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“C’è spazio per tutti”(1) / Libri per lavorare 2.

 

 

 

Ci vuole più coraggio a conquistare lo spazio o la compagna di banco ?

La questione non sembri banale oggi che la differenza di sesso tenta di passare a tabù : ma se anche una conquista  può iniziare come curiosità, è la curiosità ad essere imputata in ogni epoca della storia, e tuttora.

Il filosofo Immanuel Kant[2], innalzando organizzazioni e burocrazie a governanti, si ritrovava però l’inciampo della curiosità, persino produttiva ma irrimediabilmente individuale e quindi difficilmente sistematizzabile, mentre la costruzione della teoria gli richiedeva quelle generalizzazioni che l’individuo non consente. E nel sociale si sta ormai rivelando poco produttivo adottare teorie prelevate tout court dalle scienze fisiche.

Come inizia allora un’ambizione, ‘ambito’ che solitamente si riferisce a qualcosa che va oltre il vissuto quotidiano ? Ciascuno trova convenienti le origini di una propria ambizione, anche quando queste si collegano al poter ‘prendere distanza’, persino dalla Terra e dalle sue variopinte pedagogie : ma non ridiamone facilmente, solo perché ce la rappresentiamo.

Certo poco generalizzabili saranno state le ambizioni che hanno condotto un giovane Paolo Nespoli – protagonista qui di una immaginifica missione spaziale, ed oggi, a sessantatre anni, l’astronauta più anziano della ‘European Space Agency’ / E.S.A. – ad ottenere nel 1988 un Bachelor of Science in ‘Aerospace Engineering’ al Politecnico dell’Università di New York (U.S.A.), un Master of Science in ‘Aeronautics and Astronautics’ ed infine una laurea in ‘Ingegneria Meccanica’ all’Università degli Studi di Firenze. Fra il 2006 ed il 2015 Paolo Nespoli ha già compiuto tre missioni spaziali, dopo essersi occupato di formazione tecnica per l’E.S.A.

Ed è ogni volta impegnativo sottoporsi alle sperimentazioni richieste dalle missioni, sebbene gli astronauti ne siano consapevoli : ciò che richiede infatti un lungo e laborioso allenamento i cui esiti non sempre sono prevedibili[3]. La sfida ed i traguardi che tuttavia la conquista dello spazio promette, stanno aprendo ad alleanze mai sperimentate prima fra Nazioni economicamente e politicamente concorrenti, con risultati inattesi e possibilmente produttivi.

“C’è spazio per tutti” resta un invito a coltivare le proprie ambizioni, con tutto il lavoro che ciò potrà richiedere : ma è anche un avvertimento per chi vorrebbe quelle ambizioni censurare o perlomeno ‘sistematizzare’, banalizzandone la meta cioè.

 

                                                          Marina Bilotta Membretti, Cernusco sul Naviglio 3 febbraio 2021

 

 

[1] “C’è spazio per tutti”, graphic novel di Leo Ortolani (2017), ‘Panini Comics’/ Panini SpA in collaborazione con le Agenzie spaziali italiana ed europea : con la partecipazione di Paolo Nespoli, ingegnere ed astronauta ‘European Space Agency’ e di ‘Rat Man’, personaggio creato da Leo Ortolani e presente in molti delle sue storie. Leo Ortolani è nato a Pisa nel 1967, ha studiato Geologia all’Università di Parma, città in cui oggi vive e lavora : ha esordito a ‘Lucca Comics 1990’ vincendo come miglior sceneggiatore. Paolo Nespoli è anche autore di ‘Dall’alto i problemi sembrano più piccoli’ (2012), Mondadori editore.

[2] Immanuel Kant (1724-1804), maggior filosofo dell’Illuminismo, fu autore - fra altre opere - di ‘Critica della Ragione pura’ (1787) e di ‘Critica della Ragione pratica’ (1788).

[3] Paolo Nespoli ricorda sulla sua pagina Facebook il disastro dello shuttle ‘Challenger’ avvenuto nel 1986 ed in cui persero la vita sette astronauti : lui stesso ha volato per addestramento su quella macchina raffinata e tuttavia rivelatasi non affidabile. Pur accertando gravi responsabilità dopo la tragedia, Nespoli dice che le ambizioni personali sostengono quel desiderio di superare i propri limiti che risulta poi anche a vantaggio della specie umana : è l’aver “pavimentato la via”, come ha ricordato. In “C’è spazio per tutti” Leo Ortolani ricorda anche, uno ad uno, gli animali che, inconsapevoli invece della loro missione, hanno preceduto gli astronauti sacrificandosi per primi.  

 

“Changeling”, non proprio uno scambio.

Il bambino in attesa di essere interrogato dalla Polizia. Screenshot condiviso da ‘Changeling’ (2008), regia di Clint Eastwood. 

