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Superbia. O giudizio.

"Johanna Vicecomites Galure comitissa".

 

Illustrazione di Melissa Spandri.

Il testo "Johanna Vicecomites Galure comitissa" è stato pubblicato sulla homepage dell'Associazione culturale "Italia medievale" - www.italiamedievale.org 27 febbraio 2018

 

 

 

Chissà se Freud, venendo a Milano il 14 settembre del 1898, avrà sostato presso quello che fu nel 1300 il Palazzo del Broletto vecchio(1), dove visse un tempo della sua vita Giovanna Visconti(2), ultima Giudicessa di Gallura ed ambita sposa dei Visconti di Milano che per lei non esitarono a passare ad opposta fazione politica, modificando persino lo stemma cittadino. Figlia di Beatrice d'Este e del suo primo marito, Nino Visconti Judex Galure(3), Iohanna Vicecomites fu insignita fin dalla nascita, iusto ereditario iure, quale comitissa Galure et tercie partis regni kalaritani domina(4), con gli stessi poteri di governo del suo nobile padre e dunque alla pari di un erede maschio, come prevedeva il Diritto giudicale. Sebbene vigorosamente insistita da più parti e soprattutto dal nuovo patrigno Galeazzo I Visconti che ne reclamava la lontana parentela e dunque la potestà di maritarla secondo le proprie esigenze politiche, Iohanna si mantenne invece Domina, cioè sovrana e non volle mai passare a dama con tutti gl'ingombranti orpelli di quella frivolezza, servilismo e malinconico ricatto che Freud dovette ravvisare nelle patologie di fine Ottocento, e non solo femminili.
 
Dante Alighieri, che aveva ascoltato la tenerezza di Nino verso Johanna durante colloqui amichevoli a Firenze, la nomina come unica assistente terrena di quel Giudice gentil ancora troppo legato agli affetti della vita. "... Quando sarai di là da le larghe onde / dì a Giovanna mia che per me chiami / là dove a li'nnocenti si risponde..."(5)
 
Quando il padre morì nel 1297, dettando la volontà che il suo cuore fosse sepolto a Lucca presso la Chiesa dei Frati di San Francesco, Giovanna aveva cinque anni e di lì a poco la sua vita avrebbe preso una brusca virata. Da tempo infatti il Duca d'Este e padre di Beatrice Obizzo II, guardava alle vicende del genero Nino con riprovazione, pentendosi di aver ceduto alle richieste della figlia di sposare quel giovane Capitano del popolo e poeta, ben inserito sì nel governo di Pisa ma perseguitato poi, pur se ignobilmente, dalla sua città. Obizzo II seguì con l'occhio gelido del falco le traversìe di Nino, tornato precipitosamente nel 1288 in una Gallura depredata e raggirata dalla stessa amministrazione del Giudicato, affidata al corrotto frate Gomita(6) che il Giudice Giovanni, padre di Nino, già amico di Obizzo II(7) ed alleato vittorioso dei pisani su Cagliari(8), gli aveva affiancato in vita ma che Nino dovette condannare a morte di fronte a sudditi impoveriti e scontenti. Pochi guelfi gli rimasero vicini, quando Nino morì : Obizzo II richiamò imperiosamente la figlia, intimandole lo zio Taddeo di Monteorgiale come tutore di Johanna, diventata improvvisamente erede di un regno potente e strategico, insidiato dalle pretese dei pisani che reclamavano tributi contestati. Lasciando precipitosamente Villa Templi(9), prudente residenza di Nino Visconti, madre e figlia raggiunsero nuovamente Volterra(10), ai cui cittadini Bonifacio VIII raccomandò la infanta Iohanna e la cospicua eredità in pericolo.
 
Promessa con la benedizione paterna a quel Corradino Marchese dei Malaspina(11) che già nel 1305 risultava erede dei Castelli di Bosa, di Osilo e di altri possedimenti nel nord della Sardegna e che col Giudice Nino condivideva una illuminata accoglienza verso intellettuali e poeti, Giovanna, che molto somigliava alla bella madre, seppe improvvisamente che l'accordo matrimoniale era stato interrotto.
 
