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“Benfatto…!”

Un successo inedito.

 Illustrazione di Stefano Frassetto[1] per TutorSalus.net

 

 

 

“… ‘Sa, dottore, che oggi è l’ultima volta che sono qui?’

…Lei confessa che nulla la manda in collera più di sentire che qualcuno crede che la scena sul lago sia frutto della sua immaginazione. Dora mi era stata a sentire senza contraddirmi, come faceva di solito. Sembrava commossa; col tono più amabile, si congedò facendomi i più calorosi auguri di buon anno e… non ritornò più.

Il padre, che venne a trovarmi qualche altra volta, mi assicurò che sarebbe ritornata e che essa manifestamente desiderava continuare la cura. Ma il padre non era mai del tutto sincero. Fin quando aveva sperato che le mie chiacchiere avrebbero convinto Dora che tra lui e la signora K. non c’era altro che una buona amicizia, egli era stato favorevole al trattamento; ma quando aveva visto che fra le mie intenzioni non figurava questo proposito, il suo interesse per la cura era assai diminuito. Io sapevo che Dora non sarebbe ritornata…

Sarei riuscito a trattenere la ragazza se avessi sostenuto una parte ? Se avessi esagerato il valore che annettevo al suo ritorno ? Non so.

…Nonostante tutto l’interesse teorico, tutto il desiderio professionale di soccorrere il malato, io mi dico che ogni influenza psichica deve avere dei limiti e rispetto come tali anche la volontà e l’acume del paziente.

…La cura psicoanalitica non crea la traslazione, essa la scopre solamente, così come tutti gli altri processi psichici nascosti… Nella psicoanalisi – e ciò per la differenza dei fattori su cui si basa – tutti gli impulsi, anche quelli ostili, vengono risvegliati ed utilizzati dall’analisi col renderli coscienti, ed in tal modo la traslazione viene continuamente annullata…

Solo quindici mesi dopo la fine del trattamento e la stesura di questa mia relazione potei avere notizie dello stato di Dora e quindi dell’esito della cura. Il primo aprile… ella si ripresentò da me per completare la sua storia e per chiedere nuovamente il mio aiuto; ma mi bastò guardarla in volto per capire che questa richiesta non andava presa sul serio…

Sono passati anni da quella visita. Dora si è sposata, e precisamente – se non m’ingannano tutti gli indizi – con il giovane di cui si parlava nelle associazioni all’inizio dell’analisi del secondo sogno… così questo secondo sogno preannunciava dunque che si sarebbe staccata dal padre restituendosi alla vita.”[2]

 

                                          Marina Bilotta Membretti, Cernusco sul Naviglio 11 luglio 2020

 

[1] Stefano Frassetto è nato a Torino nel 1968. Dopo la laurea in Architettura al Politecnico di Torino, ha iniziato come vignettista e disegnatore per alcuni giornali locali. A metà anni novanta ha cominciato a pubblicare anche in Francia, prima col mensile ‘Le Réverbère’ e in seguito col quotidiano ‘Libération’ : passato a sviluppare l’attività di fumettista col personaggio di Ippo per ‘Il Giornalino’ e poi la striscia ‘35MQ’ per il quotidiano svizzero ‘20 Minuti’, con l’anno 2000 fa il suo esordio su ‘La Stampa’ come ritrattista per le pagine culturali e per l’inserto ‘Tuttolibri’, poi per il settimanale culturale ‘Origami’. Oggi è anche ritrattista e illustratore presso il quotidiano svizzero ‘Le Temps’.

[2] “Il Caso di Dora. Frammento di un’analisi d’isteria”, Sigmund Freud (1901) Edizione integrale di riferimento – Bollati Boringhieri 2014, Citaz. da p.179 a p.196.

 

Distretti produttivi. Non di sola zizzania vive l’uomo.

Un giardino accogliente è l’ambiente favorevole in cui anche una giovane quercia intraprendente può trovare da crescere.

 

 

 

Commentando ironicamente le indubbie scoperte della ‘intelligenza artificiale’ che si fondano sulla possibilità di descrivere il pensiero grazie alla manipolazione razionale eseguibile da un computer, il fisico Roger Penrose[1] concludeva : “…Spesso si afferma che è la mente ‘cosciente’ a comportarsi nel modo ‘razionale’ che noi possiamo capire, mentre sarebbe l’inconscio ad essere misterioso”.

L’inconscio freudiano infatti, resta appannaggio di quanti colgono il ‘razionale’ come processo che segue, ‘secondario’ cioè, quel processo ‘primario’, assolutamente personale, quindi non ripetibile né cedibile ma ‘individuabile’ dal soggetto : è grazie a questi salutari ‘flashes’ del pensiero che il lavoro analitico consente di trovare quei collegamenti – altrimenti oscurati dalla coscienza – in cui consiste la indispensabile competenza individuale nella cura, e cioè le soluzioni trascurate dal soggetto. E’ insomma questa la ‘conoscenza’ e la ‘scienza’ tout court, senza la quale nessuna ‘scoperta’ minima o massima viene resa possibile : eppure ostacolata in tutti i modi, persino dal soggetto stesso, continuamente ‘tentato’ dal delegare qualcuno della ‘comunità’ in cui si riconosce.

Fu verosimilmente questo arbitrario passaggio da una razionalità individuale, capace di collegare atti e fatti che a terzi paiono scollegati, ad una razionalità pre-giudicatamente ‘collettiva’ – sottoposta cioè ad imperativi culturali indebitamente trascurati – che allontanò l’allievo Karl Gustav Jung[2] dal lavoro scientifico di Freud, fino a far apprezzare le ‘nuove’ affermazioni di Jung alle comunità accademiche che poterono così approdare alle prime ‘Teorie dei giochi’[3] ed alla manipolazione dei valori individuali, indispensabile perchè ‘il gioco’ funzioni.

E’ proprio questa ‘manipolazione’ dei valori individuali, assolutamente ‘soft’ perché l’individuo accetti ma necessaria alle Teorie prescrittive – quindi in ciò ‘non scientifiche’ - quell’imperativo a cui solo faticosamente l’individuo può sottrarsi, a meno di raccogliere la ‘scienza individuale’ che Freud chiamò ‘inconscio’, che si traduce infatti con un ‘non ancora consapevole’.

Einstein spiegò, nel risolvere il problema dell’effetto fotoelettrico che gli valse il Premio Nobel nel 1921, che egli riusciva a pensare grazie ad “immagini più o meno chiare che possono ‘a richiesta’ essere combinate e riprodotte”[4]. Quali parametri allora precedono quel mitico ‘comportamento casuale’ onnipresente negli algoritmi ?

Daniel Kahneman[5], uno dei massimi teorici del ‘comportamentismo’ afferma che solo le “impressioni altamente accessibili prodotte dal sistema ‘1’ governano giudizi e preferenze…” : ed infatti è stato provato che  anche i problemi ‘logicamente isomorfi’[6] evidenziano percorsi assolutamente individuali nella soluzione.

Dobbiamo ad Alfred Marshall[7] ed alla sua critica non marxiana della crisi sopraggiunta alla ‘fase Ford’[8] negli Stati Uniti, l’individuazione di un sentiero inesplorato : quello delle capacità umane e del ‘capitale sociale locale’ che fecero letteralmente risollevare lo sguardo a quanti, fra politici economisti e studiosi restavano chini sul destino minacciato da Marx  a causa della separazione fra chi lavora e gli strumenti di produzione.

