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L’Occidente si svegliò a Oriente inoltrato’ [1].

Da “Mappamondo”, di Massimo Bucchi[2].

Nella foto, la mia copia di lavoro in Studio.

 

 

 

 

 

Sognare è un alibi ?

In “Mappamondo”, di Massimo Bucchi io ho trovato che sì, sognare è la propria, personalissima ‘mappa del mondo’.

Che ci conviene però non rimuovere quando, da svegli, ognuno di noi cerca di salvarsi come può dal pedagogismo ormai globale. L’alibi confortante del sogno è certamente una difesa, ingenua però e pertanto espugnabile, a meno di un lavoro niente affatto banale, la cui preziosa efficacia resta individuale e quindi non cedibile a terzi.

‘L’Occidente si svegliò a Oriente inoltrato’ è un magnifico aforisma coniato da Massimo Bucchi, che mi ha fatto pensare, in queste settimane di isolamento per pandemia da contagio dallo sconosciuto Coronavirus in cui l’Oriente si è assicurato un ruolo da protagonista : proprio come nei sogni notturni, il totem-di-guardia c’è, sebbene completamente addormentato.

E descriverlo si può – ci conferma Massimo Bucchi - ma sostituendolo con una sua più morbida rappresentazione, altrimenti il sogno smette di essere quel fantastico mondo in cui rifugiarsi per dimenticare. O dal quale quotidianamente fuggire banalizzandolo al risveglio, cioè promuovendolo ad Ideale : perché anche le rappresentazioni ‘morbide’ possono trovarci impreparati, eppure altrettanto, e stoltamente, arroganti.

Insomma : curar-si, o evadere ? E’ un bivio per ciascuno, non eludibile.

Come sia arrivato Massimo Bucchi a concepire così precocemente ‘L’Occidente si svegliò ad Oriente inoltrato’ non ci è dato di sapere anche perché un artista, di solito smette di cercare le ragioni del suo pensiero, per poter creare : e la creatività stessa, che pur richiede talento ed applicazione, rifugge dal verbalizzare che tuttavia non esclude un verbalizzare successivo, ed anche più produttivo.

Qui possiamo osservare divertiti che una bussola antica è quanto di vitale resta a fianco del monumentale leone di pietra immerso nel sonno, la cui enorme zampa rilasciata non può far temere, almeno finchè dorme.

Ed è così che l’opera compiuta raggiunge il pubblico, appagato senza lavoro e senza profitto sia che si tratti di scultura, di musica, o di grafica : dacchè la satira è solo una parte di quell’universo - accessibile a pochi - che resta l’umorismo, capacità solo umana di poter riassumere in pochissime parole un giudizio innocente che la coscienza non deve fare a tempo a raccogliere, ed è subito detto.

‘Celui-qui-me-fait-guerRire’ resta un mio aforisma – non più inconscio quindi - nel riconoscere la preziosa intuizione di Freud riguardo all’umorismo.

E quindi la coscienza cos’è ? Quel magone stabile che scarta il riso.

 

                                                       Marina Bilotta Membretti, Cernusco sul Naviglio 31 marzo 2020

 

 

Riprenderò lunedì 13 aprile.

 

[1] E’ il titolo di una delle vignette di Massimo Bucchi pubblicate nella raccolta “Mappamondo”, 2016 / Ediz.: “il Saggiatore”.

[2] Massimo Bucchi è nato a Roma nel 1941. Ha iniziato come cronista di cronaca nera, per poi dedicarsi alla grafica come ‘art director’. La sua passione per l’umorismo, coltivata fin dalla prima adolescenza lo porterà ad investire il suo talento nelle diverse e prestigiose collaborazioni a cui via via viene chiamato, ed anche nel cinema : certamente spiccano i suoi pluriennali contributi per “la Repubblica”, oltre a numerosi premi ricevuti. Ha curato interessanti mostre dei suoi lavori.

 

 

“Sylvia”, una collaborazione inedita.

La nuova produzione del 'Teatro alla Scala' favorisce il lavoro di Manuel Legris.