Comperata poi magnis pecuniis(12), Giovanna giunse al Palazzo del Broletto a Milano il 2 luglio del 1300(13), accompagnando Beatrice sposa di Galeazzo I,(14) ed accolta a Chiaravalle dai Cavalieri per gli otto giorni di corte bandita con torneamenti, giostre e l'inaugurazione del primo cocchio sospeso. Ai Visconti piacque infatti presentare la infantula comitissa ai milanesi quale possibile sposa del terzogenito di Mattheo Grande. Eppure, col matrimonio della madre che le severe leggi del Giudicato non avrebbero approvato, Iohanna prese le distanze da Beatrice che accettava di maritare quel giovane così arrogante verso l'amato padre Nino, ora ridotto al "Visconti di Pisa, il perdente".
 
Certo, un disinvolto matrimonio fra Giovanna e Galezzo I avrebbe semplificato di molto l'appropriazione di quell'alta nobiltà con cui Milano avrebbe potuto anche dotarsi di un porto sul Mediterraneo, alla pari delle potenti Repubbliche, nonchè di quel territorio costiero che controllava le vie battute dai traffici verso Francia e Spagna(15).
 
Ma forzato dall'urgenza di nuovi eredi per il controllo di Milano, il patriarca deviò verso l'ancor piacente Beatrice d'Este che all'epoca aveva già dieci anni più di Galeazzo. Esca prelibata per l'avvio della intensissima politica matrimoniale che condusse i Visconti ad estendere la propria influenza ben oltre i confini di Milano, fu proprio la bella vedova dell'ultimo Giudice di Gallura, che senza lunghi corteggiamenti ed in cambio di qualche valido mercenario si lasciò condurre dai parenti ad un matrimonio, che alle dame di corte serviva per rendersi oggetto prezioso da custodire per il proprio lignaggio. E fino a che non se ne potesse ricavare altro guadagno...
 
"Non credo che sua madre più m'ami / poscia che trasmutò le bianche bende / le quai convien che, misera !, ancor brami / Per lei assi di lieve si comprende / quanto in femmina foco d'amor dura / se l'occhio o 'l tatto spesso non l'accende..."(16) Intanto, presso i cerimoniosi parenti di Ferrara, Giovanna restava disorientata dai maneggi politici che anche lei sottoponevano ad una trama soffocante di accordi incomprensibili in vista del Potere.
 
Galeazzo I però, pur avvezzo alla rude vita guerresca, dovette ben presto realizzare di esser stato coinvolto in una lotta impari con quella nobile giovanetta, che nella sua resistente quanto legittima sovranità incarnava il lato imprevedibile di un nemico temuto ed a cui la Bibbia stessa affiancava il serpente malefico : la Donna. E nel Palazzo del Broletto, dove Galeazzo I aveva la sua corte, proseguì quel sequestro dorato già avviato a Ferrara dallo zio Azzo per indurre Giovanna a seguire l'esempio della madre. Ma nonostante la nobiltà giudicale che certo la sosteneva, Giovanna dovette soffrire per l'allontanamento che Beatrice agiva con una sconosciuta e frivola noncuranza.
 
Gli eventi si susseguirono vorticosamente fino al 1302, quando l'insurrezione capeggiata dai Torriani(17) obbligò i Visconti a rifugiarsi presso gli estensi(18) fino a che Mattheo ottenne da Enrico VII le insegne di vicario imperiale. A Ferrara Giovanna sopportò la presenza assillante di Fresco, figlio naturale di Azzo d'Este che spesso era assente da Ferrara, ed infine fu promessa ad un rampollo della potente casata genovese dei Doria.
 
La comitissa osò respingere con autorevolezza inaudita la domanda di Bernabò Doria, rappresentante di una famiglia che aveva condotto con l'inganno le trattative di pace agìte in favore di Pisa dal compianto padre Nino e che in Sardegna già s'insinuava fra i Giudicati di Arborea e di Cagliari. Ma il diniego matrimoniale, che dal Concilio Lateranense IV del 1215 usciva rafforzato, era un atto concesso alla donna medioevale nella sua autonomia, anche se raramente agìto. Galeazzo I dovette lagnarsi con Beatrice per quella figlia insolente ma un fatto è che a diciassette anni Iohanna, domina e comitissa Galure si occupava di difendere il suo cospicuo patrimonio rivolgendosi direttamente a Giacomo II, Re di Sicilia ed appena infeudato da Bonifacio VIII del Regnum Sardiniae et Corsicae, perchè le fosse riconosciuta l'eredità legittima. "Miserabilis orfana omni destituta suffragio et terris nostris nequiter spoliata", nominando il comportamento "tirannico et ferino" dei pisani anche in terra di Gallura, i quali "nos mulierem sine difensore, pupillam et orfanam actendebant..."(19)
 
