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“Changeling”, non proprio uno scambio.

Il bambino in attesa di essere interrogato dalla Polizia. Screenshot condiviso da ‘Changeling’ (2008), regia di Clint Eastwood. 

 

 

Non per tutti gli attori quel banco di prova che è il passaggio alla regìa si rende un successo: lo è però per Clint Eastwood il quale non rinnega le sue molte esperienze nel genere western e d’azione.

Qui commenterò brevemente “Changeling”[1], intraducibile in italiano ma chiarissimo nella lingua originale : una scomparsa con sostituzione furtiva, ed anche quel procedimento mentale con cui un soggetto inganna o si lascia ingannare. Ma il titolo pacato non inganni sulla vicenda reale che riporta e che riguarda - aldilà di una cronaca raggelante - la capacità spesso crudele dell’inganno e dell’ingannare, che sa ‘fare male’ appropriandosi facilmente della vita altrui, come se si trattasse di un oggetto da collezionare e di cui liberarsi quando è di troppo.

L’inganno è qui descritto da Clint Eastwood come un’arbitrarietà ovvia che la posizione sociale consente : sia che si tratti di un rappresentante delle istituzioni, sia che si tratti di un maniaco omicida socialmente integrato, sia che si tratti di una donna pur disperata quando le presentano un bambino che non è il figlio scomparso.

Il regista non sottrae nulla al materiale di cui lo spettatore disporrà per valutare, per coinvolgersi, per giudicare infine: espone, senza inventare l’ordine dei fatti ma usando la logica di ciascuno dei protagonisti. Essenziale si conferma la presenza di una istituzione non governativa[2] in grado di intervenire laddove le burocrazie corrompono lo Stato benchè democratico e la Giustizia cede a causa di uomini che pure la rappresentano : ed insostituibile si rivela la difesa dell’avvocato che decide di aiutare Christine Collins e la libera dall’ospedale psichiatrico in cui è stata internata coattivamente.

Come avrebbe potuto infatti riconoscere Walter se non era lui ? Era vestito ‘come’ lui, ma non era lui…

Ma se era ‘come’ lui, perché dici che non era lui ?

Ingannato è Walter Collins, scomparso all’età di nove anni in un giorno come tanti, ma di cui restano testimonianze al ranch degli omicidi. Ma ingannato è anche il bambino presentato a Christine dalla Polizia e che fa di tutto per farsi accettare da lei e per farsi togliere dalla strada, ma lei è sopraffatta dal dolore e rivuole soltanto ‘il’ figlio, oppure un’ammissione di errore : da parte dei rappresentanti governativi ? O da parte del maniaco che, dalla prigione la manda a chiamare poco prima della sua esecuzione ?

Imputato negativamente è il dolore perchè non aiuta le soluzioni, anzi le affretta con danno, spazzando via quella logica che, sola, ne permetterebbe un risultato appena favorevole.

Risolutivo è infine ancora un bambino, il primo rapito dal maniaco e lui stesso divenuto omicida : mentre attende di essere interrogato, seduto in corridoio rivive il bivio del suo tracollo, la follia vicinissima. Per una via assolutamente inaspettata, ma altrettanto ragionevole, chiede di parlare con l’agente[3] che lo aveva arrestato, collabora fino ai riconoscimenti, fino alle prove terribili : la confessione scioglie un po’ dei ricordi che lo perseguitano, ed anticipa una possibile riabilitazione. Si tratta di una ‘innocenza’ niente affatto scontata.

 

                                            Marina Bilotta Membretti, Cernusco sul Naviglio 25 gennaio 2021

 

[1] Ispirato al rapimento ed omicidio di bambini da parte di un maniaco nel 1928 a Los Angeles, il soggetto e la scenografia di ‘Changeling’ sono di J. Michael Straczyinski.

[2] Qui è la comunità presbiteriana locale ed il reverendo Gustav Briegleb che da anni si batte contro la corruzione nella Polizia.

[3] Si tratta di un investigatore per minori – impersonato da John Malkovich – che collabora con la Polizia ed a cui viene affidata una segnalazione.