La foto è uno screen-shot tratto dal breve video del ‘Teatro alla Scala’, condiviso su www.youtube.com / Il francese Manuel Legris, già direttore di Ballo per la ‘Staatsoper’ di Vienna e precedentemente primo ballerino all’ ‘Opèra’ di Parigi, è stato nominato nei giorni scorsi direttore del corpo di Ballo del ‘Teatro alla Scala’ : sua è stata la ottima coreografia dell’edizione 2019 di “Sylvia” con le musiche originali di Lèo Delibes e l’allestimento del ‘Wiener Staatsballet’. 

 

 

 

 

Fa pensare, in queste settimane in cui l’Italia si trova ad affrontare – e lo sta facendo con competente dedizione fra i colleghi europei - una sconosciuta epidemia da ‘Coronavirus’ che arriva da lontano, la recente proficua co-produzione fra il ‘Teatro alla Scala’ e ‘Wiener Staatsballet’ per l’eccellente “Sylvia”, andato in scena a Milano fra dicembre 2019 e gennaio 2020.

Tratto da un testo poco noto di Torquato Tasso che lo scrisse nel 1573, il poema “Aminta” non ottenne successo, sebbene la scelta del magico ambiente arcadico incontrasse il gusto dell’epoca : la pazienza e la fedeltà dell’uomo-Aminta irritavano la Cultura del tempo che preparava sanguinose guerre.

La vicenda narra infatti l’amore del pastore Aminta per Sylvia, bellissima ninfa al seguito della virginea Diana, dea della caccia : il mite Aminta viene respinto da Sylvia, e pure il ruvido cacciatore nero Orione patirà la stessa sorte.

Certo, il testo del prudente poeta si ferma timidamente alla soglia della passione, bramata invano dal lettore avido in cerca di forti caratterialità – che oggi giudicheremmo patologiche - e resta adagiato nella placidità e pinguetudine dell’Arcadia, pur offrendo l’azzardo di conclusioni rivoluzionarie ma, a quanto pare, poco gradite al pubblico del XVI secolo.

Il Tasso però affida al niente affatto ingenuo Eros quel provvidenziale moto di Sylvia che, prima fra tutte le valchiriane[1] compagne, lascia cadere l’istituzionale arco corredato di frecce con cui tutte le ninfe pedissequono Diana, e favorisce il paziente ed abile Aminta, che si dimostra capace nonostante le molte prove subìte ad opera della incantevole ninfa.

A sorpresa, nel XIX secolo il testo venne ripescato dal cassetto dimenticato del poeta per farne però un originale balletto, in cui la novità della musica avrebbe sostenuto l’ambiziosa parte di protagonista dell’opera : il titolo non sarebbe più stato “Aminta”, bensì “Sylvia, ou La Nimphe de Diane” e fu presentato per la prima volta a Parigi nel 1876 con la compagnia dell’Opèra.

La musica davvero innovativa del francese Lèo Delibes, che già aveva portato al successo il balletto classico “Coppelia” non riuscì tuttavia a scaldare il pubblico : più tardi, e solo nel 1952 “Sylvia” venne ripresentata con le medesime musiche di Delibes ma con la rivoluzionaria coreografia dell’inglese Sir Frederick Ashton, che tutto puntò sui passi arditissimi e difficili della protagonista. Fu il successo!

L’opera riscosse un vasto applauso, pur rimanendo fedele al testo originale del Tasso : la musica, intelligentemente interpretata dalla coreografia, rappresentava quell’azione che il testo non osava, orientando lo spettatore senza incertezze.

Il 31 dicembre scorso abbiamo potuto assistere alla entusiasmante edizione offerta dalla coreografia di Manuel Legris con l’Accademia di Ballo del ‘Teatro alla Scala’ ed abbiamo apprezzato la evidente soddisfazione di giovani e giovanissimi che, presenti numerosi ed in abito da sera nel nostro Teatro, italiani europei ed extra-europei si sono alzati in piedi per applaudire forte. Magnifico !!

Una collaborazione così produttiva, se venisse meno costituirebbe non solo un danno all’Europa tutta, ma ancor più un segnale politico assolutamente non condivisibile dai tanti – giovani appunto – che in Europa ormai vivono, lavorano e metton su famiglia.

