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Victor Sironi. "Accompagnare, condividere..."

"Il mio lavoro negli Oratori."

 

 

Ho conosciuto Victor Sironi sulle pagine Facebook ed Instagram attraverso le quali si tiene in contatto coi ragazzi e coi collaboratori in qualità di Responsabile educatore, una figura professionale riconosciuta da poco. Ha accettato di venire nel mio Studio proprio il giorno del suo compleanno : negli Oratori della Diocesi di Milano si occupa principalmente di Pastorale giovanile e di famiglie.

"Sì, è un momento difficile per me quando devo trasferirmi... lasciare un luogo dove abbiamo costruito qualcosa e ripartire... Allora, cerco di entrare piano piano."

Dopo l'esperienza intensa e soddisfacente presso l'Oratorio Maria Regina di Pioltello, Victor Sironi è andato a Boffalora Ticino ed ora a Vanzago, nell'Oratorio Mantegazza-Rogorotto.

"Una nuova iniziativa, un progetto nasce ogni volta dalle persone che incontro, il Parroco ed i Responsabili ma poi sicuramente lavorando con gli animatori e con i loro educatori. Il progetto Mongolfiera ad esempio, è nato da una esigenza specifica... Incontrare i giovanissimi che vagano per le strade, con le famiglie vivono pochissimo e che, anche se malvolentieri, spesso si sottomettono ad un cosiddetto leader eletto secondo regole precise. Formano gang che si affrontano con violenza come rivali..."

Da una semplice idea maturata incontrando i ragazzi uno ad uno, dal loro 'parlare' esplicito di sottomissione e di disagio che facilmente scivola nella intemperanza o addirittura nel classismo, è nato un lavoro di cui non si sarebbe immaginata l'adesione da parte dei ragazzi stessi. Frutti che ora andrebbero coltivati.

"Abbiamo pensato di far intervenire alcuni educatori della Federazione Oratori Milanesi ed Oratori della Lombardia che collaborano col Comune di Milano – prosegue Victor Sironi - ed abbiamo proposto in auditorium la visione di un video girato realmente, sulla violenza e sul bullismo, tema sgradito su cui li abbiamo trovati purtroppo preparatissimi.

Ci hanno sorpreso, perchè la maggior parte di loro durante la visione del film rideva, la violenza era riconosciuta come 'risolutiva', oppure come 'tassa da pagare' in certe situazioni... Chiaramente conoscevano già quello che veniva descritto. Ma qualcuno di loro davanti ha osato affermare, davanti ai compagni che non approvavano la sopraffazione, ed anche che non 'era obbligatorio trovarsi coinvolti nelle gang...'

Abbiamo pensato allora di intervenire singolarmente, proponendo colloqui individuali dai quali è emersa una realtà capovolta : ognuno dei ragazzi che insieme agli altri aveva riso o mostrato noncuranza, trovandosi con l'adulto condannava invece la sopraffazione e l'umiliazione, con affermazioni come : 'la cultura anti-violenza va diffusa...', 'il bullismo è da condannare...' Poco alla volta ci siamo resi conto che la loro attenzione era fissa sul leader del gruppo, sul come e perchè era stato eletto, soprattutto sulla 'obbedienza e fedeltà', considerate virtù che distinguono chi le rispetta e chi no.

Abbiamo quindi lavorato sulle 'qualità' di un leader : i ragazzi - tutti fra i dodici ed i sedici anni - hanno lavorato tantissimo, dapprima chiedendo di essere ascoltati singolarmente, poi abbiamo notato che riuscivano ad esporsi anche davanti agli altri..."

"Diventa effettivamente sempre più difficile rivolgersi a bambini e ragazzi che sfidano l'adulto fin dalle prime battute, ascoltano annoiati perchè la tua proposta non li sfiora nemmeno e vogliono tornare agli smartphone a cui restano incollati come se intorno non ci fosse nessuno... Non conoscono il gioco e poi, magari, improvvisamente si appassionano e diventano protagonisti.

Ecco, una scoperta del mio lavoro è che il 'gioco' è proprio una novità.