 

“Ereditare da un bambino. Perché no ?” [1]

Illustrazione originale di Stefano Frassetto[2]

 

 

“…Nel pomeriggio (lunedì 30 marzo) padre e figlio vennero a farmi visita durante l’orario di ricevimento… Il padre cominciò dicendo che nonostante tutte le spiegazioni, la paura dei cavalli non era diminuita…

Ma mentre ascoltavo il racconto della sua fobìa dei cavalli, guardandoli seduti entrambi davanti a me, mi balenò un altro pezzo della soluzione…

Scherzando, chiesi ad Hans se per caso i suoi cavalli portassero gli occhiali, cosa a cui rispose negativamente, poi se suo padre portasse gli occhiali, cosa a cui rispose di nuovo negativamente e se, contro ogni evidenza, con il nero intorno alla bocca non intendesse i baffi : allora gli rivelai che aveva paura del suo papà, proprio perchè voleva così tanto bene alla sua mamma…

Probabilmente credeva che questa cosa facesse arrabbiare il papà ma non era vero, perché il papà gli voleva bene e a lui poteva dir tutto senza paura…

‘Perché mai pensi che io sia arrabbiato con te ?’ – mi interruppe a questo punto il padre – ‘ti ho forse sgridato o picchiato ?’

‘Oh, sì mi hai picchiato’, corresse Hans.

‘Non è vero. E quando ?’

‘Stamattina’, ammonì il piccolo ed il padre si ricordò che Hans con la testa lo aveva colpito a sorpresa nella pancia e lui di riflesso gli aveva dato una botta con la mano. Era interessante il fatto che lui non avesse messo in relazione questo dettaglio con la nevrosi. Ma adesso lo intese come un’espressione della disposizione ostile del bambino nei suoi confronti, forse anche come manifestazione del bisogno di ricevere una punizione per questo…

Dopo questa consultazione, ricevetti quasi quotidianamente resoconti sui mutamenti di condizione del piccolo paziente… Come si vide, adesso gli si era aperta la possibilità di palesare le proprie produzioni inconsce e far decorrere la propria fobìa...”[3]

 

                                                     Marina Bilotta Membretti, Cernusco sul Naviglio 27 ottobre 2020

 

 

[1] “Ereditare da un bambino. Perché no?”, Marina Bilotta Membretti (2014) Gruppo Editoriale L’Espresso SpA (oggi GEDI Gruppo Editoriale SpA) Isbn 978 88 91081 63 6 - saggio breve sulla competenza individuale nella cura del pensiero.

[2] Stefano Frassetto è nato a Torino nel 1968. Dopo la laurea in Architettura al Politecnico di Torino, ha iniziato come vignettista e disegnatore per alcuni giornali locali. A metà anni novanta ha cominciato a pubblicare anche in Francia, prima col mensile ‘Le Réverbère’ e in seguito col quotidiano ‘Libération’ : passato a sviluppare l’attività di fumettista col personaggio di Ippo per ‘Il Giornalino’ e poi la striscia ‘35MQ’ per il quotidiano svizzero ‘20 Minuti’, con l’anno 2000 fa il suo esordio su ‘La Stampa’ come ritrattista per le pagine culturali e per l’inserto ‘Tuttolibri’, poi per il settimanale culturale ‘Origami’. Oggi è anche ritrattista e illustratore presso il quotidiano svizzero ‘Le Temps’.

[3] “Il piccolo Hans”, Sigmund Freud (1908) – Feltrinelli Editore Univ. Economica (2010) pp. 155-156 : quando i genitori si rivolgono a Freud, Hans ha meno di cinque anni.

 

“Parasite”. Potere agli ingenui?

Screenshot condiviso dal film “Parasite” (2019) : soggetto, regìa, sceneggiatura e co-produzione di Bong Joon-ho. 

 

 

 

E’ curioso che un piccolo Paese - la Corea del Sud – emergente con successo fra i Paesi orientali e nel mondo, abbia prodotto un film – pluripremiato a Cannes 2019[1] - in cui si svela che il segreto del Potere sia l’ingenuità : ed a maggior ragione ciò sorprende perché il film è stato pensato, girato ed offerto meno di un anno prima della pandemia in atto, avviata da un virus sconosciuto ma appartenente al già noto ceppo virale dei ‘Coronavirus’.

Curioso perché il film svolge un’argomentazione interessante, e neppure tanto lontana dal vero, intorno alla capacità degli ingenui di aggrapparsi al Potere e diffondere così a larga macchia il vero volto della ingenuità, per nulla morbida e indolente se non nella sua fondamentale pigrizia.

