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‘Les Non-Dupes Errent’. George Simenon ed il signor Cardinaud (1942 )

George Simenon[1] ed il signor Cardinaud (1942 )

 

Illustrazione originale di Stefano Frassetto[2]. Rifer.:0_5516930_125008.jpg

 

 

 

“…Ma ad essere chiamato ‘il signor Cardinaud’ era lui, soltanto lui…”[3]

A differenza del commissario Maigret, che tributò un meritato successo a George Simenon, Hubert Cardinaud non si era mai occupato di investigazioni nella sua vita. Pur non essendo un ribelle né un emancipatore aveva preferito studiare anziché, come nella buona tradizione famigliare, prendere rapidamente bottega e moglie. Cardinaud si era diplomato e grazie alla sua competenza aveva potuto avviarsi ad una discreta carriera, infine aveva deciso di sposare la ragazza che gli piaceva. “Anche la gioia di Cardinaud era una gioia composta…”[4]

Ma accade qualcosa che non avrebbe mai previsto : tornando a casa da messa una domenica mattina con Jean, il primogenito di tre anni, trova che la moglie Marthe ha affidato la piccola Denise alla loro vicina, signorina Julienne e se ne è andata, senza lasciare messaggi ma portandosi via tremila franchi pronti per pagare la rata del mutuo che scadeva a giorni. In paese, dove tutti sapevano ciò di cui Cardinaud era all’oscuro, lo guardano e aspettano, un po’ ridendo ed un po’ chiacchierando… E lui, che per ben due volte piange – singhiozzando la prima volta, ed in silenzio la seconda[5] – decide infine, senza acrimonia e senza dubbi, di fare qualcosa che non è affatto nella tradizione da cui proviene. “Vado a cercarla, e a riportarla a casa.”[6]

Deve chiedere allora molti ‘per favore’, Hubert Cardinaud : anzitutto al superiore signor Mandine per un anticipo sugli stipendi che non avrebbe mai chiesto, ma la scadenza del mutuo è imminente ed i risparmi non ci sono più; e poi a qualcuno di fidato che si occupi dei bambini  e della casa mentre lui parte alla ricerca di Marthe; infine a qualcuno che, pur senza molta compassione, lo metta però in contatto col “piccolo farabutto…”[7] che ha chiesto soldi a Marthe con lusinghe e piagnistei.

Ecco dunque cosa si inventa Cardinaud, è questa la sua difesa – efficace e non ingenua - per recuperare il bene che gli era stato sottratto : un bene che anzitutto egli riconosce essere un bene. Ed è un lavoro tutto suo, che nessuno gli suggerisce ma che gli altri osservano dapprima ironicamente e via via con crescente attenzione, come se Cardinaud fosse “un convalescente da trattare col massimo riguardo…”[8]   

Jacques Lacan pronunciò per la seconda volta, nel novembre 1973 ‘Les Non-Dupes Errent’[9]: nella doppia significanza della frase che può essere riconosciuta anche come ‘les noms du pères’ c’è la malinconica ironia di un Lacan che si volta indietro a considerare tutta la strada percorsa.

C’è il simbolico, c’è l’immaginario… e c’è il reale, ci dice Lacan.

Non è immaginario il reale, trasporta ognuno di noi come niente e nessuno può ma è un sapere che non si può sapere, solo ‘amare’ – termine tuttora oscuro che riepiloga, condensa e maschera molto del ‘rimosso’ individuale : una posizione, quella de ‘l ‘inconscient’ che resta dunque rischiosa e purtroppo ingenua, non innocente nei suoi mascheramenti – anche se spesso culturalmente accettati – e soprattutto non difendibile.

Ma proprio poco dopo, nel testo tuttora densissimo, Jacques Lacan riconosce quel ‘disarmonico’ che finalmente ci rende affidabile, imputabile d’umano anche l’ ‘inconscient’ : perché dunque dovremmo ‘amarlo’, se così fastidioso e disarmonico, e proprio seguendo il discorso di ‘Les Non-Dupes Errent’ ?