Come quella volta che stavamo preparando la festa conclusiva dell'Oratorio feriale ed un bambino sugli 8-9 anni, sempre un po' impacciato e lento nel partecipare ad un gioco, che rimaneva con l'educatore durante la preghiera in chiesa, perchè la sua famiglia era di un'altra religione, è venuto a chiedermi : 'E io cosa devo fare ?'

'Scegli tu' - gli ho detto – guarda in giro cosa ti piace fare e scegli tu. Dopo un pò l'ho trovato impegnatissimo mentre preparava la coreografia del ballo con altri bambini. Mi sono complimentato, non immaginavo di vederlo muoversi così agilmente... E invece lui mi ha ringraziato... 'Accompagnare' qualcuno, 'condividere' è in effetti quello che mi entusiasma di più del mio lavoro...

A volte un genitore mi chiede : 'Ma come hai fatto con mio figlio ? Sei stato bravissimo...!' E' vero che passo anche molto tempo sui socials, Facebook ed Instagram soprattutto, basta una battuta ed un ragazzo sa che tu sei lì. Dei socials questi giovanissimi temono soprattutto la diffusione delle proprie immagini... Pensi che siano immagini 'tue' e che non avresti mai immaginato di veder pubblicate, e invece... Sono molto preoccupati da questa eventualità che non possono controllare...

Condividere quando possibile 'tempo' e 'spazio' con loro... Apprezzano tantissimo, vedere un film, una partita di calcio insieme, soprattutto essere ascoltati. 'Grazie per avermi accolto !', mi ha detto un dodicenne e così mi ha fatto capire che cosa andava bene nel mio essergli a fianco. Oppure mi è capitato di alcuni genitori, da poco in Italia, che venivano ogni giorno a riprendere i figli all'Oratorio feriale in giugno e luglio, e si fermavano un po' anche a giocare coi loro bambini : allora ho deciso di lasciare apposta per loro i palloni dei giochi che avevamo fatto nel pomeriggio, e loro dopo aver giocato quella mezz'ora o un'ora, li riportavano a posto per farmi capire che avevano apprezzato...

Abbiamo notato che ascoltare la testimonianza di chi ha superato esperienze dure come la droga o il carcere li fa uscire da quella indifferenza-insofferenza dietro cui si nascondono, o si mascherano. Stiamo pensando di far intervenire gli educatori che lavorano nelle 'Comunità di recupero per minori'...

Stando con loro, arrivano improvvisamente a farsi delle domande, per esempio : 'Ma perchè ho ragionato così?'

 



                                                                                   A cura di Marina Bilotta Membretti, Cernusco sul Naviglio 22 febbraio 2018

Psicoanalista e professione [1].

Il vantaggio di una vocazione/1.

 

”La psicoanalisi… non è certo l’intera psicologia, ma piuttosto la sua struttura essenziale, forse addirittura il suo fondamento… L’analista deve quindi aver appreso prima di ogni altra cosa questa psicologia, la psicologia del profondo, o la psicologia dell’inconscio."[2]

 

 

 

 

“…Dopo quarantuno anni di attività medica, la conoscenza che ho di me stesso mi dice che in verità non sono mai stato propriamente un medico. Sono diventato medico essendo stato costretto a distogliermi dai miei originari propositi, ed il trionfo della mia esistenza consiste nell’aver ritrovato, dopo una deviazione tortuosa  e lunghissima, l’orientamento dei miei esordi…”[3]

Freud arriva dunque alla vocazione tardi, nella sua maturità : e si accorge che è già una professione, tuttavia originale, mai avviata prima. 

“…Lo scopo di noi analisti è un’analisi il più possibile completa ed approfondita del paziente, al quale non vogliamo recar sollievo accogliendolo in una qualche comunità, sia essa cattolica, protestante o socialista; quel che vogliamo fare è arricchirlo, e trarre questa ricchezza dal suo intimo facendo affluire al suo Io sia le energie che a causa della rimozione sono relegate nell’inconscio e dunque risultano inaccessibili, sia le energie che l’Io, per poter conservare le rimozioni, è costretto a dilapidare in modo infruttuoso…”[4] 

Freud descrive efficacemente la psicoanalisi in termini economici : un arricchimento che la rimozione rende inaccessibile al paziente, il quale anzi dilapida energie per mantenere la difesa inefficace delle rimozioni. E, meno di cinquant’anni dopo, Jacques Lacan raccoglie da Freud.