 

                  Marina Bilotta Membretti, Cernusco sul Naviglio 14 marzo 2020

 

[1] ‘La Valchiria’, opera scritta dal compositore tedesco Richard Wagner fra il 1851 ed il 1856 si ispira a creature femminili mitologiche al servizio di Odino, dio della guerra e che possono decidere vita o morte di chi si trova in battaglia : celebre, all’inizio del III Atto dell’opera è il brano ‘La cavalcata delle Valchirie’, spesso usato anche nel cinema per le scene di attacco bellico. Lèo Delibes, compositore francese che musicò ‘Sylvia ou La Nimphe de Diane’ era sincero estimatore di Wagner.

 

Perchè fa tanto orrore ?

Illustrazione originale di Stefano Frassetto (5).

 

 

“Perchè fa tanto orrore l’idea che il rimuovere è una esperienza del mentire ?“ (1) 

Mi pare tuttora adeguata la citazione da Giacomo B. Contri a proposito di un’esperienza comune, l’angoscia : di cui si viene a sapere molto presto, nella prima infanzia cioè e verso cui una prima difesa, altrettanto diffusa comune e purtroppo svantaggiosa è la rimozione dell’esperienza che suscita l’angoscia.
Il talento eccezionale della pittura di Edvar Munch,  e di pochi altri (2), è quello di aver saputo – è il caso di un potere del pensiero – risalire l‘origine dell’angoscia, sciogliendola fino a tessere una difesa più vantaggiosa della rimozione.

“Camminavo lungo la strada con due amici quando il sole tramontò, il cielo si tinse all’improvviso di rosso sangue. Mi fermai, mi appoggiai stanco morto ad una palizzata. Sul fiordo nero-azzurro e sulla città c’erano sangue e lingue di fuoco. I miei amici continuavano a tremare ed io tremavo ancora di paura… E sentivo che un grande urlo infinito pervadeva la natura…“ (3)

Nella forma di un’allucinazione visiva che allontana la realtà, Munch descrive in un appunto del  diario la sua esperienza di ‘ritorno del rimosso‘,  soddisfazione temuta e combattuta quindi insostenibile… La rimozione, insomma pur così praticata resta irresoluta e tuttavia minaccia l’individuo, e la sua stessa integrità anche fisica. 

Il dipinto del 1893 appartiene alla maturità di Munch che aveva quindi già sviluppato una competenza non solo sul mezzo ma anche sulla propria relazione con esso. Egli aveva intuito nel dipingere, a cui gli capitò di applicarsi una via privilegiata e del tutto personale, ma nettamente alternativa, all’angoscia. A scuola si accorse di eccellere solo in fisica, chimica e matematica e scelse di perfezionarsi presso la ‘Scuola di disegno‘ di Oslo e poi alla ‘Scuola d’Arti e Mestieri‘ di Christiania nel 1881 : ma probabilmente fu l’incontro con Hans Jaeger (4), scrittore peraltro non eccelso ma caratterialmente opposto al riservato e solitario Edvar che diede a Munch il ‘la‘ di una favorevole e, di nuovo, assolutamente personale intuizione.

Si trattò per Munch di un reale cambio di rotta, e per nulla effimero verso una sincerità che non conosceva ma che lo avvicinava alla ragione delle sue sottomissioni, e che gli indicava con precisione e con scioltezza dove correggere gli errori del passato, e l’ingenuità del suo pensiero che ora si rendeva correggibile : nel lavoro di Munch, nelle sue ripetizioni numerose di alcuni quadri e non solo de “L’urlo“ è evidente che il suo interesse non è il plauso del pubblico.

Nessun intento pedagogico infatti nelle sue opere, nessun tentativo di ‘spiegare‘ allo spettatore, il quale potrebbe immaginare qualunque cosa davanti ad un suo quadro… Il suo intento evidente è di arrivare a toccare il groviglio che sta vivendo per dipanarlo risolutamente, senza indugio e senza scrupolo.

