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Acchiappanebbia.

Sudafrica, giovani studentesse di College all’intervallo di ricreazione// Tratto dalla mostra ‘Sony World Photography Awards 2023’, uno dei concorsi più prestigiosi al mondo per la fotografia contemporanea (Milano, ‘Museo Diocesano Carlo Maria Martini’ 3 luglio – 3 settembre 2023). La gratuità del concorso permette a fotografi di tutto il mondo di trovare supporto al proprio talento: ai quattro concorsi previsti dalla edizione 2023 – Professional, Open, Student, Youth – hanno partecipato più di 415.000 immagini provenienti da oltre 200 paesi e territori.

Le ‘reti acchiappanebbia’ sono un progetto nato in Perù circa vent’anni fa da un metodo artigianale che sfrutta la condensazione delle nebbie climatiche per integrare la raccolta d’acqua nella città di Lima, fra le più colpite al mondo dalla siccità.

 

 

Una psicologia amica[1], come quella che ha sanato la propria estromissione - rimozione del principio di piacere - è finalmente capace di acchiappare le nebbie che altri calano su ‘io’, e liquidarle in provvida acqua al proprio mulino.

 

Marina Bilotta Membretti, Cernusco sul Naviglio 10 settembre 2023

 

 

[1] “E’ la capacità insita in una prima cittadinanza, i cui rapporti non attendono tutela dalle norme della seconda cittadinanza, comunemente nota come ‘diritto statuale’…”, ‘Il pensiero di natura. Dalla psicoanalisi al pensiero giuridico’, Giacomo B. Contri – SIC Edizioni (1998), pag. 26

Orgoglio.

‘Medea and Jason in My Blossoming Garden’ (2023), di Rafael Megall (Yerevan, Armenia – 1983) trittico, olio su tela: l’artista, che riprende con la tecnica dello stencil motivi floreali ed animali dalla iconografia armena, immagina Medea e Giasone nel Giardino dell’Eden per compensare la umiliazione di Medea-vittima in una società greca dove la ‘polis’ era espressione del potere assoluto maschile // Tratto dalla mostra d’arte contemporanea ‘Medea’, con opere di artisti italiani e stranieri che hanno accolto l’invito a presentare una loro specifica elaborazione, presso ‘Antico Mercato di Ortigia’, Siracusa / 5 maggio – 30 settembre 2023. A cura di Demetrio Paparoni e promossa dall’ Amministrazione comunale di Siracusa.

 

 

 

Ancora oggi sconcerta il successo plateale, ininterrotto della ‘Medea’ di Euripide (431 a.C.), orgoglio sovrumano e ideale fallico di una Cultura transnazionale che non conosce tempo.

 

Questa opera fu presentata alle Grandi Dionisie del 431 a.C. da Euripide, che si ritrovò classificato solo al terzo posto dopo Euforione e Sofocle. Pare che i giudici, fra i quali l’arconte stesso ma soprattutto il pubblico al quale spettava l’attribuzione del primo premio, non gradissero il trionfo di Medea, sprezzante dopo aver ucciso i propri figli e la giovane sposa di Giasone, che fuggiva sul carro (‘mechanè’) fornitole dal Sole (‘deus ex machina’). La storia era effettivamente una provocazione poichè Euripide rappresentava un eroe-donna, e tralasciando l’eroe risoluto di Sofocle ed Eschilo.

 

Nella società greca di allora, tutta incentrata sull’antagonismo, donne barbari e vinti erano tenuti ai margini. Ad essi si negava anzitutto l’identità personale, confermando con ciò la mono-sessualità della società greca. La donna dunque doveva dimostrare la sua esistenza con la maternità. Uomo versus donna esprime l’ostilità dell’uomo greco verso la donna, come emerge anche dai fatti di cronaca nera del tempo e come documenta l’affermazione di Giasone : “Sarebbe necessario che gli uomini generassero in altro modo i figli e che non ci fosse la stirpe femminile”.[1]

Antagonismo radicatissimo nella cultura che pure guarda al matrimonio come fondamento indiscutibile per la continuità ideologica e la successione dei patrimoni. Per il cittadino della ‘polis’, il matrimonio è un giuramento sacro agli dèi e dunque inviolabile, al punto da richiamarne la punizione quando venga infranto. Ma è anche il patto sociale che formalizza tale antagonismo : la donna resta senza identità personale né patrimonio, pur raggiungendo col matrimonio il massimo riconoscimento sociale. L’uomo, e quindi la società, le sono grati per gli eredi maschi che la donna potrà generare, alla propria famiglia ed alla ‘polis’.