“Perché, a proposito della ricchezza non partire dal ricco ? Il ricco ha una proprietà. Compra, compra tutto, beh diciamo che compra molto. Ma… il ricco non paga… 

Innanzitutto, sappiamo bene che il plusvalore egli se lo addiziona regolarmente… E, soprattutto c’è una cosa che non paga mai – il sapere…

Il ricco non è un padrone, se non perché si è riscattato… 

Perché da quando diventa ricco, può acquistare tutto senza pagare ? Perchè egli non ha niente a che fare col godimento… Un tale sapere il ricco se lo acquista come un di più. Solo che, appunto, non lo paga…”[5] 

Dunque il ‘sapere’ della psicoanalisi è ‘un di più’, un vantaggio ed un guadagno insomma e non un semplice godimento : Freud aveva nominato il ‘vantaggio’ in un testo molto speciale, “Aldilà del principio di piacere”[6] come qualcosa di proficuo, ben differente dalla rimozione. 

 “La teoria della rimozione è dunque il pilastro su cui poggia l’edificio della psicoanalisi. Essa costituisce l’elemento più essenziale della psicoanalisi e non è altro che l’espressione teorica di una esperienza ripetibile a volontà se si procede all’analisi di un nevrotico senza l’ausilio dell’ipnosi… Accade in questo caso di avvertire una resistenza che si oppone al lavoro analitico e adduce a pretesto un venir meno della memoria, al fine di renderlo vano. 

L’applicazione dell’ipnosi cela necessariamente questa resistenza; perciò la storia della psicoanalisi vera e propria ha inizio soltanto con l’innovazione tecnica della rinuncia all’ipnosi.”[7]

Dopo aver assistito, a partire dal 1886 alle lezioni universitarie di Jean Martin Charcot in cui, come in ogni futura terapia diretta il lavoro ‘del’ paziente si rende ininfluente, e purtroppo anche la sua stessa capacità di orientamento nella cura, Freud privilegiò il lavoro psicoanalitico che potesse essere agìto dal paziente stesso, usando della sua sola memoria in presenza dell’analista.   

“…La valutazione teorica del fatto che questa resistenza coincide con un’amnesia, conduce poi inevitabilmente a quella concezione dell’attività psichica inconscia che è propria della psicoanalisi, e che in ogni modo si distingue notevolmente dalle speculazioni filosofiche dell’inconscio.”[8]

Ecco perché il conflitto d’interesse medico-paziente, che non grava sul lavoro psicoanalitico, può essere invece un ostacolo alla cura nelle terapie ‘dirette’.

 

                        

                                                Marina Bilotta Membretti, Cernusco sul Naviglio 1 ottobre 2019

 

 

 

 

 

[1] ‘Il progresso in psicoanalisi’, Morris N. Eagle in ‘Psicoterapia e scienze umane’, Franco Angeli editore – Anno 2018, Vol.52, n.3

[2] S. Freud, , “Il problema dell’analisi condotta da non medici. Conversazione con un interlocutore imparziale”, 1925 : ci si potrebbe sorprendere che raramente si attinga a questo specifico testo di Freud.

[3] S. Freud, ibidem

[4] S. Freud, ibidem

[5] J.Lacan, “Il seminario – Libro XVII, Il rovescio della psicoanalisi 1969-1970” con postfazione di Jacques-Alain Miller – Giulio Einaudi editore SpA 2001 / Titolo originale : “Le seminaire de Jacques Lacan, Livre XVII. L’envers de la psychanalyse” 1991 Edition du Seuil, Paris

[6] S.Freud, “Aldilà del principio di piacere” 1920, Bollati Boringhieri Vol.9 p.242 : “…che il vantaggio costituito dall’anfimissi sia stato poi ritenuto ed utilizzato nella successiva evoluzione”.

[7] S. Freud, , “Il problema dell’analisi condotta da non medici. Conversazione con un interlocutore imparziale”, 1925.

[8] S.Freud, “Per la storia del Movimento Psicoanalitico”, 1914.