L’angoscia sfocia nell’orrore quando non viene elaborata, Munch aveva assistito a questi epiloghi persino nella sua famiglia, e si era reso conto che non si trattava mai di un destino inamovibile…

Con una lucidità da eccellente chirurgo si costruì un percorso di lavoro assolutamente personale e favorevole, non riproducibile se non nella sua percorribilità.


Marina Bilotta Membretti, Cernusco sul Naviglio 26 ottobre 2019


 

(1) Giacomo B. Contri, 1985 SIC Edizioni ‘Lavoro dell’inconscio e lavoro psicoanalitico‘
(2) Dedicherò un editoriale a Renè Magritte, pittore belga vissuto fra il 1898 e il 1967 considerato uno dei massimi interpreti del surrealismo.

(3)  Qui si tratta di un ricordo, che Munch arrivò a riportare sulla cornice di una delle quattro versioni de “L’urlo“, quella del 1895. “L’urlo“ (1893) è un’opera esposta alla ‘Galleria Nazionale‘ di Oslo. Edvar Munch (Loten, Norvegia 1863 – Oslo 1944). 
(4) Hans Jaeger, 1854-1910 scrisse “Fra Kristiania-Bohemen“ (1885) divenne famoso per le sue crude polemiche con la cultura norvegese più che per il suo valore effettivo di autore e scrittore.

(5) Stefano Frassetto è nato a Torino nel 1968. Dopo la laurea in Architettura al Politecnico di Torino, ha iniziato come vignettista e disegnatore per alcuni giornali locali. A metà anni novanta ha cominciato a pubblicare anche in Francia, prima col mensile ‘Le Réverbère’ e in seguito col quotidiano ‘Libération’ : passato a sviluppare l’attività di fumettista col personaggio di Ippo per ‘Il Giornalino’ e poi la striscia ‘35MQ’ per il quotidiano svizzero ‘20 Minuti’, con l’anno 2000 fa il suo esordio su ‘La Stampa’ come ritrattista per le pagine culturali e per l’inserto ‘Tuttolibri’, poi per il settimanale culturale ‘Origami’. Oggi è anche ritrattista e illustratore presso il quotidiano svizzero ‘Le Temps’.

 

Auguste Rodin : elogio dell'invidia ??

 

 

C'è un affresco a Villa Maser (1) presso Treviso, in cui l'avarizia è rappresentata da un uomo vecchio e spoglio, con un vago ghigno, che agita una grossa chiave verso la giovane donna bionda che rappresenta la generosità, ben al di sopra di lui e protagonista della scena : la donna porta un fascio di spighe di grano maturo. Fra i due è chiaro che non vi è alcun legame, sebbene lui tenda a lei ma quasi disperatamente per farsi sentire. Lei probabilmente lo sente, ma non lo cerca.

Visitando la bella Mostra su Auguste Rodin (2) a Treviso, curata da Marco Goldin che ha offerto al pubblico le opere di un Maestro finora ospitato solo in Francia, Paese natale, ho pensato che alcune piccole statue, ben illuminate e poste ma non centrali, o forse persino ritenute oscure nella produzione di Rodin, svelassero invece il pensiero dell'artista, e con una precisione descrittiva che le grandi statue presentate all'ingresso e al centro della Mostra, ormai rappresentative del suo lavoro presso il grande pubblico, non avevano (3).


Queste due piccole statue sono : "Je suis belle", di cui pare esista più di un soggetto, e "Fugit amor"(4) : pur essendo entrambe di piccola dimensione, sono anche elaboratissime come spero si comprenda dalla illustrazione che ho scelto per questo post. A differenza di alcuni ritratti commissionatigli (5), queste due sculture rivelano un impegno dell'autore, sincero appassionato ma offuscato dalla disperazione.

In "Je suis belle", la figura indifesa e nuda di un uomo si slancia in avanti tenendo sollevata in aria una giovane donna raccolta in posizione fetale, che sfugge però il bacio di lui. Un soggetto dunque davvero insolito, specie per l'epoca in cui visse Rodin che si nutrì di quella vitale esplosione della pittura impressionista, aperta alla esperienza dirompente verso la tradizione ed entusiasta di un lavoro 'en plein air' e fra la gente, antitetica all'eroismo solitario, generoso ed insoddisfatto, della letteratura romantica (6).