La competenza del premiato regista Bong Joon-ho è nel segnalare l’habitus del Potere, che non è affatto quello di appartenenza ad una classe, o casta, quanto della capacità disgraziatamente seducente ma niente affatto ‘virale’, cioè biologica, di aggrapparsi alla umanità debole cullandone la debolezza, in un cannibalismo mentale che favorisce scivolamenti incontrollabili e, qualche volta, letali.

C’è spazio per un bivio costruttivo, ed è nella competenza ad individuare le emozioni – solitamente scisse e con una valenza puramente risarcitoria – come aggancio vitale del proprio pensiero per un orientamento a beneficio.

Nessuna ironia dunque nel ben fatto film pluripremiato. Ed in effetti, dal regista di una Nazione in crescita, non ci si poteva aspettare che un blando avvertimento.

 

 

                                             Marina Bilotta Membretti, Cernusco sul Naviglio 3 settembre 2020

 

[1] Al ‘Festival di Cannes’, 72° edizione 2019 “Parasite” ha vinto la Palma d’oro, oltre che il premio come miglior film, miglior film straniero, miglior regista, miglior sceneggiatura originale.

 

“Tu chiamale se vuoi… Marie!”

Gustav Mahler[1]e la prudenza di Freud.

Illustrazione originale di Stefano Frassetto[2]

 

 

 

“Abissi e vertigini”[3], a volte impenetrabili come nella Sinfonia n°2, a volte invece esaltanti ed irraggiungibili : Gustav Mahler chiamò Sinfonie le sue incontenibili emozioni.

Direttore d’orchestra[4] apprezzatissimo, sebbene non popolare fra gli orchestrali a causa del suo perfezionismo sperimentale, riuscì giovanissimo – e già talentuoso ed infaticabile - a contrastare il padre Bernard - uomo aspro e purtroppo violento in famiglia[5], più che nella bottega di generi alimentari per la quale aveva ottenuto licenza nel 1860 - ed a dedicarsi con profitto agli studi musicali che adorava e da cui Bernard, che coltivò e finanziò il talento di Gustav, pregustava orgogliosi riconoscimenti.

Secondogenito con quattordici fratelli, molti dei quali morirono nella prima infanzia e ritenendosi un sostegno per la madre Marie, umiliata e triste, il giovane Gustav aveva presto imparato, davanti agli scoppi collerici del padre ad estraniarsene, inventandosi un altrove dove la musica “apriva le porte di un mondo fatato”[6] e ad altri non accessibile, come nel celebre ‘Adagio’ della Sinfonia n°10.

Raggiunto il successo e quell’agiatezza insperata che gli consentivano di condurre non solo una vivace vita intellettuale ed affettiva a Vienna, ma anche di trascorrere lunghe e laboriose estati nella deliziosa Maiernigg, sul lago Wörthersee dove volentieri nuotava o remava, Mahler non si allontanava mai da quel dolore così prolifico per le sue produzioni : lavorava in un minuscolo cottage di pochi metri quadrati che si era fatto costruire nel bosco dietro la casa e che ancora oggi è proposto ai visitatori.

Aveva cinquant’anni ed un curriculum invidiabile alle spalle, costruito nota per nota, concerto per concerto, opera per opera senza risparmio di forze né di affetti. La giovane sposa Alma, che dal latino si traduce ‘anima’ e che di secondo nome faceva Marie come la infelice madre di Gustav, era al tempo brillante e splendida violinista, e certo molti rivali gliela invidiavano : entrò nella severa casa del musicista, non ultima di un numero imprecisato di relazioni, candide ed appassionate da parte di Mahler, accettando inizialmente le abitudini solitarie del pensoso compositore.

Nel 1902, novello sposo, aveva terminato di musicare cinque poesie del tedesco Friedrich Rückert e con speciale passione quella ormai nota come : “Ich bin der Welt abhanden gekommen…”, ‘io sono perso al mondo… e riposo in un regno di pace’ (n.d.r.) che riporta un mondo immaginario ma possibile nel quotidiano, anche se riservato ai migliori intelletti.

Immedesimandosi in quella riconciliazione del dolore profondo a cui non rinunciava mai per riuscire a sublimarlo goccia a goccia in una levitazione vivente da cui il corpo poteva scivolare a eco lontana, egli sapeva ottenere una musica che, anche attraverso l’uso degli archi e del frequente tempo di ‘marcia’, poteva risultare persino ipnotica.

Prostrato fisicamente dalla malattia, nel 1910 “Mahler chiese consiglio al neurologo viennese Richard Nepallek, il quale gli suggerì di consultare Sigmund Freud[7].