E dopo poco, affranta dalla strenua difesa che la impegnava senza sosta, Johanna si ammalò gravemente, salvandosi pare per un soffio, ma offrendo finalmente al Visconti l'occasione per obbligarla ad un matrimonio protettivo con quel Rizzardo da Camino che a Galeazzo I prometteva la carica di podestà della strategica Trieste. La pessima fama del corrotto Rizzardo, da cui Giovanna seppe prudentemente tenersi distante, ricadde pesantemente anche sull'amicizia con Galezzo I, sempre meno amato a Milano... Fino a che il trevigiano venne ucciso in una congiura che da tempo si orchestrava per fermarne le angherie, mentre Johanna si trovava presso la madre alla corte milanese. Affrontando vicissitudini davvero inusuali per una Donna medioevale, Johanna preferì, dopo la morte della madre(20), trasferirsi a Firenze che riconosceva i meriti ed il valore di Nino e che ne accolse dignitosamente la figlia in esilio(21).
 
Dante però, a cui pure l'amico Judex aveva affidato un messaggio accorato per Johanna, fu severo con lei collocandola fra coloro che restano incupiti dal dolore e dalla solitudine...(22) Se Galeazzo I infatti non aveva favorito Giovanna, nemmeno lo favorì lei preferendogli, e solo nell'atto testamentario, il colto e paziente Azzone che, morto il padre, avviava la ristrutturazione del Broletto in una magnifica residentia, richiamando a Milano il sommo Giotto, grazie al favore di cui Giovanna godeva presso i fiorentini.
 
Conquistato l'agognato titolo di princeps in tertia parte regni Sardinie, Azzone Visconti mutò la serpe del casato paterno e ghibellino in un drago munito di creste regali, denti e grandi orecchie, generatore(23) e non divoratore d'uomini ma inquartato alla guelfa nella Croce di San Giorgio, avvicinando così le due famiglie viscontee un tempo nemiche nel nuovo vessillo di Milano, e mantenendone il motto : "Vipereos mores non violabo"(24) affinchè il mondo sapesse che l'impervia arrampicata da cui Galeazzo I(25) fu vinto non impediva al figlio di raccoglierne il frutto, al prezzo più lieve di un lavoro prudente ed astuto che ne avrebbe contraddistinto la successiva Storia.

 

Marina Bilotta Membretti  Cernusco sul Naviglio, 14 settembre 2017

 



(1)Parte dell'attuale Palazzo Reale, fino a Via Ore e alla chiesa di San Gottardo in Corte segnalata dal bel campanile di Azzone Visconti.
 
(2)"La casata dei Visconti (Vicecomites) era una delle più antiche famiglie pisane... Introdotto in Italia dai Franchi, il visconte era un vero e proprio sostituto del conte...", Michele Tamponi/"Nino Visconti di Gallura"-Ed.Viella 2010 p. 61-62
 
(3)Nel VII sec.d.C in Sardegna, lo Judex provinciae era nominato direttamente dall'imperatore di Bisanzio che riconosceva così la legittimità del sistema giudicale che in Sardegna proveniva dal Diritto celtico, si articolava nelle tre funzioni sacrale-giuridica, guerriera e produttiva, ed in cui la successione ereditaria, quindi governativa, era estesa alla donna. I quattro Giudicati furono veri e propri Stati con sovrani dotati di summa potestas nazionale ed internazionale secondo il principio "superiorem non recognoscentes".
 
(4)Comitissa o giudicessa, Giovanna Visconti era titolare dei Castelli di : Galtelli, Posada, Villa Petrosa, Terranova nel Giudicato di Gallura, e di Kirra e di Ogliastra nel Giudicato di Cagliari.
 
(5)Dante Alighieri, "Divina commedia" – Purgatorio Canto 8°,vv 70-72
 
(6)Personaggio della Divina Commedia menzionato da Dante Alighieri nel XXIII canto dell'Inferno tra i "barattieri", frate Gomita fece evadere prigionieri dietro riscatto.
 
(7)Obizzo II d'Este e Giovanni Visconti di Gallura favorirono fin dal 1265 con un trattato d'alleanza l'ascesa del Conte Carlo d'Angiò, fratello di Re Luigi IX di Francia e futuro re di Napoli e di Sicilia.
 
(8)La vittoria del 1254 fece ottenere a Giovanni Visconti un terzo del Giudicato di Cagliari, ereditato poi da Nino ed infine dalla figlia Giovanna.
 