Ecco allora ‘io’, ipotesi di un tribunale ‘non fallico’[10] che precede logicamente il linguaggio ma non la nascita e che si permette, si autorizza ad un sapere che lo mette al lavoro senza ingenuità, ma anche senza alcuna malinconia.

E’ solo un inizio, uno dei primi passi, ne parlerò.

 

               Marina Bilotta Membretti, Cernusco sul Naviglio Lunedì dell’Angelo 5 aprile 2021

 

 

 

[1] George Simenon (Liegi 1903 - Losanna 1989) cominciò giovanissimo, intorno ai sedici anni a lavorare come giornalista. Scrittore assai prolifico, pubblicò anche con pseudonimi i suoi numerosissimi romanzi, portando al successo – anche televisivo e cinematografico - il ‘Commissario Maigret’, personaggio da lui inventato per una serie di novelle. Il suo stile accurato e sobrio lascia però alla cura del lettore la ricerca di dettagli indispensabili e collegamenti. 

[2] Stefano Frassetto è nato a Torino nel 1968. Dopo la laurea in Architettura al Politecnico di Torino, ha iniziato come vignettista e disegnatore per alcuni giornali locali. A metà anni novanta ha cominciato a pubblicare anche in Francia, prima col mensile ‘Le Réverbère’ e in seguito col quotidiano ‘Libération’ : passato a sviluppare l’attività di fumettista col personaggio di Ippo per ‘Il Giornalino’ e poi la striscia ‘35MQ’ per il quotidiano svizzero ‘20 Minuti’, con l’anno 2000 fa il suo esordio su ‘La Stampa’ come ritrattista per le pagine culturali e per l’inserto ‘Tuttolibri’, poi per il settimanale culturale ‘Origami’. Oggi è anche ritrattista e illustratore presso il quotidiano svizzero ‘Le Temps’.

[3] ‘Il signor Cardinaud’, George Simenon – Adelphi Edizioni Spa (2020), trad. di Sergio Arecco/ p.37

[4]  ‘Il signor Cardinaud’, George Simenon – Adelphi Edizioni Spa (2020), trad. di Sergio Arecco/ p.9

[5] “Dopo il pianto è padrone dei suoi nervi…”/ p.49

[6] ‘Il signor Cardinaud’, George Simenon – Adelphi Edizioni Spa (2020), trad. di Sergio Arecco/ p.59

[7] “…un piccolo farabutto” lo chiama il macchinista Drouin, imponente uomo di mare che nel tempo libero vende ostriche e cura il suo podere : ha conosciuto quel Chitard che Cardinaud sta cercando e che si nascondeva sul mercantile ‘Aquitaine’ grazie alla pazienza di Drouin ma che, prima di scendere dalla nave ha rubato a Drouin l’orologio del padre.   ‘Il signor Cardinaud’, George Simenon – Adelphi Edizioni Spa (2020), trad. di Sergio Arecco/ p.70-73

[8] ‘Il signor Cardinaud’, George Simenon – Adelphi Edizioni Spa (2020), trad. di Sergio Arecco/ p.59

[9] Il testo originale si trova su www.radiolacan.com

[10] ‘Il pensiero di natura’, Giacomo B. Contri (1998) – SIC Edizioni, p.22, p.83, p.99, p.195;‘Ereditare da un bambino. Perché no?’, Marina Bilotta Membretti (2014) Isbn 978-88-91081-63-6, p.23, pp.27-29, p.30, p.46.

 

 

Umbra mentis.

‘Caravaggio Napoli’ è il titolo della mostra svoltasi a Napoli presso il Museo di Capodimonte, fra il 12 aprile ed il 14 luglio 2019.

 

 

 

‘Caravaggio’[1] è già famoso quando arriva a Napoli nel settembre 1606, e nonostante il trasferimento da Roma sia piuttosto una fuga per sfuggire alla giustizia[2].

Capitale internazionale e non provincia, Napoli accoglie Caravaggio come un onore e le famiglie notabili gli commissionano subito quadri importanti, soprattutto per chiese cittadine.