Si trattò, e si tratta di una ‘correzione’ indispensabile della Cultura prevalente : dacchè imprese sempre più grandi e concentrate devono necessariamente essere affiancate da agglomerati geolocalizzati di imprese medie e piccole, capaci di modulare adeguatamente la propria struttura produttiva per supportare il proprio ed altrui sviluppo, e non solo sopravvivenza.

Vorrei citare l’economista Giacomo Becattini[9] ed il suo agile saggio “Dal distretto industriale allo sviluppo locale” che riporta un sottotitolo notevole, ‘Svolgimento e difesa di una idea’: “…Nel distretto si produce capitale”[10], inteso come “possesso delle conoscenze e delle relazioni sociali che hanno rilievo produttivo in ogni dato contesto storico”, e si produce ‘capitale diffuso’ cioè “un ambiente in cui il ‘know how’ sia diffuso e la conoscenza personale consente relazioni di fiducia differenziata”.

Il distretto produttivo insomma “apre continuamente, qua o là, nuove possibilità di accesso all’attività imprenditoriale…”, e specificamente quel “rischio d’impresa…” per cui l’investimento – che è percorso di pensiero anzitutto rappresentativo e quindi individuale - può dare valore ad un successo abbastanza probabile, perché si aggancia a realtà sperimentate dall’individuo.

La economista Mariana Mazzucato[11] riconosce allo Stato una ‘governance’ indispensabile, oggi ancor più che in passato, nell’assumersi il rischio maggiore che è anche un investimento a lungo termine, quello del ‘favorire’ un ambiente imprenditoriale e quindi ad innovazione, non soltanto tecnologica : attraverso, per esempio le promettenti ‘banche per lo sviluppo’.

Auguriamoci dunque – ma solo per quanto riguarda ogni Stato, i Governi che lo rappresentano e le Burocrazie a cui spetta il delicato compito di rendere credibili Leggi e Decreti - che sappiano tener conto della realtà sperimentata di un ‘rischio diseguale’.

 

                                                                         Marina Bilotta Membretti, Cernusco sul Naviglio 16 maggio 2020

 

 

[1] Sir Roger Penrose (1931), è matematico e cosmologo, laureatosi all’Università di Cambridge e professore emerito all’Università di Oxford : insieme a Stephen Hawking (1942-2018) col quale rimasero in dibattito su ipotesi differenti, ha ricevuto nel 1988 il Premio Wolf per la Fisica. Qui cito il suo testo “La mente nuova dell’Imperatore”, Rizzoli Editore  1992, p.520.

[2] Karl Gustav Jung (1875-1961) fu psichiatra svizzero, psicoanalista allievo di Freud ed inventore di quella “psicologia analitica” che lo allontanò da Freud dopo la pubblicazione di “La libido” nel 1912.

J Il riferimento teorico resta “Theory of Games and Economic Behaviour”, di John von Neumann ed Oskar Morgenstern – 1947 ‘Princeton University Press’.

[4] “Il valore della scienza”, Henri Poincarè / trad. ital. 1992, Ed. Dedalo Bari: tratto da “The Value of Science”, Henri Poincarè 1913 ‘Science Press’.

[5] “Mappe di razionalità limitata : indagine sui giudizi e le scelte intuitivi”, Daniel Kahneman in “Critica della ragione economica. Tre saggi : Kahneman, Mc Fadden, Smith” a cura di Motterlini – Piattelli – Palmarini, Ed. “il Saggiatore” 2012, p.126.

[6] “Calcoli morali”, Lazlo Mèro - Ed. Dedalo Bari 2012, p.286 : “due problemi si dicono logicamente isomorfi  se le loro strutture logiche formali sono identiche”. Lazlo Mèro è matematico e psicologo ungherese, il suo saggio “Calcoli morali” ha ricevuto nel 1999 il premio come miglior libro di scienza in Germania.

[7] “Industria e carattere. Saggi sul pensiero di Alfred Marshall”, Giacomo Becattini - “Le Monnier Università” 2010. Alfred Marshall (Londra 1842 – Cambridge 1924), è stato uno dei più influenti economisti del secolo scorso : i suoi “Principi di Economia” (1881) e “Industria e Commercio” (1919) sono tuttora un riferimento in Politica economica.  

[8] ‘Fordismo’ fu un termine peggiorativo coniato in realtà solo successivamente alla esponenziale produttività delle fabbriche automobilistiche ‘Ford’ all’inizio del ‘900 negli Stati Uniti, ottenuta con una meccanizzazione esasperata, una intensa sottomissione organizzativa e retribuzioni elevate : caratteri tutti che per qualche decennio ricevettero un cospicuo e diffuso apprezzamento. Purtroppo le conseguenze impreviste furono la incapacità di modulare la produzione fino ad un tragico eccesso produttivo generalizzato e quindi di una offerta di beni sovradimensionata,  anticamera di quella che ancora oggi è nota come ‘Grande depressione’ del 1929.

[9] Giacomo Becattini (1927-2017) è stato professore emerito di Economia politica all’Università di Firenze, membro delle ‘Accademie dei Lincei’, membro onorario di ‘Trinity Hall’ (uno dei College più antichi di Cambridge), laureato ‘honoris causa’ dall’Università di Urbino e presidente della ‘Società Italiana degli Economisti’ : studioso di Alfred Marshall e dello sviluppo post-bellico in Italia ha pubblicato saggi anche sul distretto industriale di Prato, di cui è stato cittadino onorario.

[10] “Dal distretto industriale allo sviluppo locale. Svolgimento e difesa di una idea”, Giacomo Becattini – Ediz. Bollati Boringhieri 2000, p.53

[11] “Lo Stato innovatore. Sfatare il mito del pubblico contro il privato”, Mariana Mazzucato 2013 – Editori Laterza Bari.

 

Conversazione con… Christian Loor Loor.

Intuizione, progetto, realtà : così nasce una impresa.

L’abito che ho scelto per introdurre l’intervista a Christian Loor Loor è “La dama con l’ermellino”, realizzato dal Laboratorio sartoriale di ‘Catena in movimento’, all’interno della ‘II Casa di reclusione di Milano Bollate’ per la Mostra “Leonardo prigioniero del volo” www.leonardoprigionierodelvolo.com presentata recentemente a Palazzo Morando a Milano, ed a cui hanno collaborato “Il Teatro della Moda”, Industrie Ratti SpA, il Comune di Milano e stilisti già affermati. I trenta abiti rimarranno in vendita ‘ad asta pubblica’ fino a fine marzo 2020 : il ricavato sarà devoluto a V.ID.A.S. per il primo hospice pediatrico  in Lombardia./ Riferim. Illustraz.: 0_5443678_125008.png

 

 

Ecco la descrizione dell’abito presentato a Palazzo Morando :

“…Questa opera mi ha colpito per la naturalità e la delicatezza che riesce a trasmettere, qualità che vanno oltre la bellezza.

Cecilia Gallerani, soggetto del dipinto del Maestro, era figlia di un nobile milanese molto facoltoso.