(9)Villa Templi, odierna Tempio Pausania, conserva i resti di un edificio signorile ritenuto la residenza del Giudice Nino Visconti di Gallura che per motivi di sicurezza preferì non abitare con la famiglia nel Castello di Pedres (Olbia).
 
(10)Dopo aver sposato Nino, Beatrice aveva vissuto a Volterra dove pare che sia anche nata Giovanna.
 
(11)Corradino Malaspina era nipote del Corrado Malaspina che Dante incontra insieme a Nino Visconti nell'Antipurgatorio.
 
(12)G.Fiamma, Opusculum de rebus gestis Azonis Vicecomitis
 
(13)Il 1300 è il primo Anno Santo istituito intenzionalmente da papa Bonifacio VIII con la Bolla " Antiquorum habet fida relatio" (trad.:"Un documento degno di fede"). E'anche l'anno in cui Dante Alighieri situa il viaggio descritto nella Divina Commedia.
 
(14)Il matrimonio fu celebrato il 24 giugno nella Cattedrale di Modena. Per l'occasione Galeazzo I vestiva il cingulum militiae, segno di riconoscimento per un funzionario attivo nell'Impero romano.
 
(15)La vigilanza guerresca simboleggiata dal gallo celtico fu introdotta nello stemma intorno al 1050 ma già Benedetto VII, prima dell'anno mille, donava ai pisani-sardi impegnati a Musetto contro i saraceni lo stemma dei quattro mori inquartati nella Croce di San Giorgio, che si ritrova anche presso i Cavalieri Templari e tuttora in Sardegna. Fretum gallicum, o stretto gallico era il territorio strategico fra Sardegna e Corsica, oggi limitato all'attuale Bocche di Bonifacio.
 
(16)Dante Alighieri, Divina Commedia – Purgatorio VIII vv 73-78 Nino Visconti si rivolge così alla figlia lamentando il nuovo matrimonio di Beatrice.
 
(17)Guido della Torre avviò una rivolta per il raggiro con cui Galeazzo I aveva sottratto Beatrice al matrimonio promesso col figlio di Alberto Scotti, signore di Piacenza.
 
(18)A Ferrara nacque nel 1302 Azzone Visconti, figlio di Galeazzo I e di Beatrice e qualche anno dopo Ricciarda, entrambi fratellastri di Giovanna Visconti.
 
(19)"Augurando a Voi, legittimo e giusto re Giacomo II d'Aragona, di recuperare il Regno felice di Sardegna che Vi è stato consegnato ed ora caduto nelle mani di rapaci occupanti (i Pisani, n.d.r.) cosicchè noi, spogliati di tutti i nostri beni potremo gioire quando ci verranno restituiti..." cit. dalla lettera 10 gennaio 1309, Giovanna Visconti (V.Salavert Y Roca, Giovanna di Gallura ).
 
(20)Beatrice d'Este morì nel 1334.
 
(21)Joahnna morì a Firenze nel 1339, e sepolta pare presso la Chiesa della SS.Annunziata.
 
(22)Divina commedia, Purg., XI, 1-21. La severità dantesca, che si ritrova nella coeva letteratura cortese, oscilla fra tota mulier in utero e mulier sancta.
 
(23)Su un capitello della Basilica di Sant'Ambrogio è infatti un serpente bronzeo, donato dall'imperatore di Bisanzio intorno al 1000 d.C., copia del Nehustan forgiato da Mosè nel deserto per difendere il suo popolo.
 
(24)"Non oserò violare le consuetudini delle vipere", (trad.)
 
(25)Non favorito da Ludovico IV il Bavaro, Galeazzo I, servì infine Castruccio Castracani morendo scomunicato a Pescia nel 1328.
 

...Impossibile lavorare soli.

 

 

Qualunque manifattura – un libro, come un abito - richiede competenze diverse, coordinate, collaboranti, mai obbligatorie :  e forse sta in questa non obbligatorietà il cuore della soddisfazione, questione esclusivamente umana perché si fonda sul lavoro.

Come si spiega allora la ingenuità della ripetizione nevrotica, e di quella che anche comunenemente chiamiamo fissazione, cioè impedimento patologico a riconoscere la presenza efficace di un altro reale ?