‘Flagellazione’ è un tema frequente nella Cultura dell’epoca : ‘Flagellazione di Cristo’ viene commissionato a Caravaggio dal magistrato Tommaso de’ Franchis, per la chiesa di S.Domenico Maggiore[3]. E lui sorprende di nuovo, staccandosi nettamente dalla Cultura irrompente  - che peraltro conosceva a fondo e da cui era stato finemente educato  - con un precedente che si rivelerà assoluto nella Cultura europea : ‘Flagellazione’ si pone infatti come spartiacque rispetto alle  sovrastanti influenze fiamminghe le quali insistono, pur dopo il Concilio di Trento (1545-1563), su un Cristo non umano, sublimazione e distanza dall’ingombro di un corpo-zavorra col suo carico di sofferenza.

Ma il Cristo di questa ‘Flagellazione’ (1607) non si allontana di un millimetro dall’uomo in carne ed ossa del Vangelo, non si arrende e nemmeno si ribella alla invidia di chi odia la luce involontaria del suo corpo : tutto è detto nel ritratto magistrale di un volto che soffre senza elemosinare compassione, conosce bene la realtà. E magistrale è anche la descrizione dei due assalitori, evidentemente più vecchi e perfettamente giustificati nella loro ‘jouissance’[4], esausti per la inefficacia complessiva del supplizio che seguirà.

Ed è proprio in quel ‘prima’ infatti, scelto sapientemente, il tempo in cui la luce può ancora illuminare la forza e la perfezione di un corpo robusto, giovane : Caravaggio si rivela eccellentissimo e devoto, in antitesi con la moda contagiosa che arriva dalle Fiandre e che sorride frivola alla eresia, senza riconoscerne il peccato.

‘Umbra mentis’ è la condanna dei due torturatori che operano in una oscurità capace di spazzare via logica e ragione, e ciò per la posizione stessa che essi devono assumere nella geometria di gesti reali : la involontarietà non ingenua dell’umano che per questa via si rende innocente, non può che venire alla luce infatti.

Né volontà né resilienza hanno condotto Cristo fin qui: non è uno stupido, ci dice Caravaggio con competenza assoluta ma senza alcuna emozione. Pochi quadri hanno la capacità di esprimere il bene ed il male dell’umano con così lucida consapevolezza.

Ma non fu per Caravaggio un lavoro facile, ‘di getto’ per così dire, e per come ormai – nella sua maturità - era solito dipingere, incidendo direttamente il disegno sulla tela, a punta di pennello[5]. I ‘pentimenti’ qui, come tecnicamente vengono chiamate coperture e ridipinture[6], indicano la laboriosità paziente dell’artista.

Su questa inimmaginabile e salvifica sortita dell’umano che Cristo è, Freud si interrogò a lungo, trattando con chi soffriva di allucinazioni e deliri : pochi anni dopo aver pubblicato nel 1910 il ‘Caso Schreber’ che definì un caso di paranoia, più che di demenza[7], Freud annotava in una stringata e densissima corrispondenza con l’ambasciatore americano William C.Bullit[8] - che gli chiedeva un parere a proposito della politica pacifista del presidente U.S.A. Thomas W. Wilson, impegnato nelle ‘Trattative di Versailles’ (1919) – come la consapevolezza ed accettazione della realtà siano indispensabili per evitare la follia.

Con la sua interpretazione lucida, rivoluzionaria, non ribelle e di molto precedente le scoperte psicoanalitiche, Caravaggio indica quindi la canagliaggine ombrosa e la frivolezza menzognera responsabili di crimini, perfino dei più odiosi.

 

                      Marina Bilotta Membretti, Cernusco sul Naviglio 27 marzo 2021

 

 

[1] Michelangelo Merisi, detto ‘Il Caravaggio’ – località fra Milano e Bergamo da cui provenivano i genitori - nacque a Milano nel 1571; morì nel 1610, durante il viaggio del suo ritorno a Roma.

[2] Durante una rissa nel 1606 in città, Caravaggio aveva ucciso d’impeto il suo avversario : a seguito di questo ennesimo reato, egli venne condannato a morte.

[3] S.Domenico Maggiore è una basilica importantissima a Napoli, dove soggiornò S.Tommaso D’Aquino e di cui restano testimonianze : ‘Flagellazione di Cristo’ fu poi spostata al Museo di Capodimonte, dove si trova tuttora.