Rodin usa dell'entusiasmo impressionista per scivolare all'indietro nella illusione romantica, rinunciando ad una soluzione nuova nella quale invece si impegnarono Matisse prima, e Picasso (7) poi.


E' un uomo sazio di virilità, questo di "Je suis belle", che guarda di traverso alla donna-feto che lo sfugge, così raccolta ed esibita appena al di sopra dell'addome di lui : vessillo di un Potere presunto che all'uomo non è dato, tentandolo all'invidia che dall'avarizia è generata ?
La rappresentazione è verosimile di una difesa tanto impetuosa quanto ingenua dell'autonomia sessuale, fallica e romantica, condannata all'impotenza dal semplice rifiuto di lei che allontana il viso dal viso di lui.


Tutta la produzione di Rodin ruota attorno ad un pensiero impegnato, anche ossessivamente, dalla creazione (8) e però anche dall'umano possesso che con la Creazione biblica nulla ha a che fare, poichè Dio crea l'uomo libero di produrre il suo destino.


Rodin invece teme di perdere ciò che crea, la sua stessa biografia dice di una umanità avida e poco disponibile a lasciarsi ereditare : suo tema ricorrente sono le mani, plasmanti sì ma anche invadenti, possessive, invidiose dell'altrui.


Come in questa "Je suis belle", che titola bene il pensiero dell'autore nei confronti della donna che lo allontana, lasciando l'uomo inerme alle sue passioni. Un pensiero malinconico ed invidioso che Rodin ripropone in "Fugit amor" dove i due amanti, simili a sirene fluttuanti nel mare, si sfuggono reciprocamente – lei sempre più avanti di lui - in un concepire il pensiero amoroso altresì dannato, mortifero, insensatamente desiderato.


Nella sua malinconia, Rodin invidia quella presunta autonomia sessuale che la donna troverebbe nella maternità, luogo esclusivo ed agognato di una soddisfazione che la Natura nega all'uomo.


Sorprende la presa emotiva che Rodin mantiene sul pubblico contemporaneo, sebbene iperconnesso, algoritmico e digitalmente còlto, ma che pure testimonia la tenuta di una resistenza al giudizio che continua a diffondere ingenuità, e facile invidia.


Privilegiando l'emozione che rimuove il giudizio, infatti, Rodin 'fa fuori' qualunque soluzione, umana e possibile.


Che Henri Matisse invece, e poco dopo Picasso arrivarono a proporre con profitto.

 

 

                                                              Marina Bilotta Membretti, Cernusco sul Naviglio 28 maggio 2018

 


(1) Villa Maser, presso Treviso, è opera di Andrea Palladio (1508 - 1580), architetto e scenografo apprezzato del Rinascimento e ritenuto una delle personalità più influenti nella storia dell'architettura occidentale.
(2) La Mostra (24 febbraio – 3 giugno 2018) che conclude le celebrazioni per il centenario della morte di Auguste Rodin (1840-1917) è stata promossa dal Comune di Treviso, da Marco Goldin e da "Linea d'ombra", che l'ha anche prodotta ed organizzata, con un pregevole allestimento presso il Museo Santa Caterina.
(3) "La Cattedrale" (1908), "Adamo ed Eva" (1881), "Il pensatore" (1880), "Il bacio" (1882).
(4) "Je suis belle" (1882), "Fugit amor" (1887).
(5) "Madame Vicuna" (1884) ed altri ritratti commissionati a Rodin, restano opere timide, vagamente celebrative.
(6) Ugo Foscolo (1778-1827) in Italia, J.W. Von Goethe (1749-1832) in Germania, V.Hugo ((1802-1885) in Francia.
(7) H.E.B.Matisse (1869-1954); P.Picasso (1881-1973)
(8) "La Cattedrale" (1908) è rappresentata da due enormi mani accostate in modo singolare, a costiituire un luogo che accoglie e protegge.




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