 

“Più innamorata che saggia”, è l’offesa di Giasone a Medea che anticipa il nevrotico incantamento dell’innamorato ingenuo. L’antagonismo con ostilità da divorzio, è evidente nel lungo dibattito chiamato ‘Agone’. “Così è la stupidità della donna, nella debolezza della fatica.” Cogliendo la contraddizione fra antagonismo ed alleanza nel matrimonio,  come avvio della crisi nella società greca, Euripide arriva alla conseguenza estrema dell’infanticidio. Anche il giudizio di Euripide sul gesto di Medea lo espone alla contraddizione. Se la ‘polis’ infatti condanna la strage – le donne del Coro rappresentano la città di Corinto – gli dèi invece non la condannano, in quanto il giuramento del matrimonio è stato violato da Giasone. Medea quindi costituisce un’eccezione nel panorama piatto delle donne greche, perchè non accetta la violazione del giuramento.

 

L’uomo greco è timoroso verso la donna, con ostilità : Medea è ‘colei che escogita’ e ‘che sa trovare rimedi’, perfino depositaria di una sapienza divina – Medea è infatti nipote del dio Sole – ma è anche ‘colei che conosce pozioni magiche, veleni e sortilegi’. Il verbo è ‘medomai’, da cui deriva anche ‘madre. Preziosa, pericolosa, insostituibile. Che fare allora della donna ? 

Anzitutto non è sessualmente uomo. Deve dunque restare ‘futòn’, essere animato, ma al genere neutro come si usa per gli animali e naturali. “La via migliore e più rapida nella quale siamo sapienti per natura è il veleno…”[2] “Noi donne che per natura siamo incapaci di azioni nobili.”[3]

 

Medea è arrivata a pensare in proprio la vendetta, eppure viene assimilata ad un animale. Giasone la chiama “belva assassina”[4]; la Nutrice torna rassegnata avendo visto Medea “mutarsi in toro con sguardo di leonessa appena sgravata”[5]. Persino il re Creonte che con Medea ha un intenso dialogo da sovrano a sovrana, prima della strage la chiama “saggia di natura”, ma anche “esperta di molti mali”.[6]

Medea, nella quale Euripide si sostituisce, paragona sé stessa a quegli uomini portatori di nuova conoscenza che ottengono invidia dolorosa ed un giudizio di inutilità fino alla ostilità, soltanto perché non vengono compresi. E conferma[7] : “La giustizia non si trova negli occhi dei mortali… In lui (Giasone) erano per me affidate tutte quante (le donne)”. E poi : “Fra tutti gli esseri che hanno un’anima (‘psychè’) ed una ragione (‘gnomèn’), noi donne siamo i viventi (‘futòn’) più infelici !”[8]

 

Medea sposa Giasone con una libertà inedita per la società in cui vive : il giuramento del matrimonio è la loro stessa alleanza, non più antagonismo fra uomo e donna. Giasone è l’uomo nuovo che accoglie il pensiero della donna, in aiuto al proprio. “Questa è la più grande salvezza - quando la donna non è in conflitto con l’uomo…”[9] Alla Nutrice è affidata l’affermazione più audace nel Prologo dell’opera : Medea, figlia del re Eete di Colchide e nipote del dio Sole, entra in scena da sovrana invocando a testimoni gli dèi, del giuramento sponsale di cui lei e Giasone sono gli unici ministri. “Grida i giuramenti, invoca le destre…, la fedeltà suprema”.[10]

Giasone tuttavia spezzerà l’alleanza coniugale chiedendo in sposa Glauce, figlia del re Creonte di Corinto, imponendo a Medea di tornare ad essere l’amante non riconosciuta, femmina-senza-identità : un potere che la società greca riconosceva all’uomo.

 

Nella preparazione della strage, Medea parla come le donne della sua società, che accettano per legge l’umiliazione dell’uomo. “E’… necessario che noi (donne) ci compriamo uno sposo con un prezzo esagerato e questo è un male più doloroso di quell’altro”.[11] ‘Comprare uno sposo’ equivale a dire : comprare un documento d’identità. “Io venero Ecate dea dell’ombra (e morte) che abita la parte più nascosta, oscura della mia casa”[12] : la psicopatologia abita l’oscurità dell’inconscio,  senza giudizio e senza parola, emozione s-corporata dal pensiero, senza orientamento.