Sarebbe sufficiente segnalare la impotenza di una mitica ‘jouissance’ che non può che restare incatenata ad un unico, irrelato altro che partner non è : mentre sappiamo che persino i genitori, in quanto uomo e donna, si presentano fin da subito al bambino come partners al collaudo, e tali converrà che si mantengano.

Una patologia psichica premia insomma il mentire sulla solitudine, persino nel bambino e persino quando la si asserisca come ‘autonomia’ : è in effetti una bugia e fino alla più sconcertante amnesia, ma agìta dietro intimidazione di dover rinunciare alla propria soddisfazione, di cui quella ‘jouissance’ è solo una parte e per quanto brevemente essa sia stata pur sperimentata.

‘Heimlich’ – da ‘heim’, casa – usa Freud per indicare qualcosa ‘che appartiene alla casa’[1], e ‘unheimlich’ per indicare il suo contrario che suscita diffidenza, e poi angoscia quando la ‘non familiarità’ venga rimossa, allontanata cioè, ma senza elaborazione.

Occorsero anni a Freud per arrivare a collegare lo scioglimento dell’angoscia, quale soluzione alla corrosione patologica operata dalla melanconia, alla mitologia[2] del Titano Prometeo - punito dagli dei per aver loro rubato il fuoco – e di Eracle[3] il quale, salvando Prometeo e con lui sia il fuoco che l’acqua di cui infatti l’umanità già disponeva, conferma la legge che regola l’umanità : il mito però trascura la realtà dei sessi che, pur nella loro differenza, possono cambiare posizione nella partnership.

Gli dèi insomma hanno dato origine ad un frainteso che di rado viene liquidato e rischia nell’immaginario di passare ad eroica iper-responsabilità[4].

 

                                            Marina Bilotta Membretti, Cernusco sul Naviglio 2 maggio 2021

 

<Riferim.illustr.: 0_5520117_125008.jpg>

 

 

[1] ‘Il perturbante’, S.Freud (1919) in “Sigmund Freud. Opere II”, Gruppo Editoriale L’Espresso SpA (2006), pp.761-763

[2] E’ infatti del 1931 la pubblicazione de ‘L’acquisizione del fuoco’ di S.Freud : qui ho fatto riferimento alla traduzione di Giacomo B.Contri (2007) per ‘Studium Cartello – Il lavoro psicoanalitico’, e-book.

[3] Eschilo (525 a.C.-456 a.C.) è autore sia de ‘Il Prometeo incatenato’ sia de ‘Il Prometeo liberato’ : di questa opera restano però solo alcuni frammenti e riferimenti in altri autori.

[4] “Dio creò l'uomo a sua immagine; a immagine di Dio lo creò; maschio e femmina li creò”/ Genesi 1, 27.

 

‘Les Non-Dupes Errent’. George Simenon ed il signor Cardinaud (1942 )

George Simenon[1] ed il signor Cardinaud (1942 )

 

Illustrazione originale di Stefano Frassetto[2]. Rifer.:0_5516930_125008.jpg

 

 

 

“…Ma ad essere chiamato ‘il signor Cardinaud’ era lui, soltanto lui…”[3]

A differenza del commissario Maigret, che tributò un meritato successo a George Simenon, Hubert Cardinaud non si era mai occupato di investigazioni nella sua vita. Pur non essendo un ribelle né un emancipatore aveva preferito studiare anziché, come nella buona tradizione famigliare, prendere rapidamente bottega e moglie. Cardinaud si era diplomato e grazie alla sua competenza aveva potuto avviarsi ad una discreta carriera, infine aveva deciso di sposare la ragazza che gli piaceva. “Anche la gioia di Cardinaud era una gioia composta…”[4]

Ma accade qualcosa che non avrebbe mai previsto : tornando a casa da messa una domenica mattina con Jean, il primogenito di tre anni, trova che la moglie Marthe ha affidato la piccola Denise alla loro vicina, signorina Julienne e se ne è andata, senza lasciare messaggi ma portandosi via tremila franchi pronti per pagare la rata del mutuo che scadeva a giorni. In paese, dove tutti sapevano ciò di cui Cardinaud era all’oscuro, lo guardano e aspettano, un po’ ridendo ed un po’ chiacchierando… E lui, che per ben due volte piange – singhiozzando la prima volta, ed in silenzio la seconda[5] – decide infine, senza acrimonia e senza dubbi, di fare qualcosa che non è affatto nella tradizione da cui proviene. “Vado a cercarla, e a riportarla a casa.”[6]

Deve chiedere allora molti ‘per favore’, Hubert Cardinaud : anzitutto al superiore signor Mandine per un anticipo sugli stipendi che non avrebbe mai chiesto, ma la scadenza del mutuo è imminente ed i risparmi non ci sono più; e poi a qualcuno di fidato che si occupi dei bambini  e della casa mentre lui parte alla ricerca di Marthe; infine a qualcuno che, pur senza molta compassione, lo metta però in contatto col “piccolo farabutto…”[7] che ha chiesto soldi a Marthe con lusinghe e piagnistei.