 

 

Non per tutti gli attori quel banco di prova che è il passaggio alla regìa si rende un successo: lo è però per Clint Eastwood il quale non rinnega le sue molte esperienze nel genere western e d’azione.

Qui commenterò brevemente “Changeling”[1], intraducibile in italiano ma chiarissimo nella lingua originale : una scomparsa con sostituzione furtiva, ed anche quel procedimento mentale con cui un soggetto inganna o si lascia ingannare. Ma il titolo pacato non inganni sulla vicenda reale che riporta e che riguarda - aldilà di una cronaca raggelante - la capacità spesso crudele dell’inganno e dell’ingannare, che sa ‘fare male’ appropriandosi facilmente della vita altrui, come se si trattasse di un oggetto da collezionare e di cui liberarsi quando è di troppo.

L’inganno è qui descritto da Clint Eastwood come un’arbitrarietà ovvia che la posizione sociale consente : sia che si tratti di un rappresentante delle istituzioni, sia che si tratti di un maniaco omicida socialmente integrato, sia che si tratti di una donna pur disperata quando le presentano un bambino che non è il figlio scomparso.

Il regista non sottrae nulla al materiale di cui lo spettatore disporrà per valutare, per coinvolgersi, per giudicare infine: espone, senza inventare l’ordine dei fatti ma usando la logica di ciascuno dei protagonisti. Essenziale si conferma la presenza di una istituzione non governativa[2] in grado di intervenire laddove le burocrazie corrompono lo Stato benchè democratico e la Giustizia cede a causa di uomini che pure la rappresentano : ed insostituibile si rivela la difesa dell’avvocato che decide di aiutare Christine Collins e la libera dall’ospedale psichiatrico in cui è stata internata coattivamente.

Come avrebbe potuto infatti riconoscere Walter se non era lui ? Era vestito ‘come’ lui, ma non era lui…

Ma se era ‘come’ lui, perché dici che non era lui ?

Ingannato è Walter Collins, scomparso all’età di nove anni in un giorno come tanti, ma di cui restano testimonianze al ranch degli omicidi. Ma ingannato è anche il bambino presentato a Christine dalla Polizia e che fa di tutto per farsi accettare da lei e per farsi togliere dalla strada, ma lei è sopraffatta dal dolore e rivuole soltanto ‘il’ figlio, oppure un’ammissione di errore : da parte dei rappresentanti governativi ? O da parte del maniaco che, dalla prigione la manda a chiamare poco prima della sua esecuzione ?

Imputato negativamente è il dolore perchè non aiuta le soluzioni, anzi le affretta con danno, spazzando via quella logica che, sola, ne permetterebbe un risultato appena favorevole.

Risolutivo è infine ancora un bambino, il primo rapito dal maniaco e lui stesso divenuto omicida : mentre attende di essere interrogato, seduto in corridoio rivive il bivio del suo tracollo, la follia vicinissima. Per una via assolutamente inaspettata, ma altrettanto ragionevole, chiede di parlare con l’agente[3] che lo aveva arrestato, collabora fino ai riconoscimenti, fino alle prove terribili : la confessione scioglie un po’ dei ricordi che lo perseguitano, ed anticipa una possibile riabilitazione. Si tratta di una ‘innocenza’ niente affatto scontata.

 

                                            Marina Bilotta Membretti, Cernusco sul Naviglio 25 gennaio 2021

 

[1] Ispirato al rapimento ed omicidio di bambini da parte di un maniaco nel 1928 a Los Angeles, il soggetto e la scenografia di ‘Changeling’ sono di J. Michael Straczyinski.

[2] Qui è la comunità presbiteriana locale ed il reverendo Gustav Briegleb che da anni si batte contro la corruzione nella Polizia.

[3] Si tratta di un investigatore per minori – impersonato da John Malkovich – che collabora con la Polizia ed a cui viene affidata una segnalazione.

 

“Ereditare da un bambino. Perché no ?” [1]

Illustrazione originale di Stefano Frassetto[2]

 

 

“…Nel pomeriggio (lunedì 30 marzo) padre e figlio vennero a farmi visita durante l’orario di ricevimento… Il padre cominciò dicendo che nonostante tutte le spiegazioni, la paura dei cavalli non era diminuita…

Ma mentre ascoltavo il racconto della sua fobìa dei cavalli, guardandoli seduti entrambi davanti a me, mi balenò un altro pezzo della soluzione…

Scherzando, chiesi ad Hans se per caso i suoi cavalli portassero gli occhiali, cosa a cui rispose negativamente, poi se suo padre portasse gli occhiali, cosa a cui rispose di nuovo negativamente e se, contro ogni evidenza, con il nero intorno alla bocca non intendesse i baffi : allora gli rivelai che aveva paura del suo papà, proprio perchè voleva così tanto bene alla sua mamma…

Probabilmente credeva che questa cosa facesse arrabbiare il papà ma non era vero, perché il papà gli voleva bene e a lui poteva dir tutto senza paura…

‘Perché mai pensi che io sia arrabbiato con te ?’ – mi interruppe a questo punto il padre – ‘ti ho forse sgridato o picchiato ?’