Prendendo lei come musa ispiratrice, ho voluto rendere omaggio sia alla bellezza delle donne milanesi sia a Milano, la città che accoglie questa mostra e in cui Leonardo ha lavorato.

Dal punto di vista tecnico ho disegnato un abito molto semplice, seguendo un taglio a sirena molto lungo e con una semi-campana nella parte inferiore dell’abito. Questa scelta è stata fatta per

sottolineare le forme femminili delle donne.

Ho anche progettato una scollatura da un lato, mentre dall’altro ci sarà una manica sporgente con dettagli realizzati in manipolazione di tessuto e ricami di pietre semi preziose.

Tutto attorno al corpo del vestito si avvolge l’ermellino, come nel disegno. Nella parte davanti dell’abito è stato dipinto il volto della “Dama”.

Il tessuto che ho scelto per questo abito è di seta molto delicata, in color oro lucido.

L’ermellino è stato realizzato in una tonalità più scura e con pelliccia artificiale.

Ho scelto di collaborare per la creazione di questo abito con gli artisti del laboratorio di Artemisia, i quali si sono occupati di dipingere il volto della dama sul tessuto.”

 

L’idea di questa intervista è nata grazie alla conversazione con Christian Loor Loor che si è offerto di guidarmi a Palazzo Morando, fra gli abiti realizzati ed esposti a “Leonardo prigioniero del volo” : mi ha spiegato l’origine di questo Progetto e la straordinaria collaborazione che ne è scaturita fra i giovani detenuti della ‘II Casa di reclusione di Milano Bollate’, gli allievi di “Il Teatro della Moda” e stilisti già affermati che hanno voluto partecipare.

L’idea del progetto è stata infatti di Christian Loor Loor, che ha saputo proporlo alla dottoressa Simona Gallo, funzionario giuridico-pedagogico ed incaricata dal Ministero di Giustizia presso la ‘II Casa di Reclusione di Milano Bollate’ : grazie a Simona Gallo la proposta ha ottenuto l’autorizzazione necessaria per iniziarne la realizzazione.

Regista e reale coreografo dietro le quinte del Progetto, come normalmente avviene nella realtà, Christian Loor Loor ha saputo quindi coinvolgere i compagni del Laboratorio sartoriale da lui già avviato per ‘Catena in movimento’, iniziativa di alcuni detenuti di Milano Bollate nell’ambito di “Giustizia riparativa” prevista dal nostro Ordinamento : ed ha saputo richiamare e trovare collaborazioni all’esterno, quali l’assistenza formativa di “Il Teatro della Moda”, l’offerta di Industrie Ratti Spa che ha fornito tessuti e stoffe al Laboratorio sartoriale, il patrocinio del Comune di Milano e l’ospitalità presso Palazzo Morando fino ad ottenere il raffinato risultato di una Mostra con numerosi partners sociali che si propone di supportare, con il ricavato della vendita ‘ad asta pubblica’ degli abiti il primo hospice pediatrico di Lombardia voluto da V.I.D.A.S., Onlus per l’assistenza gratuita ai malati inguaribili.

 

  1. Com’è nato il titolo della Mostra, “Leonardo, prigioniero del volo ?”

C.L.L. Anzitutto grazie per l'attenzione dimostrata dall'opinione pubblica e da chi è venuto a visitare la mostra, il nostro è stato uno sforzo di quasi 140 persone, sicuramente ognuna di queste persone ha esperienze ricche da raccontare riguardo al proprio impegno nella realizzazione del Progetto.

Noi siamo un gruppo, una squadra di calcio mi viene da dire, il nostro Mister è  la Dott.ssa Simona Gallo. Noi insieme abbiamo scelto di denominare il progetto “Leonardo prigioniero del volo” perché troviamo una relazione diretta tra noi "detenuti", in quanto soggetti in stato detentivo, reclusi, chiusi, etc., e Leonardo da Vinci con il suo sogno, quasi una ossessione di "volare"… Nella nostra esperienza, fin dal primo istante in cui una persona viene arrestata, e quindi messa nello stato detentivo ha un solo pensiero, ricorrente e molto presente nella testa, costantemente… "Avere le ali e volare". Questa fase della detenzione, in cui desideriamo tutti di volare fuori dalla cella detentiva attraverso le sbarre è molto lunga e ci accompagna per anni. Inoltre, abbiamo immaginato la vita di Leonardo da Vinci immerso nella costante ricerca della possibilità e della dinamica del volare, una vita, la sua, quasi vissuta come una prigionia, così ci è sembrato.

 

D Che posto ha, nel quotidiano l’attività creativa – intendendo musica, pittura, danza, poesia, ricamo e altro… ? Distrae e allontana dalla realtà, o aiuta a vivere meglio? In che modo?

Posso parlati delle attività che come gruppo "Catena in Movimento" abbiamo svolto in specifico con questo Progetto : per me, il cucito e il ricamo, all'interno del contesto carcerario può essere paragonato alla poetica narrazione di Penelope. Cioè, mi vedo e vedo i miei compagni di gruppo come "gli uomini Penelope del carcere di Bollate" : sicuramente dedicare ore, giornate, settimane e mesi a questa attività distrae e in certa maniera riusciamo ad ingannare il tempo, come faceva Penelope nell'Odissea di Ulisse, forse però non ci accorgiamo di tutta la ricchezza che tutto questo ci lascia…

C'è chi impara qualcosa di nuovo, c'è chi scopre una passione nascosta, ci sono gli scambi di idee, le interazioni tra di noi, ci sono i confronti con le realtà esterne a noi, ci sono dinamiche che dobbiamo imporci, del tipo : l'impegno e la disciplina per avere i risultati.

Ci sono gli sbagli e gli errori che ci permettono di accettare e capire umilmente quali sono le nostre risorse, i nostri limiti e le nostre debolezze, e soprattutto che cosa dobbiamo fare singolarmente, e come gruppo, per migliorare o per raggiungere gli obiettivi.

Il progetto di ‘Catena in Movimento’, che è stato avviato grazie all'impegno della ‘II° Casa di Reclusione’ di Milano – Bollate e specificamente della Dr.ssa Simona Gallo, la nostra coordinatrice e referente - ci dà la possibilità di mettere in azione queste dinamiche, che formano parte del programma di rieducazione e trattamento, e che ci offre nuove risorse per il nostro reinserimento nelle relazioni quotidiane al di fuori dello stato di detenzione. 

 

  1. Che posto ha il silenzio nella vita quotidiana? Aiuta nel lavoro, oppure no?

Il silenzio è poesia. La narrazione di questo progetto è poetico : quando mi chiedi del silenzio, penso con nostalgia ai momenti in cui osservavo tutti i miei compagni, come in una danza corale, si sono dedicati ognuno nella propria azione specifica a creare gli abiti ispirati a Leonardo da Vinci. Il silenzio per noi, "detenuti" è necessario anche se, purtroppo, abbiamo sempre qualcosa da dire : forse è la sofferenza, o la non soddisfazione di ciò che accade, il non sentirci conformi con tutto ciò che avviene, allora abbiamo bisogno di "manifestare" e quasi "urlare", il nostro pensiero e le nostre emozioni (parlo per me e per i miei compagni di gruppo).

Ogni essere umano trova il sistema, il canale o il metodo di come manifestarsi, noi siamo una catena umana che insieme abbiamo qualcosa da dire : il nostro motto è fare la differenza.