Ecco dunque cosa si inventa Cardinaud, è questa la sua difesa – efficace e non ingenua - per recuperare il bene che gli era stato sottratto : un bene che anzitutto egli riconosce essere un bene. Ed è un lavoro tutto suo, che nessuno gli suggerisce ma che gli altri osservano dapprima ironicamente e via via con crescente attenzione, come se Cardinaud fosse “un convalescente da trattare col massimo riguardo…”[8]   

Jacques Lacan pronunciò per la seconda volta, nel novembre 1973 ‘Les Non-Dupes Errent’[9]: nella doppia significanza della frase che può essere riconosciuta anche come ‘les noms du pères’ c’è la malinconica ironia di un Lacan che si volta indietro a considerare tutta la strada percorsa.

C’è il simbolico, c’è l’immaginario… e c’è il reale, ci dice Lacan.

Non è immaginario il reale, trasporta ognuno di noi come niente e nessuno può ma è un sapere che non si può sapere, solo ‘amare’ – termine tuttora oscuro che riepiloga, condensa e maschera molto del ‘rimosso’ individuale : una posizione, quella de ‘l ‘inconscient’ che resta dunque rischiosa e purtroppo ingenua, non innocente nei suoi mascheramenti – anche se spesso culturalmente accettati – e soprattutto non difendibile.

Ma proprio poco dopo, nel testo tuttora densissimo, Jacques Lacan riconosce quel ‘disarmonico’ che finalmente ci rende affidabile, imputabile d’umano anche l’ ‘inconscient’ : perché dunque dovremmo ‘amarlo’, se così fastidioso e disarmonico, e proprio seguendo il discorso di ‘Les Non-Dupes Errent’ ?

Ecco allora ‘io’, ipotesi di un tribunale ‘non fallico’[10] che precede logicamente il linguaggio ma non la nascita e che si permette, si autorizza ad un sapere che lo mette al lavoro senza ingenuità, ma anche senza alcuna malinconia.

E’ solo un inizio, uno dei primi passi, ne parlerò.

 

               Marina Bilotta Membretti, Cernusco sul Naviglio Lunedì dell’Angelo 5 aprile 2021

 

 

 

[1] George Simenon (Liegi 1903 - Losanna 1989) cominciò giovanissimo, intorno ai sedici anni a lavorare come giornalista. Scrittore assai prolifico, pubblicò anche con pseudonimi i suoi numerosissimi romanzi, portando al successo – anche televisivo e cinematografico - il ‘Commissario Maigret’, personaggio da lui inventato per una serie di novelle. Il suo stile accurato e sobrio lascia però alla cura del lettore la ricerca di dettagli indispensabili e collegamenti. 

[2] Stefano Frassetto è nato a Torino nel 1968. Dopo la laurea in Architettura al Politecnico di Torino, ha iniziato come vignettista e disegnatore per alcuni giornali locali. A metà anni novanta ha cominciato a pubblicare anche in Francia, prima col mensile ‘Le Réverbère’ e in seguito col quotidiano ‘Libération’ : passato a sviluppare l’attività di fumettista col personaggio di Ippo per ‘Il Giornalino’ e poi la striscia ‘35MQ’ per il quotidiano svizzero ‘20 Minuti’, con l’anno 2000 fa il suo esordio su ‘La Stampa’ come ritrattista per le pagine culturali e per l’inserto ‘Tuttolibri’, poi per il settimanale culturale ‘Origami’. Oggi è anche ritrattista e illustratore presso il quotidiano svizzero ‘Le Temps’.