Ma il Coro delle donne di Corinto in aiuto a Medea, chiede alla Nutrice di chiamarla. “Dille anche queste parole amiche… portala fuori dalla casa prima che faccia del male a quelli che sono dentro…”. E Medea infatti : “Quando un uomo si annoia di stare con quelli di casa, esce fuori ponendo fine alla noia dell’animo, incontra un amico. Per noi (donne) al contrario è obbligatorio guardare una sola anima (‘psychè’) (quella dell’uomo cioè)…” Nella ‘agorà’ infatti, che era il centro pubblico della polis, solo gli uomini-cittadini possono incontrarsi e discutere di questioni politiche. L’ ‘oikòs’ - la casa - è il regno femminile dove le parole non servono, perchè le donne si esprimono con “gemiti e grida”. “Questo solo voglio da te - dice Medea al Coro - di tacere…”[13] La strage è preparata nel mutismo odiante, nel regno buio della non-parola.

 

Tuttavia, nonostante alcuni cedimenti Medea, che è nata sovrana ed è nipote del dio Sole, non è pazza d’amore e Giasone resta “il suo compagno di letto.”[14] Una contraddizione, perché soltanto una vittima umiliata arriva a sconfessare la competenza giuridica del proprio pensiero, accettando di non essere più Soggetto ma oggetto passivo : è questa la rimozione freudiana, che può arrivare all’omicidio e perfino alla strage.

L’angoscia della rimozione non produce pensiero, ma obbedienza odiante al volere dell’Altro, che è nemico del proprio pensiero e Capo dispotico. E l’angoscia muta, non elaborata, può solo essere sedata : perfino con l’uccisione, anche fisica. Il delitto materno è di una donna senza partner : l’amore ai figli passa attraverso l’amore al compagno. Oppure non è.

 

Euripide sottolinea che Medea è la donna-belva, ‘futòn’ e non essere umano. Medea tuttavia si riconosce sovrana e figlia di re, non ha dubbi sulla sua esistenza come Soggetto. Inoltre sa che gli dèi sono d’accordo con lei nel condannare la infedeltà di Giasone e così pure le donne di Corinto e la vecchia Nutrice. Nessuna donna, posta nelle sue stesse condizioni di dignità, arriverebbe ad uccidere il figlio. Ma Euripide arriva a questa contraddizione, forse perché la società greca non accetterebbe altrimenti.[15]

 

 

 

Marina Bilotta Membretti, Cernusco sul Naviglio 23 agosto 2023

 

 

 

 

[1] ‘Euripide. Medea’, trad.a cura di C.Azan-V.Fascia, collana Myzoi, ed.Simone 2002, Vv. 573

[2] ‘Euripide. Medea’, trad.a cura di C.Azan-V.Fascia, collana Myzoi, ed.Simone 2002, Vv. 228; Vv. 374

[3] ‘Euripide. Medea’, trad.a cura di C.Azan-V.Fascia, collana Myzoi, ed.Simone 2002, Vv. 407-409

[4] ‘Euripide. Medea’, trad.a cura di C.Azan-V.Fascia, collana Myzoi, ed.Simone 2002,Vv 1342

[5] ‘Euripide. Medea’, trad.a cura di C.Azan-V.Fascia, collana Myzoi, ed.Simone 2002,Vv. 187-188

[6]‘ Euripide. Medea’, trad.a cura di C.Azan-V.Fascia, collana Myzoi, ed.Simone 2002, Vv. 285-286

[7] ‘Euripide. Medea’, trad.a cura di C.Azan-V.Fascia, collana Myzoi, ed.Simone 2002, Vv. 218

[8] ‘Euripide. Medea’, trad.a cura di C.Azan-V.Fascia, collana Myzoi, ed.Simone 2002,Vv. 230-231

[9] ‘Euripide. Medea’, trad.a cura di C.Azan-V.Fascia, collana Myzoi, ed.Simone 2002, Vv. 14-15

[10] ‘Euripide. Medea’, trad.a cura di C.Azan-V.Fascia, collana Myzoi, ed.Simone 2002, Vv. 21

[11] ‘Euripide. Medea’, trad.a cura di C.Azan-V.Fascia, collana Myzoi, ed.Simone 2002, Vv. 232-234

[12] ‘Euripide. Medea’, trad.a cura di C.Azan-V.Fascia, collana Myzoi, ed.Simone 2002, Vv. 384-385; 397

[13] ‘Euripide. Medea’, trad.a cura di C.Azan-V.Fascia, collana Myzoi, ed.Simone 2002, Vv.259-268

[14] ‘Euripide. Medea’, trad.a cura di C.Azan-V.Fascia, collana Myzoi, ed.Simone 2002, Vv.401-406

[15] Il testo è stato pubblicato nel luglio 2012 su www.societaamicidelpensiero.it / Sezione ‘News’.