[4] ‘Jouissance’ è un termine corrente della lingua francese, ma fu introdotto dallo psicoanalista francese Jacques Lacan per indicare ‘povertà’, rivelata anche dall’inconscio. 

[5] ‘Seppellimento di santa Lucia’ a Siracusa (1608) – città nella quale Caravaggio era arrivato di ritorno da Malta – resta un esempio di pittura caravaggesca in cui il disegno che precede il colore è rimasto inciso direttamente sulla tela.

[6] Sulla tela sono visibili tracce di una figura dipinta e poi ricoperta.

[7] “La personalità di Schreber ha opposto una intensa resistenza contro questa fantasia – ‘omosessuale passiva, che ha scelto come proprio oggetto la persona del medico’ (ndr) – e la lotta difensiva che ne è risultata, fra le forme diverse che avrebbe potuto assumere, ha scelto, per motivi che ci sono ignoti, quella del delirio di persecuzione… Il persecutore si scompone, se esaminiamo il delirio nel suo insieme, nelle persone del medico Flechsig e di Dio; a sua volta Flechsig stesso più tardi si scinde in due persone… E’ questo un tratto assai caratteristico della paranoia.”, ‘Osservazioni psicoanalitiche su un caso di paranoia descritto autobiograficamente. Caso clinico del presidente Schreber’, Sigmund Freud (1910) in ‘OSF. Vol.VI’ Bollati Boringhieri editore Srl (2012), pp.374-376.

[8] “…Questo accrescimento esagerato del Super-Io non è una rarità : la psicoanalisi può affermare che l’identificazione del padre con dio appartiene ai processi normali, sebbene non costanti, nella vita psichica. Ma quando il figlio identifica sé con il padre ed il padre con dio, elevando questa immagine paterna a proprio Super-Io, a quel punto egli sente di avere dio in sé stesso, di diventare egli stesso dio. Tutto ciò che fa deve essere giusto, perché dio stesso lo ha fatto. In alcuni individui, l’importo di libido che va a caricare questa identificazione con dio diventa talmente grande che essi perdono la facoltà di tener conto dei fatti del mondo esterno che la contraddicono. Questi individui finiscono poi in manicomio. Ovviamente, l’uomo il cui Super-Io è costruito su di un simile presupposto e che serba un pieno rispetto per la realtà, qualora possieda delle capacità, può compiere grandi cose nel mondo…”, pp.44-45 ‘Sigmund Freud. Manoscritto 1931 inedito in edizione critica’, a cura e con testi di Manfred Hinz e Roberto Righi – traduzione di Stefano Franchini (2015) ‘lacasa USHER’/ ‘VoLo publisher srl’.

Ancora . Sovvertimento di una resistenza.

“Ecco perché è solo quando il vostro ‘non ne voglio sapere niente’ vi appare sufficiente che, se siete miei analizzanti, potete distaccarvi normalmente dalla vostra analisi. E concludo che, contrariamente a quanto si va dicendo, la mia posizione di analista non è affatto pregiudicata da quel che faccio qui.”(1)

E’ evidentemente già la posizione di Freud.

 

                                                                                       Marina Bilotta Membretti, Cernusco sul Naviglio 8 marzo 2021



(1)Il brano citato è tratto da “Jacques Lacan. Il seminario – Libro XX. Ancora (1972-1973)”, testo stabilito da Jacques-Alain Miller – edizione italiana a cura di Antonio Di Ciaccia. Einaudi Piccola Biblioteca (2011), pag.3

Marina Bilotta Membretti, Cernusco sul Naviglio 8 marzo 2021

"Il cliente" Minori capaci di intendere e di volere.

‘Dora’ non aveva ancora diciotto anni nel 1898  quando suo padre, preoccupato per gli sbalzi di umore della figlia ma soprattutto a disagio per quella imprevedibile aspra oppositività a lui inspiegabile, decise infine di rivolgersi  al dottor Sigmund Freud che risiedeva e lavorava a Vienna, e del quale già si conoscevano alcuni successi clinici fra i pazienti dell’allora emergente cura psicoanalitica.