[3] ‘Il signor Cardinaud’, George Simenon – Adelphi Edizioni Spa (2020), trad. di Sergio Arecco/ p.37

[4]  ‘Il signor Cardinaud’, George Simenon – Adelphi Edizioni Spa (2020), trad. di Sergio Arecco/ p.9

[5] “Dopo il pianto è padrone dei suoi nervi…”/ p.49

[6] ‘Il signor Cardinaud’, George Simenon – Adelphi Edizioni Spa (2020), trad. di Sergio Arecco/ p.59

[7] “…un piccolo farabutto” lo chiama il macchinista Drouin, imponente uomo di mare che nel tempo libero vende ostriche e cura il suo podere : ha conosciuto quel Chitard che Cardinaud sta cercando e che si nascondeva sul mercantile ‘Aquitaine’ grazie alla pazienza di Drouin ma che, prima di scendere dalla nave ha rubato a Drouin l’orologio del padre.   ‘Il signor Cardinaud’, George Simenon – Adelphi Edizioni Spa (2020), trad. di Sergio Arecco/ p.70-73

[8] ‘Il signor Cardinaud’, George Simenon – Adelphi Edizioni Spa (2020), trad. di Sergio Arecco/ p.59

[9] Il testo originale si trova su www.radiolacan.com

[10] ‘Il pensiero di natura’, Giacomo B. Contri (1998) – SIC Edizioni, p.22, p.83, p.99, p.195;‘Ereditare da un bambino. Perché no?’, Marina Bilotta Membretti (2014) Isbn 978-88-91081-63-6, p.23, pp.27-29, p.30, p.46.

 

 

Umbra mentis.

‘Caravaggio Napoli’ è il titolo della mostra svoltasi a Napoli presso il Museo di Capodimonte, fra il 12 aprile ed il 14 luglio 2019.

 

 

 

‘Caravaggio’[1] è già famoso quando arriva a Napoli nel settembre 1606, e nonostante il trasferimento da Roma sia piuttosto una fuga per sfuggire alla giustizia[2].

Capitale internazionale e non provincia, Napoli accoglie Caravaggio come un onore e le famiglie notabili gli commissionano subito quadri importanti, soprattutto per chiese cittadine.

‘Flagellazione’ è un tema frequente nella Cultura dell’epoca : ‘Flagellazione di Cristo’ viene commissionato a Caravaggio dal magistrato Tommaso de’ Franchis, per la chiesa di S.Domenico Maggiore[3]. E lui sorprende di nuovo, staccandosi nettamente dalla Cultura irrompente  - che peraltro conosceva a fondo e da cui era stato finemente educato  - con un precedente che si rivelerà assoluto nella Cultura europea : ‘Flagellazione’ si pone infatti come spartiacque rispetto alle  sovrastanti influenze fiamminghe le quali insistono, pur dopo il Concilio di Trento (1545-1563), su un Cristo non umano, sublimazione e distanza dall’ingombro di un corpo-zavorra col suo carico di sofferenza.

Ma il Cristo di questa ‘Flagellazione’ (1607) non si allontana di un millimetro dall’uomo in carne ed ossa del Vangelo, non si arrende e nemmeno si ribella alla invidia di chi odia la luce involontaria del suo corpo : tutto è detto nel ritratto magistrale di un volto che soffre senza elemosinare compassione, conosce bene la realtà. E magistrale è anche la descrizione dei due assalitori, evidentemente più vecchi e perfettamente giustificati nella loro ‘jouissance’[4], esausti per la inefficacia complessiva del supplizio che seguirà.

Ed è proprio in quel ‘prima’ infatti, scelto sapientemente, il tempo in cui la luce può ancora illuminare la forza e la perfezione di un corpo robusto, giovane : Caravaggio si rivela eccellentissimo e devoto, in antitesi con la moda contagiosa che arriva dalle Fiandre e che sorride frivola alla eresia, senza riconoscerne il peccato.

‘Umbra mentis’ è la condanna dei due torturatori che operano in una oscurità capace di spazzare via logica e ragione, e ciò per la posizione stessa che essi devono assumere nella geometria di gesti reali : la involontarietà non ingenua dell’umano che per questa via si rende innocente, non può che venire alla luce infatti.

Né volontà né resilienza hanno condotto Cristo fin qui: non è uno stupido, ci dice Caravaggio con competenza assoluta ma senza alcuna emozione. Pochi quadri hanno la capacità di esprimere il bene ed il male dell’umano con così lucida consapevolezza.

Ma non fu per Caravaggio un lavoro facile, ‘di getto’ per così dire, e per come ormai – nella sua maturità - era solito dipingere, incidendo direttamente il disegno sulla tela, a punta di pennello[5]. I ‘pentimenti’ qui, come tecnicamente vengono chiamate coperture e ridipinture[6], indicano la laboriosità paziente dell’artista.