Acqua.

‘Portatrice d’acqua’, di Edina Altara (ceramica con cornice in legno).[1]

 

 

“Col proprio lavoro, il sarto era in grado di mostrare gli investimenti in tessuti, gioielli e guarnizioni assemblati ed abbinati in un completo coordinato di vestiti ed ornamenti…. I sarti fecero parte di questo sistema economico produttivo partecipando alla formazione di un gusto che divenne un valore culturale… Quasi fosse un’opera d’arte, l’abito era il risultato di accordi presi tra sarto e committente, entrambi partecipanti all’idea iniziale. L’esito finale era però frutto del lavoro sartoriale realizzato mettendo in pratica un metodo che garantiva la qualità del prodotto e la soddisfazione del cliente.”[2]

 

 

Evidentemente uno psicoanalista s’intende di sartoria.

E’ per distrazione allora che la si chiama Cultura di genere?

 

Marina Bilotta Membretti, Cernusco sul Naviglio 5 agosto 2023

 

 

[1] Edina Altara (1898-1983) nacque a Sassari dove ben presto il suo talento nel disegno si fece notare : partecipò nel 1917 ad una mostra d’Arte a Torino ed  il suo collage, dal titolo ‘Jesus salvadelu’ fu acquistato dal re Vittorio Emanuele III (l’opera si trova ancora oggi al Quirinale presso la Loggia d’Onore). Dapprima si dedicò al disegno per produzioni ceramiche (piatti, piattini, mattonelle poi incorniciate come nella foto sopra), nel 1934 si trasferì a Milano per collaborare con i figurini di moda alla rivista ‘Grazia’, e nel 1942 anche alla rivista ‘Bellezza’ diretta da Giò Ponti, così come a ‘Stile’ e ‘Domus’ e fino a collaborazioni per l’arredo di cinque transatlantici italiani. Fu illustratrice di moda per la rivista ‘Rakam’, per ‘Il Giornalino della Domenica’ – pubblicazione della ‘Domenica del Corriere’ dedicata ai ragazzi – per varie pubblicità (cosmetici, prodotti di bellezza) ed illustratrice di racconti su riviste.  Due mostre nei mesi recenti hanno esposto alcuni dei suoi lavori più belli : ‘Edina Altara. La mia Sardegna’ presso ’Art Port Gallery’ a Olbia, e ‘Edina Altara. Mondi di carta’ presso la ‘Galleria Siotto’a Cagliari.

[2] ‘L’arte del sarto nel Medioevo’, di Elisa Tosi Brandi (2017) Società editrice ‘il Mulino’, pag. 217

Grand.[1]

Michelangelo Buonarroti pensieroso, a fianco della sua ultima, sorprendente ‘Pietà’ (1552-1564) // Illustrazione originale di Stefano Frassetto.[2]

 

 

 

E’ la comfort-zone della rimozione : la stessa a cui Michelangelo Buonarroti resistette tutta la vita, per seguire il suo  talento. Gliene facciamo colpa ?

Avremmo allora rinunciato alla straordinaria intuizione della Pietà[3] in cui è Maria l’accorata, fuori da ogni ruolo, senziente a Cristo, lutto senza malinconia ?

E avremmo rinunciato al guizzo inaspettato di Mosè[4], poderoso e umanissimo nel riconoscere la inutilità della sua collera, e pure di fronte alla ottusa idolatria di quanti gli erano affidati ?

Scegliere faticosamente una materia[5] che già contenga una rappresentanza : ma solo Michelangelo poteva giudicare quel marmo perché nessun altro sapeva cosa lui segnava sul foglio, e cosa lo muoveva e cosa lo rendeva così  impaziente, ed ascoltando cosa. Graffiando fino alla incisione, con una meticolosità incomprensibile che lo portava a correggere, a spostare, e poi a togliere togliere toccava finalmente il risultato che soddisfa, un risultato così tante volte conquistato alla tentazione della rimozione che invece lo perseguita sempre.

Ha legalità la rimozione? Michelangelo lavorò tutta la vita all’ombra di questa tentazione, nascondendosene come alla incombenza di un totem che pure sappiamo essere fantoccio, simbolico, nulla. Perché la rimozione esige ingenuità, che non è destino ma ci è tanto cara.