Vorremo essere dei detenuti che facciamo la differenza (in senso positivo), la differenza nella nostra e nella storia in generale del sistema penitenziario, abbiamo iniziato qui a Bollate desiderosi di essere replicati ovunque. 

 

  1. Quali riconosce come Suoi talenti, anche provenienti dal passato ?  Ha scoperto ora nuovi talenti ? Come li sta investendo, usando?

Quando entrai in carcere, il 25 gennaio del 2012, fin dal primo momento dissi a me stesso: "Devo fare da questa situazione una esperienza  ricca e straordinaria, senza immaginare che sarei rimasto dentro tutti questi anni. 

Io vengo da una Scuola di recitazione e Teatro, sono drammaturgo e regista di Teatro : dunque fin da bambino sono alla ricerca del nuovo e dello sconosciuto riguardo all'essere umano e alla nostra società; vivere le esperienze dalle quali io possa creare qualcosa è una necessità di vitale importanza, non potrei vivere se non potessi creare.

Questi otto anni di detenzione sono stati ricchissimi di esperienze, è stata la stagione più produttiva della mia vita come essere umano : ho seminato, ho raccolto annate straordinarie. Ho avuto l'opportunità di smontare il mio "io", pezzo per pezzo e l'ho ricostruito nuovamente, purtroppo sono diventato un gigante.

Ora non sono più "io", sono "noi", e mi piace di più, questo è il talento che ho scoperto in carcere. 

 

  1. In Mostra c’era un abito molto bello con l’applicazione di ruote ricamate : il lavoro di preparazione di abiti così eleganti muove anche la rappresentazione di sé ? In che modo ?

Questo abito è ispirato al sistema meccanico dell'ingranaggi (presentato su www.tutorsalus.net il 7 marzo scorso - ndr) che Leonardo da Vinci inventò : il nostro compagno di gruppo che lo scelse come soggetto di ispirazione per realizzare l'abito di cui mi parli, trovò una relazione filosofica tra "gli ingranaggi" e il suo stato detentivo e il programma di reinserimento all'esterno delle mura carcerarie. Lui vide sé stesso nel movimento delle ruote dell'ingranaggio : infatti, rilevava lui come una piccola rotella spinge le altre rotelline e crea un movimento continuo. Per l'autore di questo lavoro d'arte, ognuno di noi ha degli ingranaggi, in senso rappresentativo, e sono queste rotelline a mettere in atto le nostre azioni che formano il percorso di rieducazione..

 

“Ognuno di noi ha degli ingranaggi…” è l’inizio fecondo di ogni reale lavoro individuale - con profitto, cioè - che la scelta di un partner favorisce, oppure corrompe. La libertà del volo, a parer mio comincia proprio da qui : il mulino delle idee è ‘io’, infatti.

 

 

                                                     Marina Bilotta Membretti, Cernusco sul Naviglio 21 marzo 2020

 

Conversazione con… Francesco Bertini.

Suonare sull'acqua.

Nella foto di Federico Giussani, Francesco Bertini suona presso la chiesa della Misericordia di Grosseto (GR) il 13 aprile 2019, in occasione del concerto “I talenti musicali della Maremma”/ 6° Festival musicale internazionale di Grosseto, “Recondite Armonie”.

 

 



Ho potuto ascoltare Francesco Bertini a Milano, il 29 novembre 2019 grazie all’Associazione ‘Amici del Loggione del Teatro Alla Scala’ : nel video, condiviso dalla sua pagina Facebook che riprende quel concerto, Francesco Bertini interpreta “Il volo del calabrone” (interludio dell’opera ‘La favola dello zar Saltan’, di Nikolaj Andreevic Rimskij-Korsakov / 1899-1900).

Sarà forse l’essere così prossimo al mare, che per Francesco Bertini – vent’anni appena compiuti, essendo nato a Pisa il 14 gennaio 2000 – è il bel Mar Tirreno, certo è che la musica che ottiene con eccellente virtuosismo dalle sue percussioni richiama fortemente le acque del mare, e le sonorità di un impressionismo musicale limpido e non emotivo.

“Si tratta di ‘percussioni classiche’…”, mi corregge senza saccenteria, “quelle che si studiano al Conservatorio, quando si decide di avvicinarsi a questi strumenti”.
Non ancora compositore di brani, si è accorto però molto presto, da bambino, di un suo talento che negli anni lo ha portato ad interpretare col suo strumento preferito, la ‘marimba’ , una vasta gamma di brani provenienti sia dal repertorio originale per quegli strumenti, sia dal repertorio di ‘musica classica’ scritta in origine per un qualsiasi altro strumento, tipo la chitarra, il violoncello, il violino o persino per il pianoforte.
 
“Il pianoforte è quello più difficile da trascrivere”, ammette Francesco Bertini, “il problema principale è la quantità di note che il pianoforte può suonare simultaneamente (10, ovvero le 10 dita) contro quelle che può suonare la marimba (4 per le 4 bacchette)”

D. Le è mai capitato di sentirsi dare del ‘genio’? Cosa ha pensato ?
F.B. : Beh, devo dire che è capitato spesso.
Ovviamente fa sempre piacere ricevere apprezzamenti di questo tipo - non che gli altri apprezzamenti dispiacciano - però lo trovo un po' eccessivo... Personalmente non mi ritengo affatto un genio, bensì un ragazzo che ha avuto la fortuna di conoscere la propria passione in età abbastanza precoce, all'età di otto anni ricordo, e che ha dedicato tutte le sue energie per far diventare quella passione il proprio obiettivo di vita.
Forse avrò un talento particolare per questo tipo di strumenti, ma sicuramente il merito va anche e soprattutto alle molte ore di studio.

D. A cosa si collega la scelta delle percussioni, e specialmente della marimba che Lei suona così spesso? Ha un suono gradevolissimo.
F.B.: La scelta che ho fatto è collegata al mio primo amore: la batteria. Come ho detto prima, all'età di otto anni iniziai a prendere lezioni di batteria, ma dopo due anni tentai il nuovo indirizzo della scuola di musica che frequentavo, ovvero quello di ‘musica classica’. Di conseguenza, a dieci anni iniziai lo studio delle percussioni orchestrali cominciando dallo ‘xilofono’, per poi passare al ‘vibrafono’ dopo due anni e, infine, alla ‘marimba’ all'età di sedici anni : ovviamente in questo lasso di tempo ho cominciato a studiare anche tutte le altre percussioni.
Da uno studio prettamente orchestrale, negli anni ho capito che la mia vera vocazione è quella del percussionista solista, capace di dimostrare che questi strumenti hanno delle potenzialità solistiche tali che sarebbe uno spreco relegarle al solo repertorio orchestrale, e che invece possono essere elevati a strumenti come il pianoforte o il violino, strumenti solistici per eccellenza, e questa "missione" – se posso chiamarla così - è ciò che più mi appaga : giorno dopo giorno, sono sempre più convinto della scelta, anzi ‘delle scelte’ che ho fatto.
più limpido e raffinato, le zucche vuote sono state sostituite con tubi di acciaio intonati alla medesima frequenza del tasto che lo sovrasta, cosicchè varia anche la loro lunghezza e la forma : basti vedere quelli di una marimba 5 ottave che nella parte dei suoni ‘gravi’ – sono i suoni bassi, ndr - diventano rettangolari. Non ho mai costruito nessuno degli strumenti che suono, perché la loro produzione richiede ormai una tecnica avanzata e quindi servono macchinari che solo le grandi aziende possiedono, ma ci sono anche alcuni passaggi artigianali.