Su questa inimmaginabile e salvifica sortita dell’umano che Cristo è, Freud si interrogò a lungo, trattando con chi soffriva di allucinazioni e deliri : pochi anni dopo aver pubblicato nel 1910 il ‘Caso Schreber’ che definì un caso di paranoia, più che di demenza[7], Freud annotava in una stringata e densissima corrispondenza con l’ambasciatore americano William C.Bullit[8] - che gli chiedeva un parere a proposito della politica pacifista del presidente U.S.A. Thomas W. Wilson, impegnato nelle ‘Trattative di Versailles’ (1919) – come la consapevolezza ed accettazione della realtà siano indispensabili per evitare la follia.

Con la sua interpretazione lucida, rivoluzionaria, non ribelle e di molto precedente le scoperte psicoanalitiche, Caravaggio indica quindi la canagliaggine ombrosa e la frivolezza menzognera responsabili di crimini, perfino dei più odiosi.

 

                      Marina Bilotta Membretti, Cernusco sul Naviglio 27 marzo 2021

 

 

[1] Michelangelo Merisi, detto ‘Il Caravaggio’ – località fra Milano e Bergamo da cui provenivano i genitori - nacque a Milano nel 1571; morì nel 1610, durante il viaggio del suo ritorno a Roma.

[2] Durante una rissa nel 1606 in città, Caravaggio aveva ucciso d’impeto il suo avversario : a seguito di questo ennesimo reato, egli venne condannato a morte.

[3] S.Domenico Maggiore è una basilica importantissima a Napoli, dove soggiornò S.Tommaso D’Aquino e di cui restano testimonianze : ‘Flagellazione di Cristo’ fu poi spostata al Museo di Capodimonte, dove si trova tuttora.

[4] ‘Jouissance’ è un termine corrente della lingua francese, ma fu introdotto dallo psicoanalista francese Jacques Lacan per indicare ‘povertà’, rivelata anche dall’inconscio. 

[5] ‘Seppellimento di santa Lucia’ a Siracusa (1608) – città nella quale Caravaggio era arrivato di ritorno da Malta – resta un esempio di pittura caravaggesca in cui il disegno che precede il colore è rimasto inciso direttamente sulla tela.

[6] Sulla tela sono visibili tracce di una figura dipinta e poi ricoperta.

[7] “La personalità di Schreber ha opposto una intensa resistenza contro questa fantasia – ‘omosessuale passiva, che ha scelto come proprio oggetto la persona del medico’ (ndr) – e la lotta difensiva che ne è risultata, fra le forme diverse che avrebbe potuto assumere, ha scelto, per motivi che ci sono ignoti, quella del delirio di persecuzione… Il persecutore si scompone, se esaminiamo il delirio nel suo insieme, nelle persone del medico Flechsig e di Dio; a sua volta Flechsig stesso più tardi si scinde in due persone… E’ questo un tratto assai caratteristico della paranoia.”, ‘Osservazioni psicoanalitiche su un caso di paranoia descritto autobiograficamente. Caso clinico del presidente Schreber’, Sigmund Freud (1910) in ‘OSF. Vol.VI’ Bollati Boringhieri editore Srl (2012), pp.374-376.

[8] “…Questo accrescimento esagerato del Super-Io non è una rarità : la psicoanalisi può affermare che l’identificazione del padre con dio appartiene ai processi normali, sebbene non costanti, nella vita psichica. Ma quando il figlio identifica sé con il padre ed il padre con dio, elevando questa immagine paterna a proprio Super-Io, a quel punto egli sente di avere dio in sé stesso, di diventare egli stesso dio. Tutto ciò che fa deve essere giusto, perché dio stesso lo ha fatto. In alcuni individui, l’importo di libido che va a caricare questa identificazione con dio diventa talmente grande che essi perdono la facoltà di tener conto dei fatti del mondo esterno che la contraddicono. Questi individui finiscono poi in manicomio. Ovviamente, l’uomo il cui Super-Io è costruito su di un simile presupposto e che serba un pieno rispetto per la realtà, qualora possieda delle capacità, può compiere grandi cose nel mondo…”, pp.44-45 ‘Sigmund Freud. Manoscritto 1931 inedito in edizione critica’, a cura e con testi di Manfred Hinz e Roberto Righi – traduzione di Stefano Franchini (2015) ‘lacasa USHER’/ ‘VoLo publisher srl’.

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