Freud si trovava a Leyden, in Olanda. Mahler gli telegrafò , e Freud gli rispose invitandolo a venire subito.

Allora Mahler, timoroso del responso, trovò un pretesto per non andare, e così via per tre volte. Finalmente, Freud gli scrisse che l’ultima occasione possibile era la fine d’agosto, poiché egli dopo sarebbe partito per la Sicilia.

Mahler si mise in viaggio di malavoglia, scrivendo ad Alma lungo il percorso lettere da adolescente in ebollizione : del resto, rendendosi perfettamente conto di questa loro qualità, con autoironia.

Freud parlò con lui nel pomeriggio del 26 o 27 agosto. Conversarono per quattro ore, passeggiando per Leyden.

Freud rassicurò Mahler : gli spiegò che la sua età non era un ostacolo, poiché Alma cercava in lui… il padre perduto troppo presto. Anche lui, d’altra parte, cercava in Alma la madre. Quando Mahler gli disse che sua madre si era chiamata Marie, e che Marie era il secondo nome di Alma, decise che Mahler soffriva di ‘Marienkomplex’…

Gustav ritonòr a Toblach più disteso ma… Alma era diventata definitivamente il mito di Alma, ed il loro amore coniugale traduceva la propria realtà terrestre in una proiezione bellissima ed irreale… ”[8] Secondo quanto riferì Freud dopo quella conversazione, Gustav Mahler conosceva bene la psicoanalisi[9].

Ma non la praticò mai.

 

                                      Marina Bilotta Membretti, Cernusco sul Naviglio 7 agosto 2020

 

 

[1] Gustav Mahler (1860-1911), austriaco di famiglia ebraica fu musicista notevole, compositore e direttore d’orchestra.

[2] Stefano Frassetto è nato a Torino nel 1968. Dopo la laurea in Architettura al Politecnico di Torino, ha iniziato come vignettista e disegnatore per alcuni giornali locali. A metà anni novanta ha cominciato a pubblicare anche in Francia, prima col mensile ‘Le Réverbère’ e in seguito col quotidiano ‘Libération’ : passato a sviluppare l’attività di fumettista col personaggio di Ippo per ‘Il Giornalino’ e poi la striscia ‘35MQ’ per il quotidiano svizzero ‘20 Minuti’, con l’anno 2000 fa il suo esordio su ‘La Stampa’ come ritrattista per le pagine culturali e per l’inserto ‘Tuttolibri’, poi per il settimanale culturale ‘Origami’. Oggi è anche ritrattista e illustratore presso il quotidiano svizzero ‘Le Temps’.

[3] “Mahler. La musica tra Eros e Thanatos”, Quirino Principe 2002 / Bompiani, p.608

[4] Nel 1897 fu chiamato a dirigere la ‘Imperial Regia Opera di Corte’, oggi ‘Wiener Staatsoper’ : per poter accettare l’incarico decise di farsi battezzare, convertendosi al cattolicesimo. Dal 1909 al 1911, anno della sua morte, fu direttore musicale della ‘New York Philarmonic’, ottenendo vasto consenso e successi concertistici.

[5] “Mahler. La musica fra Eros e Thanatos”, cit., pp.86-89

[6] “Mahler. La musica fra Eros e Thanatos”, cit., p.109

[7] Freud aveva all’epoca cinquantaquattro anni, solo quattro più di Mahler ed aveva già pubblicato, fra gli altri, “Psicopatologia della vita quotidiana” (1901) e “Il motto di spirito ed il suo rapporto con l’inconscio” (1905). Ma per Mahler entrambi soprattutto erano ebrei di origine e viennesi di adozione, ciò che favorì la richiesta di quel consulto da parte del musicista.

[8] “Mahler. La musica tra Eros e Thanatos”, Quirino Principe cit., pp.775-776

[9] “Vita e opere di Freud”di Ernst Jones (1879-1958, neurologo e psicoanalista britannico : fu protagonista nell’accogliere in Inghilterra gli psicoanalisti perseguitati dai nazisti; fra il 1920 ed il 1939 fondò e diresse ‘International Journal of Psycho-analysis; fra il 1932 ed il 1949 fu presidente della ‘International Psychoanalytical Association’). Traduz.di A.Novelletto e M. Cerletti, Vol. II, Ed. ‘Il Saggiatore’ pp.107-108

 

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