La ‘marimba’ è uno strumento simile allo xilofono originario dall’Africa e poi esportato nelle Americhe, oggi diffuso soprattutto negli U.S.A, e noto per la sua capacità di produrre una sonorità speciale, viva e leggera : anche tecnicamente è stato molto perfezionato perché arriva ad avere 61 o 52 tasti, rispetto ai circa 10 tasti dei primi strumenti.

D. Tecnicamente i suoi strumenti sono prodotti artigianalmente?
F.B.: In origine il suono della marimba era prodotto da tavolette disposte dalla più grave alla più acuta, ma non intonate e poste sopra zucche vuote, come risonatori.
Oggi il principio rimane lo stesso, ma le tavolette sono trattate ed intonate e, per amplificare il suono e ottenere qualcosa di più limpido e raffinato, le zucche vuote sono state sostituite con tubi di acciaio intonati alla medesima frequenza del tasto che lo sovrasta, cosicchè varia anche la loro lunghezza e la forma : basti vedere quelli di una marimba 5 ottave che nella parte dei suoni ‘gravi’ – sono i suoni bassi, ndr - diventano rettangolari. Non ho mai costruito nessuno degli strumenti che suono, perché la loro produzione richiede ormai una tecnica avanzata e quindi servono macchinari che solo le grandi aziende possiedono, ma ci sono anche alcuni passaggi artigianali.

D. Eccellente musicista, ma non solo : Lei ha ottenuto anche ottimi risultati scolastici, con una votazione di 100/100 con lode all’esame di Maturità classica che ha sostenuto nel 2019.
Come affronta il lavoro quotidiano a cui molti, fra i suoi stessi coetanei e non solo, si avvicinano con tempi mediamente lunghi ?
F.B.: Beh, sicuramente non è facile, e non lo è mai stato. Devo dedicare l'intera giornata ad uno studio organizzato al meglio e sacrificare cose che sicuramente fanno piacere - perlomeno alla mia età - ma che, secondo me, non portano giovamento... La cosa più importante rimane quella di avere un obiettivo ben chiaro nella mente e lottare con ogni mezzo per raggiungerlo.
La passione e la volontà per ottenerlo fanno sì che i piccoli sacrifici di cui parlavo e le molte ore dedicate allo studio non gravino sulla quotidianità e non creino, quindi, un peso.

D. Suonare, quindi che cosa è per Lei ?
F.B.: …Scopro un altro pezzo di me stesso, non so dirlo altrimenti.

E con questa conclusione, che suona promettente prospettiva come già fu per Cristoforo Colombo, eccellente italiano scopritore di nuovi mondi, ci congratuliamo con Francesco Bertini, augurandogli  il meglio per la sua stessa professione.                                                                                                   

Cenni biografici e principali traguardi professionali.
Dopo la scoperta della batteria a otto anni e, due anni dopo, l’inizio di un vero percorso di studi sulle percussioni, nel 2014 Francesco Bertini si iscrive al Liceo Musicale del Polo Bianciardi di Grosseto : nella primavera del 2015 partecipa, come solista con lo xilofono, a tre concorsi nazionali ed internazionali (Concorso Nazionale Città di Scandicci, Concorso Internazionale Città di Tarquinia e Concorso Internazionale a Narni) ottenendo il primo premio a tutti. Il Liceo che frequenta, lo invita a partecipare al Festival Internazionale di Scansano per un’esibizione in rappresentanza dell’Istituto. Ancora nel 2015 partecipa alla selezione per la “Orchestra Studentesca Regione Toscana” della Re.Mu.To., entrando a far parte dei percussionisti di quella formazione, evento che si ripeterà nel 2016 e nel 2017.

Nel 2016 :
1. Riceve un riconoscimento da parte del Comune di Campiglia Marittima per la sua attività nell’ambito musicale, riconoscimento che gli sarà rilasciato anche l’anno successivo.
2. Al Festival Internazionale di Scansano riceve il riconoscimento come uno dei cinque migliori giovani musicisti della Toscana.
3. Partecipa a quattro Concorsi Nazionali ed Internazionali (Concorso Nazionale Città di Scandicci, Concorso Internazionale Città di Tarquinia, Concorso Nazionale Città di Vinci e Concorso Nazionale Città di San Vincenzo) sempre solista con lo xilofono, vincendo il primo premio a tutti e quattro.
4. E’ chiamato dalla “Arcadia Wind Orchestra” a suonare i timpani e partecipa a due concerti nello stesso anno e tre in quello successivo (2017).
5. In occasione del concerto di Natale 2016, la Filarmonica della città di Grosseto lo invita a partecipare come solista con lo xilofono (concerto poi trasmesso su rete televisiva regionale).

Nel 2017 :
1. Forma un duo pianoforte e xilofono e partecipa a sei concorsi nazionali e internazionali (Concorso Nazionale Città di Piombino, Concorso Internazionale città di Tarquinia, Concorso Nazionale Città di Sinalunga, Concorso Nazionale Città di Vinci, Concorso Nazionale Città di San Vincenzo ed infine Concorso Internazionale (a livello mondiale) a Narni in occasione del Festival “Narnia Arts Academy”) vincendo il primo premio a tutti e sei, fra i quali tre primi premi assoluti con relativa borsa di studio (Vinci, San Vincenzo e Narni) e un premio della critica a Tarquinia.
2. Il 6 ottobre tiene il suo primo concerto come solista all’interno della stagione concertistica “Ferruccio Busoni” nella Sala Vanni a Firenze suonando xilofono, marimba e vibrano.
3. Inizia anche gli studi presso l’Istituto Superiore di Studi Musicali “P. Mascagni” con il maestro Jonathan Faralli.
4. In dicembre : suona all'interno dell'Orchestra Sinfonica di Grosseto e nel Coro Lirico della Versilia e canta all'interno della Sala d'Oro del teatro Musikverein di Vienna; successivamente tiene, nel castello Aldobrandesco di Manciano un altro concerto solista per l'apertura del festival internazionale musicale "Morellino Classica" con xilofono, marimba e vibrafono.