Michelangelo non fu un ingenuo, nonostante una remissività pacificante lo tentasse di continuo.

Aveva smesso di fare lo scultore su commissione, ormai si dedicava solo alla pittura che lo stancava di meno : ma nella testa aveva ancora quella figura di uomo che voleva realizzare, e che riferiva al Cristo morto deposto dalla croce, sostenuto da una donna – la madre, che quasi non aveva conosciuto[6] ? - ed entrambi faticosamente in piedi. Eppure i due che andava cavando fuori dal marmo non erano esattamente quelli che inizialmente aveva immaginato : perché lei incombeva, non proteggeva il figlio, gravava su quell’uomo ormai morto. Michelangelo se ne accorse, quando per l’ennesima volta riprese quel lavoro che non riusciva a finire, ma non arrivò a mentire su una ‘grandezza’ che non aveva conosciuto della madre  e la ‘Pietà’, detta Rondanini[7],  restò incompiuta :  non fu per mancanza di tempo.

La resa del pensiero al mentire della rimozione non tiene conto infatti che persino un dovere a lungo rimandato, ma non ancora giudicato, forse è che può non essere umanamente dovuto.

 

Marina Bilotta Membretti, Cernusco sul Naviglio 19 aprile 2023

 

 

[1] ‘Grand’ è un romanzo autobiografico di Noelle Mc Carthy, Penguin Random House New Zealand - 2022  

[2] Stefano Frassetto è nato a Torino nel 1968. Dopo la laurea in Architettura al Politecnico di Torino, ha iniziato come vignettista e disegnatore per alcuni giornali locali. A metà anni novanta ha cominciato a pubblicare anche in Francia, prima col mensile ‘Le Réverbère’ e in seguito col quotidiano ‘Libération’ : passato a sviluppare l’attività di fumettista col personaggio di Ippo per ‘Il Giornalino’ e poi la striscia ‘35MQ’ per il quotidiano svizzero ‘20 Minuti’, con l’anno 2000 fa il suo esordio su ‘La Stampa’ come ritrattista per le pagine culturali e per l’inserto ‘Tuttolibri’, poi per il settimanale culturale ‘Origami’. Oggi è anche ritrattista e illustratore presso il quotidiano svizzero ‘Le Temps’. Nel 2022 ha pubblicato la raccolta : ‘35mq: 2012-2022. Dieci anni di inettitudine’.

[3] La ‘Pietà Vaticana’, realizzata da Michelangelo in marmo bianco di Carrara fra il 1497 ed il 1499, è posta nella Basilica di San Pietro in Vaticano, a Roma.

[4] Il ‘Mosè’ fu realizzato da Michelangelo fra il 1513 ed il 1515 e poi ripreso nel 1542 : è posto nella Basilica di San Pietro in Vincoli, a Roma.

[5] Michelangelo Buonarroti (1475-1564) nacque in un paese delle colline di Arezzo da una famiglia del patriziato fiorentino che versava però in difficili condizioni economiche : la sua passione per il disegno e poi per la scultura gli facilitò l’apprendistato in bottega dove ben presto lo inviò il padre, inizialmente contrariato dalla predilezione del figlio per  quell’ ‘arte meccanica’, come veniva chiamata la scultura rispetto agli studi classici. ‘Michelangelo, Carrara e i Maestri di cavar marmi’, di Caterina Rapetti (2002), ‘Quaderni dell’Istituto di Storia della Cultura Materiale’.

[6] Secondo di cinque figli, Michelangelo rimase orfano della madre a sei anni : fin da piccolissimo fu affidato ad una balia, che apparteneva ad una famiglia di scalpellini e che lo crebbe nell’ambiente dei cavatori del marmo di Carrara dai quali tornava spesso, diventato scultore con committenti, per scegliere personalmente i blocchi di marmo per le sue opere / ‘Michelangelo, Carrara e i Maestri di cavar marmi’, di Caterina Rapetti (2002), ‘Quaderni dell’Istituto di Storia della Cultura Materiale’.

[7] Pietà detta Rondanini dal nome dei Marchesi Rondanini che l’acquistarono nel 1744 per porla nel loro Palazzo a Roma : l’opera non ebbe un committente, in quanto Michelangelo la pensò per la propria sepoltura, lasciandola però solo sbozzata e mai finita sebbene vi avesse lavorato a più riprese fra il 1552 ed il 1564, appena prima di morire. La concezione è innovativa, perché ideata da Michelangelo in verticale. Oggi la si può ammirare presso il Castello Sforzesco a Milano.

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