‘Il Caso di Dora – Frammento di analisi di un caso d’isteria’ fu pubblicato da Freud solo nel 1905, più di quattro anni dalla fine della psicoanalisi e senza riferimenti alla giovane il cui padre aveva chiesto e finanziato la terapia : il testo riporta senza reticenze la decisione di Freud di lavorare a difesa della paziente, ritenendo lei  reale mandante della cura.

Le pretese del padre di ‘Dora’ perchè la figlia assumesse nei suoi confronti una condotta tranquilla furono recepite con fiducia da Freud ma, mano mano che il lavoro analitico procedeva, egli cominciò a prendere in seria considerazione le richieste avanzate dalla paziente : ammetteva d’altra parte che ‘Dora’ si comportava diligentemente riguardo le regole stabilite per la cura. La difesa di ‘Dora’ diventò quindi il reale traguardo di quel lavoro a due che Freud aveva chiamato psicoanalisi : una posizione professionale che costituì senza dubbio un bivio nella cura delle nevrosi, in quanto ‘le’ pazienti erano spesso inviate dal marito o dal padre a causa di comportamenti ritenuti asociali o socialmente non accettabili. Freud decise che la propensione alla cura dimostrata dal paziente fosse sufficiente a motivarne la difesa – anche nei riguardi di un mandante terzo – e fino ad una guarigione possibile. La pubblicazione del Caso costituì un precedente formale nella professione e nei confronti dei Colleghi di Freud : vi si riconosceva che la nevrosi rende carente la difesa di un soggetto, facendo precipitare posizioni che inizialmente sarebbero affrontabili.

‘Il Caso di Dora – Frammento di un’analisi d’isteria’, S.Freud (1901) in “Sigmund Freud. Isteria e angoscia. Il Caso di Dora e altri scritti”, Edizione integrale di riferimento – Introd. Di Cesare L. Musatti, Bollati Boringhieri editore (2014)

Sembra pertinente allora il titolo “Il cliente” di un noto romanzo in cui l’undicenne Mark decide da solo di rivolgersi ad un avvocato : è stato testimone, insieme al fratellino di otto anni, di un suicidio che, nel tentativo di sventare, lo ha coinvolto nella violenza del suicida ma anche di crimini  che dovevano restare segreti. Ben presto Mark si rende conto - già telefonando alla Polizia per segnalare il cadavere e anche poi, trovandosi di fronte alle prime domande - che la ‘sua’ difesa non può reggere. Tuttavia, l’avvocato che si è reso disponibile al termine di una ricerca intelligente e pur ancora ingenua da parte del bambino, sarà poi anche affidabile ? Mark però non può andare troppo per il sottile.

Ed è interessante che, nell’affidare l’incarico, Mark ancora non sappia che la fattispecie del suo caso non incontrerà affatto il favore della Legge : un testimone infatti, pur minorenne ed esposto al rischio di ritorsioni, viene facilmente incriminato “per ostacolo alla giustizia”  se non confessa tutto quanto è venuto a sapere nel corso di indagini su crimini, ed anche se ciò è avvenuto contro la sua volontà.

“C’era qualcosa di ingiusto in un sistema in cui un ragazzino veniva trascinato in tribunale, circondato da avvocati che discutevano e si beccavano sotto gli occhi sprezzanti di un giudice che fungeva da arbitro e, in mezzo a quelle raffiche di leggi e di articoli del codice e di istanze e di termini avvocateschi, il ragazzino era tenuto a capire cosa gli stava succedendo. Era irrimediabilmente ingiusto.”

La ‘ingiustizia’ dunque è percepita da Mark non erroneamente : questo accade anche per altri soggetti ‘capaci di intendere’.

Tuttavia ‘la capacità di intendere’ è solo la prima porta di accesso alla costruzione di una difesa in cui la ‘capacità di volere’ possa efficacemente coniugarsi, quando in un soggetto tale capacità sia affettivamente stravolta, smarrita, o comunque latitante.

 

Marina Bilotta Membretti, Cernusco sul Naviglio 27 febbraio 2021

 



p. 238, “Il cliente”, John Grisham (1993) – Mondadori editore (2016).
pp. 285-286 “Il cliente”, John Grisham (1993) – Mondadori editore (2016).


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