Nel 2018 :
1. In gennaio viene nuovamente premiato dal Comune di Campiglia Marittima per i numerosi concerti tenuti e gli ottimi risultati.
2. In marzo viene invitato ad inaugurare, con marimba e vibrafono solisti, il festival musicale internazionale “Recondite Armonie" a Grosseto.
3. Il 7 e il 15 aprile è chiamato a suonare nell'organico dell'Orchestra sinfonica “Città di Grosseto” per suonare la sinfonia n. 9 di Ludwig van Beethoven, rispettivamente all'interno della basilica di “Santa Maria in Aracoeli" a Roma e al teatro “Moderno" di Grosseto; partecipa poi al Concorso musicale internazionale “Città di Scandicci" ottenendo il 1° premio.
4. In maggio è chiamato a suonare, rispettivamente solista e in duo, prima a Firenzuola poi a Bibbona; partecipa al Concorso nazionale “Città di San Vincenzo” ottenendo il 1° premio.
5. Partecipa e supera l’audizione per la “Vivace Youth Symphonic Orchestra" di Grosseto, entrando, così, a farne parte come timpanista e percussionista.
6. Giugno, luglio e agosto : partecipa come solista e col duo a Campagnatico; vince il 1° premio assoluto al Concorso internazionale "Narnia Arts Academy – Olimpiadi della Musica"; suona a Roselle, Pescara e Perugia la "Madama Butterfly" di Giacomo Puccini, con la "Orchestra sinfonica Città di Grosseto".
7. In settembre : si iscrive al 1°anno del triennio accademico dell'indirizzo "Strumenti a percussione", sempre presso l’Istituto Superiore di Studi Musicali “P. Mascagni”; partecipa alla Masterclass dei maestri Jonathan Faralli e Christian Hamouy sul repertorio moderno e specificamente sui brani eseguiti da “Les percussions de Strasbourg”, gruppo del quale fanno parte entrambi i maestri.
8. In novembre partecipa come timpanista nella produzione, ad opera della Filarmonica “G. Pozzi" di Santa Fiora, dell’Opera “La Traviata” di Giuseppe Verdi.
9. In dicembre torna sul palco del ‘Musikverein’ di Vienna con l'Orchestra sinfonica Città di Lucca diretta dal maestro Andrea Colombini e la corale lirica della Versilia.

Nel 2019 :
1. In gennaio partecipa come allievo effettivo alla Masterclass di percussioni del maestro Simone Rubino presso la Scuola di musica di Fiesole.
2. Partecipa al Concorso Musicale Internazionale “Città di Tarquinia" e ottiene il 1°premio, il premio per la migliore esecuzione originale (3 assegnati su 1370 partecipanti), il premio della critica dell'Istituto Sacconi di Tarquinia (1 assegnato su 1370 partecipanti).
3. Da aprile è il timpanista della nuova “Orchestra Giovanile Toscana".
4. In giugno è chiamato a suonare in un concerto solistico nella stagione concertistica organizzata dalla pro-loco di Campagnatico, concerto che ripeterà il 1° agosto, quando è invitato a tenere anche un concerto privato in Villa a Magliano in Toscana (GR), presenti critici musicali e personaggi dello spettacolo.
5. In luglio ed agosto partecipa alla produzione in 3 repliche di “Turandot” e “Bohème” di Giacomo Puccini presso il “Gran Teatro Giacomo Puccini” di Torre del Lago nell’organico dell’Orchestra del Teatro stesso; è impegnato con l’orchestra “Vivace Youth Orchestra” di Grosseto per un concerto all’interno del Cassero Senese di Grosseto.
6. In settembre è chiamato a partecipare al Galà lirico dell’Orchestra “Città di Lucca” con il coro lirico della Versilia; è in concerto in duo con Niccolò Governi (pianoforte) presso l’Aula Magna del Liceo musical di Grosseto nella stagione concertistica dell’associazione “A.Gi.Mus.”.
7. In ottobre partecipa ad una produzione con la “Vivace Youth Orchestra” di Grosseto.
8. In novembre è invitato a tenere un concerto solista a Milano presso la sala dell’Associazione “Amici del Loggione del Scala di Milano”.
9. In dicembre partecipa a 2 produzioni con la “Arcadia Wind Orchestra” nel ruolo di timpanista; è invitato a suonare in un evento del Club Lions “Grosseto Host”.
Nel 2020:
1. Il 2 gennaio è chiamato a suonare nell’organico della “S Clarinet Orchestra”, Orchestra di clarinetti di Tokyo.
2. Il 27 gennaio, in occasione della “Giornata della Memoria” ha suonato con “Vivace Youth Orchestra” di Grosseto, in collaborazione col Liceo musicale e presso l’Aula Magna del Liceo, realizzando la messa in scena dell’Operetta in due atti “Brundibàr” del compositore ebreo Hans Kràsa, che la scrisse e mise in scena nel 1943 nel Campo di concentramento di Theresienstadt, presenti i bambini internati nel Campo.



Marina Bilotta Membretti, Cernusco sul Naviglio 21 febbraio 2020                                                                                       

Soluzioni costruttive.

Un intervento di Marco Ruffilli a Milano, 9 novembre 2019

Nella foto, particolare del glkhatun (XIII secolo d.C.) nel Monastero dei Santi Apostoli (Surb Arakelots Vank) presso Kirants (provincia del Tavush, nord dell'Armenia).

 

 

Un intervento di Marco Ruffilli[1] a Milano, nel corso dell’annuale (XXIII) Seminario Armenistico Italiano dell’Associazione Culturale Padus-Araxes (MIlano, 9 novembre 2019).

 

 

Circondati come spesso siamo dai ‘già detto’, non facilmente riconosciamo l’inedito, reale novità.

Non solo una singolarità dell’architettura medioevale, e oltre, ha presentato Marco Ruffilli lo scorso 9 novembre a Milano[2], nel suo ricco intervento: perché lavorando sui testi e i documenti prodotti da Giulio Ieni[3], studioso colto e poliedrico che si rammarica di non aver potuto conoscere di persona, Marco Ruffilli ha individuato un tema significativo, tuttora in parte trascurato che riguarda il glkhatun armeno (o darbazi georgiano), “caratteristica soluzione di copertura di un vano quadrato […] risolta mediante un sistema di lastre in pietra o, assai più spesso, di tavole lignee e travi che, sovrapposte sfalsate con un progressivo aggetto, disposte in parallelo o ruotate ad angolo di 45°, riducono la luce d’imposta attraverso orizzontamenti successivi, restringendola gradualmente verso l’alto”[4].

Una soluzione escogitata dalle maestranze balcaniche e transcaucasiche, rinomate per la loro competenza nel costruire, ma “rarissima nel mondo bizantino” e che perciò “sconta una fama periferica e popolare”, ha spiegato Ruffilli.

“Intendiamo soffermarci in questa sede [...] su qualche [...] esempio balcanico mal conosciuto – insiste Giulio Ieni – e che pure presenta coperture siffatte: la chiesa di Agios Theodosios [XII sec.] presso Panariti in Argolide, Grecia, quella di Shën Gjrgji [XVI-XVII sec] a Dema in Albania, e la singolare cucina  (magernica) [ante XIX sec.] del monastero di Rila, nella Bulgaria occidentale”[5].

Continua Ieni: “Si tratta di una soluzione ingegnosa che risponde appieno all’esigenza funzionale contingente con un rigore geometrico e un’eleganza formale del tutto esemplari.

Anche in questo caso [delle cucine, n.d.A.], tuttavia, non è chiaro quale potesse essere il prototipo d’origine, dal quale doveva derivare una configurazione generale tanto evoluta e, pur sempre, isolata nella produzione architettonica locale. Non certamente dall’antica tradizione tracia, che dobbiamo anzi considerare obiettivamente perduta con le invasioni slave e proto-bulgare nella penisola balcanica; non dalla tradizione bizantina od ottomana, in cui ambienti similari venivano solitamente coperti mediante una calotta sferica o una volta conica provviste di uno sfiatatoio in chiave; forse dalla pratica costruttiva moldo-valacca che ricorreva talora a realizzazioni analoghe, seppure più modeste, come nel caso della cucina del monastero di Văcăreşti a Bucarest, XVII-XVIII secolo […]”[6].