‘Oh, sì mi hai picchiato’, corresse Hans.

‘Non è vero. E quando ?’

‘Stamattina’, ammonì il piccolo ed il padre si ricordò che Hans con la testa lo aveva colpito a sorpresa nella pancia e lui di riflesso gli aveva dato una botta con la mano. Era interessante il fatto che lui non avesse messo in relazione questo dettaglio con la nevrosi. Ma adesso lo intese come un’espressione della disposizione ostile del bambino nei suoi confronti, forse anche come manifestazione del bisogno di ricevere una punizione per questo…

Dopo questa consultazione, ricevetti quasi quotidianamente resoconti sui mutamenti di condizione del piccolo paziente… Come si vide, adesso gli si era aperta la possibilità di palesare le proprie produzioni inconsce e far decorrere la propria fobìa...”[3]

 

                                                     Marina Bilotta Membretti, Cernusco sul Naviglio 27 ottobre 2020

 

 

[1] “Ereditare da un bambino. Perché no?”, Marina Bilotta Membretti (2014) Gruppo Editoriale L’Espresso SpA (oggi GEDI Gruppo Editoriale SpA) Isbn 978 88 91081 63 6 - saggio breve sulla competenza individuale nella cura del pensiero.

[2] Stefano Frassetto è nato a Torino nel 1968. Dopo la laurea in Architettura al Politecnico di Torino, ha iniziato come vignettista e disegnatore per alcuni giornali locali. A metà anni novanta ha cominciato a pubblicare anche in Francia, prima col mensile ‘Le Réverbère’ e in seguito col quotidiano ‘Libération’ : passato a sviluppare l’attività di fumettista col personaggio di Ippo per ‘Il Giornalino’ e poi la striscia ‘35MQ’ per il quotidiano svizzero ‘20 Minuti’, con l’anno 2000 fa il suo esordio su ‘La Stampa’ come ritrattista per le pagine culturali e per l’inserto ‘Tuttolibri’, poi per il settimanale culturale ‘Origami’. Oggi è anche ritrattista e illustratore presso il quotidiano svizzero ‘Le Temps’.

[3] “Il piccolo Hans”, Sigmund Freud (1908) – Feltrinelli Editore Univ. Economica (2010) pp. 155-156 : quando i genitori si rivolgono a Freud, Hans ha meno di cinque anni.

 

“Parasite”. Potere agli ingenui?

Screenshot condiviso dal film “Parasite” (2019) : soggetto, regìa, sceneggiatura e co-produzione di Bong Joon-ho. 

 

 

 

E’ curioso che un piccolo Paese - la Corea del Sud – emergente con successo fra i Paesi orientali e nel mondo, abbia prodotto un film – pluripremiato a Cannes 2019[1] - in cui si svela che il segreto del Potere sia l’ingenuità : ed a maggior ragione ciò sorprende perché il film è stato pensato, girato ed offerto meno di un anno prima della pandemia in atto, avviata da un virus sconosciuto ma appartenente al già noto ceppo virale dei ‘Coronavirus’.

Curioso perché il film svolge un’argomentazione interessante, e neppure tanto lontana dal vero, intorno alla capacità degli ingenui di aggrapparsi al Potere e diffondere così a larga macchia il vero volto della ingenuità, per nulla morbida e indolente se non nella sua fondamentale pigrizia.

La competenza del premiato regista Bong Joon-ho è nel segnalare l’habitus del Potere, che non è affatto quello di appartenenza ad una classe, o casta, quanto della capacità disgraziatamente seducente ma niente affatto ‘virale’, cioè biologica, di aggrapparsi alla umanità debole cullandone la debolezza, in un cannibalismo mentale che favorisce scivolamenti incontrollabili e, qualche volta, letali.

C’è spazio per un bivio costruttivo, ed è nella competenza ad individuare le emozioni – solitamente scisse e con una valenza puramente risarcitoria – come aggancio vitale del proprio pensiero per un orientamento a beneficio.

Nessuna ironia dunque nel ben fatto film pluripremiato. Ed in effetti, dal regista di una Nazione in crescita, non ci si poteva aspettare che un blando avvertimento.

 

 

                                             Marina Bilotta Membretti, Cernusco sul Naviglio 3 settembre 2020

 

[1] Al ‘Festival di Cannes’, 72° edizione 2019 “Parasite” ha vinto la Palma d’oro, oltre che il premio come miglior film, miglior film straniero, miglior regista, miglior sceneggiatura originale.

 

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