovane Cristoforo Colombo[2], pensoso senza malinconia, ed inconsapevole - sembra  - di una propria sana sensualità, autonomia e determinazione di pensiero che lo rendono attraente allontanando però ombre, ingordigie. 

Che cosa c'è infatti di più lontano dalla patologia psichica se non la capacità solo umana di intavolare un progetto, che normalmente chiamiamo "lavoro", e che raccoglie dall'infanzia un desiderio difficile ma non per questo meno valoroso, per immaginarlo realizzabile nell'età e nel mondo attraente dell'adulto ? 

Un mondo fatto di regole sì, ma anche di "potere" che già lo rende mondo allargato ed universo.

Potere di muoversi, potere di allearsi e di far fruttare alleanze positive, potere di costruire qualcosa che da bambini doveva fermarsi al gioco. 

Potere di usare la realtà con una competenza più adeguata, quella per cui da bambino doveva chiedere aiuto all'adulto da cui non poteva che dipendere, pur con gratitudine se l'adulto lo meritava. 

Che cosa c'è dunque più di questo "accadere" dell'adulto - sembra soppesare il giovane Cristoforo Colombo di Monteverdi - che lascia scivolar via l'adolescenza come un abito troppo lungo, troppo lento, troppo costoso, troppo troppo ?? 

E già passa ad investire proficuamente in studi, in discipline, in nuovi abbracci che non siano più soltanto gioco. "Il Colombo giovinetto" è il bello della realtà, che non è eterna. 

 

                                                 Marina Bilotta Membretti, Cernusco sul Naviglio 20 settembre 2016

 

 

[1]Giulio Monteverdi, scultore e politico (Bistagno 1837 – Roma 1917). "Il Colombo giovinetto" è una statua in marmo del 1870 e si trova nel Castello De Albertis a Genova.

[2]Cristoforo Colombo (Genova 1451 – Valladolid 1506), esploratore e navigatore italiano, fu marinaio fin da giovane. Cittadino della Repubblica di Genova e successivamente suddito del Regno di Castiglia, maturò l'idea dell'esistenza di una terra oltreoceano che lo portò, dopo vicissitudini ed un viaggio avventuroso, a raggiungere il 12 ottobre 1492 la odierna San Salvador.

 

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