“Donde provenga un simile procedimento tecnico, del tutto eccezionale in ambito bizantino, ove era invece generalizzato il ricorso ai pennacchi sferici per ogni possibile raccordo fra quadrato di base e cerchio d’imposta, non è affatto semplice, al momento, definire con esattezza”[7].

D’altra parte l’oggetto architettonico non occupa solo il posto di soluzione contingente ma anche di prototipo per ideazioni future[8]: il lavoro umano, traducendo la realtà in ‘reale’, rendendola cioè fruibile, si fa oggetto che può essere osservato soppesato superato. È "il tema – spiega Ruffilli – dell'architettura ‘raffigurata’, che Ieni affronta considerando sia la presenza del modello della chiesa all’interno della scena votiva [...], in una dimensione dunque meta-artistica (arte che raffigura altra arte), sia la funzione pratica del modello nella prospettiva dell’artefice”.

In un articolo recente, Ruffilli ha esaminato le origini critico-filosofiche della metafora del cristallo utilizzata da Cesare Brandi per illustrare l'architettura armena[9]. Brandi ribadisce nel 1968 la relazione storica tra architettura europea medioevale e architettura armena − da altri in quegli anni ridimensionata − sulla base “di un rapporto, che anche storicamente ci fu all’epoca delle Crociate, quando l’Armenia era l’unico stato cristiano che sovvenisse ai crociati”[10].

“La metafora [...] del cristallo [...] rende ragione della particolare volumetria delle chiese armene […] e sicuramente possiede un pregio evocativo tale da richiamare subito l’accuratezza della struttura e la perfezione delle forme”[11]. Brandi vi ravvisa un'astrazione alla quale del resto, nella teoria dell'arte, già Wilhelm Worringer aveva attribuito "il compito primario di rappacificare l’uomo con la natura, facendosi criterio d’ordine, di sistemazione nello spazio, tale da non lasciare margini d’inquietudine”[12].

Allo stesso modo, per indicare la densità delle questioni che pone il khatchkar – la tradizionale stele con la croce scolpita, diffusa nei territori tradizionalmente abitati dagli Armeni e talvolta installata anche in diaspora[13] – Giulio Ieni afferma che “bisogna ricorrere ai parametri del pensiero arcaico che contraddistinguono perennemente vaste zone dell’umano”[14].

Ed è qui, a mio avviso che lo studioso attinge ragionevolmente all'esperienza onirica neonatale, quella che fonda i costrutti mentali delle età successive e i pensieri strutturati dal linguaggio : secondo sentieri trascurati dall’inconscio e sfuggiti al consapevole, ma non imperscrutabili perché presenti e fruibili nella meta che offrono.

 

Marina Bilotta Membretti, Cernusco sul Naviglio 8 febbraio 2020

 

 

[1] Marco Ruffilli è laureato in Lettere Classiche all'Università degli Studi di Milano e in Lingue e Culture del Mediterraneo e del Medio Oriente all'Università Ca' Foscari di Venezia. Svolge un dottorato di ricerca all'Università di Ginevra e ha ideato il Seminario sull'Arte Armena che ha luogo ogni anno accademico presso l'Università Ca' Foscari.

[2] Nel corso dell’annuale (XXIII) Seminario Armenistico Italiano dell’Associazione Culturale Padus-Araxes.                                  

[3] Giulio Ieni (1943-2003), archeologo, storico dell'arte e dell'architettura, ha dedicato i suoi studi soprattutto al mondo bizantino, balcanico, armeno e georgiano, oltre che ad alcuni complessi monumentali del Monferrato.

[4] G. Ieni, Alcune soluzioni costruttive fra Armenia e Regione Balcanica, "Bazmavep. Revue d'études arméniennes" 3-4 (1981), pp. 412-423, poi in Giulio Ieni (1943-2003). Il senso dell'architettura e la maestria della parola, a c. di C. Devoti, A. Perin, C. Solarino, C.E. Spantigati, Edizioni dell'Orso, Alessandria 2015 (Fuori Collana, 149), pp. 65-73: p. 65.

[5] Ivi, p. 70.

[6] Ivi, p. 72.

[7] Ivi, p. 71.

[8] G. Ieni, La rappresentazione dell’oggetto architettonico nell’arte medievale, con riferimento particolare ai modelli di architettura caucasici, in Atti del I Simposio di Arte Armena (Bergamo, 28-30 giugno 1975), a c. di G. Ieni & B.L. Zekiyan, Tipografia Armena di San Lazzaro, Venezia 1978, pp. 247-264.

[9] M. Ruffilli, Una fortunata metafora di Cesare Brandi: le «chiese di cristallo» degli Armeni, “Venezia Arti” 27 (2018), pp. 131-139.

[10] C. Brandi, Una mostra di architettura medioevale a Roma. Le chiese di cristallo. Gli edifici armeni costruiti intorno al decimo secolo presentano assonanze con l’edilizia sacra romanica e gotica – Un catalogo che stimola le polemiche,  "Corriere della Sera", 5 luglio 1968, p. 3. È la recensione che Brandi fece della mostra fotografica di edifici armeni (Roma, 10-30 giugno 1968), allestita per documentare i risultati della missione in Armenia dell'Università La Sapienza.

[11] Ruffilli, Una fortunata metafora di Cesare Brandi..., cit., p. 132.

[12] Ivi, p. 134.

[13] Così anche a Milano, in piazza Sant'Ambrogio. Queste stele sono un vero simbolo dell'identità armena, a tal punto che quelle del cimitero di Giulfa, nell'exclave azera del Nakhicevan, sono state oggetto, per ordine delle autorità dell'Azerbaigian, di una distruzione sistematica tra il 1998 e il 2005.

[14] G. Ieni, "L’arte dei Khatchkar", introd. a Id., Khatchkar: croci di pietra armene/Armenian Cross-Stones/Croix en pierre arméniennes, cat. della mostra, s.n., Venezia 1981, ora in Giulio Ieni (1943-2003)..., cit., pp. 75-83: p. 81.

 

Renè Magritte[1] : une belle difference.

Renè Magritte (1899 Lessines / Belgio, 1966 Bruxelles) fu uno dei maggiori rappresentanti del ‘surrealismo‘ in pittura, movimento fondato da Andrè Breton che fu anche suo appassionato collezionista.

Illustrazione originale di Stefano Frassetto (6).

 

 

 

“Ecco Popaul, mio fratello che è un imbecille perchè non gliene importa nulla di nessuno, e Raymond che è anche peggio; questo è mio padre e quella, la governante, è la sua amante e questo è un figlio bastardo...“[2] 

Magritte ha diciannove anni quando con un amico si presenta a pranzo dal padre, apostrofando i presenti con insolenza : era ancora lo stesso Renè, però quattordicenne che si aggirava tutti pomeriggi al cimitero appena dopo il suicidio della madre Règina ? A novembre si sarebbe iscritto al liceo di Charleroi, ma pochissime sono le notizie di quegli anni su cui Magritte stesso evitava di  parlare, così come delle sue opere che si rifiutava di giustificare al pubblico. 

Nel 1916 incontra Georgette che sposerà nel 1921, finito il servizio militare e che sarà sua amata compagna per tutta la vita : la loro casa a Bruxelles divenne la sede del movimento surrealista in Belgio e dei sabato sera trascorsi a ballare nelle feste in maschera con gli amici restano alcuni video casalinghi in cui Magritte sorride, finalmente riposato.[3] 

Nel 1923, quando già esponeva quadri, resta profondamente colpito dal “Canto d’amore“ dipinto nel 1914 da Giorgio De Chirico che Magritte vede al MOMA di New York e che, solo nel 1938 commenterà nei suoi “Ecrìts“ : “Questa poesia trionfante ha sostituito l’effetto stereotipato della pittura tradizionale. E‘ una completa rottura con le abitudini mentali proprie degli artisti prigionieri del talento, del virtuosismo e di tutte le piccole specialità estetiche. E‘ una visione nuova nella quale lo spettatore ritrova il suo isolamento e ode il silenzio del mondo.“ 

Di questa novità che non lo fa dipendere da uno ‘stile‘ sebbene venga considerato uno dei maggiori rappresentanti del ‘surrealismo‘[4], il primo quadro di Magritte è “La finestra“ (1925) seguiti : da “Il doppio segreto“ (1927), “Tentativo impossibile“ (1928), “La risposta imprevista“ (1933), per citarne solo alcuni che segnarono il suo lavoro.

Ma le astruse regole dei surrealisti, che ruotavano attorno ad una religiosa sequela del fondatore Brèton e che già avevano provocato al gruppo scismi e divisioni, allontanarono Magritte e la moglie che nel 1929 tornarono in Belgio, anche per ragioni economiche da Parigi dove per alcuni anni si erano stabiliti.

Nel 1934 lo stesso Brèton, forse preoccupato da una rottura con chi godeva già di un discreto successo, propose a Magritte di preparare la copertina per “Qu’est-ce que le Surrèalisme ?“ con la conferenza tenuta da Breton. E Magritte presentò a Brèton “Le viol“ (1934) con queste parole : “Spero che questo progetto di copertina vi piacerà; credo anche che sia eccellente da un punto di vista pubblicitario.“ 

Ironico e distante come solo l’onirico può, persino nella denuncia più feroce, in “Le viol“ Magritte bruscamente si arresta, calandosi nella parte a lui odiosa del sadico. Attraverso questo quadro dolorosissimo egli arriva, poco alla volta a ricostruire una responsabilità insospettata di Règina e del suo suicidio, di cui fin da quel lontanissimo 1912 Magritte si era ritenuto irragionevolmente  imputato, intorno a lui il silenzio greve ed ostinato di quanti sul gesto terribile di Règina non avevano voluto tornare, parlare, sciogliere. 

Magritte affronta in questo quadro, che ripeterà solo una volta e con maggior chiarezza nel 1945, un tema a lui nuovo, quello della difesa del corpo : e dovrà, con molta sofferenza ammettere che Règina, pur di mantenere il candore ingenuo dell‘ “anima bella“ aveva scelto di rinunciare a difendersi e, tacendo a rivolgere contro sè stessa le gravi responsabilità di altri. 

La ‘non‘ innocenza di Règina, e di ogni donna ingenua ma nello stesso tempo rigida nella sua ingenuità, allontana definitivamente Magritte dalla donna che ‘era stata‘ anche sua madre. 

E‘ un tema, quello della difesa del corpo femminile a cui l’arte ha dedicato moltissimo lavoro : il pittore rinascimentale Giorgione, affidando con una capacità davvero surreale la difesa della donna al partner maschile richiama ne “La tempesta“ (1502-1503) “Il tentativo impossibile“ (1928) di Magritte. 

E‘ la donna, secondo Magritte, che anzitutto rinuncia alla difesa offrendo l’ingenuità, persino solo virtualmente, di un nudo che le sarà fatale proprio nell’ostentare una ‘bella‘ in-differenza, cioè ‘nessuna-differenza‘, all’altro. 

La critica di Magritte, individuale forte e socialmente condivisibile, alla nevrosi si rende funzionale, da questa  sua prospettiva assolutamente nuova alla rinuncia al rapporto, ed a una partnership con l’altro quando la partnership sia affidata esclusivamente ad una funzionalità fallica, astratta ed imperativa e quindi ad una vigorosa resistenza ad imputare le offese. 

La seduzione ingenua, che nel successivo lavoro del 1945 viene accentuata dalla morbidità di un corpo femminile che si sovrappone alla indisponibilità del suo sguardo passa, nella ricostruzione di Magritte, attraverso la inespressività di un oggetto-che-non-imputa-nulla e che può quindi farsi immediatamente consumabile. Un tema, quello della ‘seducente indisponibilità‘ che trova, e tuttora nell’arte il suo pubblico di appassionati  : si pensi alle inquietanti muse dei ‘Preraffaelliti‘[5]

Quella capacità così frequente in Magritte di trasformare il grottesco dei ‘perchè‘ a cui egli non poteva rispondere nella leggerezza di un sospeso che rendesse ancora possibile trovare soluzioni manca quindi del tutto, e comprensibilmente in “Le viol“: ed il vuoto, in questo quadro ha un posto preciso dal quale segna lo spettatore.

 

                                                                                           Marina Bilotta Membretti, Cernusco sul Naviglio 9 gennaio 2020

 

 

 

[1] Renè Magritte (1898, Lessines (Belgio) – 1967, Bruxelles)

[2] “Renè Magritte. Catalogue raisonnè”, a cura di D. Sylvester e S. Whitefield, 5voll.; “Magritte”, a cura di D. Sylvester – Torino 1992; “R. Magritte. Ecrìts complets”, a cura di A. Blavier – Parigi 1979.

[3] Video presentati in occasione della mostra organizzata a Lugano dal MASI, 16 settembre 2018 – 6 gennaio 2019 “La ligne de vie“, titolo di una rara conferenza che Magritte tenne al Musèe Royal des Beaux-Arts d’Anverse (Belgio) in omaggio ai surrealisti ma parlando della propria opera.

[4] Il‘Surrealismo’ nacque in Francia negli anni ’20 come movimento d’avanguardia ed ispirò non solo la pittura ma anche la letteratura ed il cinema : tuttavia in Magritte non vi è quell‘automatismo psichico’ con cui i surrealisti indicavano l’inconscio.

[5] I tre maggiori pittori preraffaelliti furono : John Everett Millais, Dante Gabriel Rossetti e William Hunt. La Confraternita nacque, si sviluppò e si esaurì nella sola Gran Bretagna.

(6) Stefano Frassetto è nato a Torino nel 1968. Dopo la laurea in Architettura al Politecnico di Torino, ha iniziato come vignettista e disegnatore per alcuni giornali locali. A metà anni novanta ha cominciato a pubblicare anche in Francia, prima col mensile ‘Le Réverbère’ e in seguito col quotidiano ‘Libération’ : passato a sviluppare l’attività di fumettista col personaggio di Ippo per ‘Il Giornalino’ e poi la striscia ‘35MQ’ per il quotidiano svizzero ‘20 Minuti’, con l’anno 2000 fa il suo esordio su ‘La Stampa’ come ritrattista per le pagine culturali e per l’inserto ‘Tuttolibri’, poi per il settimanale culturale ‘Origami’. Oggi è anche ritrattista e illustratore presso il quotidiano svizzero ‘Le Temps’.

 

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